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Homecronache socialiSarà professore chi ha soldi e tempo, l’ingannevole «Buona scuola» di Renzi

Sarà professore chi ha soldi e tempo, l’ingannevole «Buona scuola» di Renzi

Corsi da pagare e anni da investire in tirocini e attestati. La riforma dell’istruzione promossa dal governo Renzi («Buona scuola») penalizzerà i più poveri, gli idealisti e coloro che si allineano meno al sistema.

 

di Michela Conoscitore

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Alcuni studenti durante la manifestazione a Roma del 10 ottobre scorso reggono uno striscione con su scritto lo slogan-leitmotiv della protesta.

«A.A.A. Cercasi aspiranti docenti che desiderano avviare una carriera nel mondo della scuola. Astenersi idealisti, frettolosi e pseudo-sindacalisti part time. Provvigioni e posto fisso non assicurati». Suonerebbe così, tradotto dal burocratese, e sicuramente più aderente alla realtà, il bando del Tirocinio formativo attivo. Pubblicato il 15 maggio scorso sulla Gazzetta Ufficiale, dal ministero dell’Istruzione, per soli 22.450 posti, mezzo milione di aspiranti stanno cercando di intascare l’agognata abilitazione all’insegnamento. Archiviata la prima prova, svoltasi a fine luglio, ora a novembre c’è da affrontare la seconda, quella che, se superata, permetterà ai futuri abilitati di accedere alla prova orale e, finalmente, al corso abilitante.

 

Secondo molti addetti ai lavori e candidati, la seconda edizione non farà altro che aumentare lo scollamento tra fabbisogno reale di insegnanti e decreti ministeriali. «Già so che potrebbe essere un tentativo a vuoto, visti anche i posti disponibili, molto risicati. Comunque ci sto provando ugualmente, insegnare è quello che voglio fare nella vita». A parlare è Maria Pia Armillotta, una dei tanti laureati che stanno partecipando alle selezioni in corso del Tfa. «L’esperienza precedente non mi incoraggiava affatto, i test erano lontani dai programmi scolastici ministeriali. Invece, quest’anno, la prima prova è stata più accessibile. Nei tre step da superare, non dovrebbero chiedere nozioni ma contenuti. Secondo me, accade perché la prima prova sembra ideata ad hoc per scremare il numero esorbitante di candidati. Per non parlare della modalità di iscrizione online, un vero rompicapo». Lo anticipava già Giorgio Israel, a capo del gruppo di lavoro che ha ideato il Tfa, in un’intervista al quotidiano “L’Avvenire”, tre anni fa: l’intento iniziale del tirocinio, cioè dare la possibilità alle nuove leve di entrare nel mondo della scuola, è stato affossato. Risultato? Da anni, vige un patto tra ministero e sindacati per l’immissione in ruolo dei vecchi abilitati. E i giovani docenti hanno come unica sicurezza, una cattedra precaria.

 

Per comprendere il fenomeno Tfa, e il giro d’affari che ne consegue, sono necessari alcuni dati: giunto al secondo ciclo, è il corso di durata annuale che ogni futuro docente deve frequentare, affinché possa fregiarsi del titolo di professore. Quindi, dopo aver conseguito la laurea triennale e quella magistrale, i giovani insegnanti devono superare tre prove, due scritte e una orale, per poter accedere al Tirocinio formativo attivo. L’aspirante può scegliere se iscriversi a una o a più classi di concorso, a seconda della laurea: l’iscrizione, ad ogni singola classe di concorso, costa al futuro tieffino cento euro. Qualora il candidato superi tutte le prove e acceda al Tfa, i costi, per un anno di tirocinio, vanno da un minimo di mille a un massimo di quattromila euro, a seconda degli atenei. Per il ministero e le università, dunque, il Tfa è un vero e proprio investimento che supera i costi di organizzazione. Senza tralasciare i guadagni delle case editrici, che pubblicano, ad ogni ciclo, libri per la preparazione al corso abilitante. Il “corredo” del perfetto tieffino può sfiorare anche i cento euro. Cifra che pesa nel portafoglio di un giovane docente, e che si somma alle altre spese elencate.

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L’iter di approvazione del nuovo ciclo di Tfa, avviato dall’ex ministro Maria Chiara Carrozza e approvato dall’attuale Stefania Giannini, è partito dalle dichiarazioni che la precedente titolare del dicastero rilasciò sulla situazione occupazionale nella scuola: importante stabilire il reale fabbisogno docente, per evitare di allargare le fila dei precari. «Magari fossero rimaste quelle le premesse. In realtà non ci sarebbe bisogno di nuovi abilitati», racconta Sipontina Barbone, altra aspirante docente di lettere, «le graduatorie ad esaurimento, che accolgono i precedenti abilitati con concorso e Ssis (il precedente sistema di abilitazione, ndr.), sono ancora piene. E questo nuovo ciclo di Tfa non fa altro che creare false speranze. A che serve l’abilitazione se poi la cattedra non c’è? Ci parcheggiano nelle graduatorie, ci fanno pagare profumatamente l’abilitazione, e le leggi cambiano quasi ogni anno. Non solo un lavoro precario, ci condannano anche ad una vita precaria. Abbiamo bisogno di certezze, di risposte concrete. Preferiremmo ci dicessero la verità, e cioè che posti disponibili per l’insegnamento non ce ne sono. Almeno potremmo pensare a delle alternative, e non continuare ad illuderci».

 

La pubblicazione del bando è stata preceduta da una concitata riunione, con i sindacati, al ministero di viale Trastevere: abbandonato l’incontro, hanno criticato la decisione del ministro che ha presentato una bozza di decreto blindata. Decisa la presa di posizione di FlCgil, Cisl, Uil, Gilda e Anief: no ad altri precari abilitati, no a provvedimenti illegittimi e approssimativi, no ad una guerra tra poveri che si protrae, ormai, da anni. Infatti, graduatorie piene e abilitati in sovrabbondanza sono problemi cronici del sistema scuola italiano, che si sono acuiti dall’abolizione delle assunzioni a doppio canale che assicurava a vecchi e nuovi abilitati una possibilità per entrare nelle scuole e, allo stesso tempo, evitava l’affollamento in graduatoria. Il segretario generale di Uil Scuola, Massimo Di Menna, ha disapprovato la decisione del ministero di avviare un nuovo ciclo di Tfa, e ha affermato che sarebbe più utile modificare il sistema di reclutamento docenti: senza passaggi intermedi, col solo titolo di studio poter accedere al concorso e conseguire l’abilitazione.

 

Invece, ha le idee chiare Max Bruschi, ex consigliere del ministro Maria Stella Gelmini, e ora ispettore al Ministero, su come migliorare il percorso abilitante: secondo Bruschi il problema del Tfa è che non ha una cabina di regia, essendo le responsabilità suddivise tra scuole e università. Quindi, in mancanza di un monitoraggio accurato, è normale che il sistema ne risenta. «Le procedure per l’istituzione dei percorsi dovrebbero essere più selettive», afferma Bruschi. «Ad esempio, relativamente all’impiego di tutor qualificati nel seguire i corsisti nella parte pratica del Tfa. In alcuni casi, nel corso del primo ciclo, i laboratori furono tenuti da assistenti privi di qualsiasi esperienza a scuola, o addirittura da soggetti che non erano nemmeno abilitati all’insegnamento».

Il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini alla conferenza stampa di presentazione della nuova riforma scolastica.
Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini alla conferenza stampa di presentazione della nuova riforma scolastica.

Proposte, dalle varie forze politiche, non mancano: la deputata Silvia Chimienti, del Movimento 5 Stelle, ha presentato il 27 marzo scorso una mozione poi bocciata, in cui i pentastellati suggerivano unicamente di avviare un piano di assunzione quinquennale, per assorbire gli attuali precari presenti nelle graduatorie. Davide Faraone, responsabile di scuola e welfare del Partito Democratico, invece, ha illustrato la possibilità di istituire una laurea specialistica ad hoc per l’insegnamento, al fine di riportare le università al centro del processo formativo, e velocizzare il percorso di abilitazione docenti. Mentre, la deputata Elena Centemero di Forza Italia spinge per l’assunzione diretta dei docenti dai dirigenti scolastici, e ad aprire le porte della scuola ai docenti più giovani, favorendo quindi il turn over con un nuovo sistema di reclutamento.

 

Se ministero, sindacati e partiti si scontrano sui terreni istituzionali, i futuri docenti si scontrano, ogni giorno, con la realtà che li mette davanti a difficoltà e disillusioni, già preparati ad un avvenire incerto in cui adattarsi è l’unica possibilità per fare qualcosa della loro vita. «È indubbio che la cosa più urgente da fare sia modificare il sistema di reclutamento», afferma Giuliana Angelillis, una professoressa precaria di latino e greco, non abilitata, che prosegue, «ma bisognerebbe inserire, assolutamente, il tirocinio all’interno del percorso di studi universitario. Un’esperienza pratica deve esserci, perché è importante comprendere se è davvero il lavoro che si vuol fare. Molti hanno una visione ‘romantica’ dell’insegnamento, quando invece la nostra professione, oggi, è una delle più sottovalutate e tiranneggiate. Quindi, bisogna essere pronti e, a volte, la passione potrebbe non bastare».

 

Infine, la «Buona Scuola», la riforma presentata a settembre dal presidente del consiglio, Matteo Renzi. Non ancora legge, ma in fase di consultazione, è anche con il futuro assetto del sistema scolastico che i futuri docenti dovranno rapportarsi. Scatti stipendiali per merito e non più per anzianità, graduatorie d’istituto aperte solo agli abilitati, quando adesso rappresentano l’unico canale d’accesso per i non abilitati, l’organico funzionale e il nuovo sistema di reclutamento. Ancora in corso d’opera, il Tfa per Renzi e il ministro Giannini è già da rottamare. «D’accordo col sindacato, stiamo portando avanti, io e le colleghe del mio plesso, una petizione contro gli scatti stipendiali per merito», afferma Dora Colaianni, docente di scuola materna, da oltre trent’anni. «Non dico di essere in disaccordo, ma, il governo deve spiegarci come valuterà il merito di noi docenti. Perché se si tratta di corsi d’aggiornamento a pagamento, allora devo ricordare che gli insegnanti italiani sono quelli con lo stipendio più basso in Europa. Quindi, i soldi ci servono per vivere». Cosa si sente di dire ai futuri docenti? «Che lavoreranno non per un’agenzia educativa, dove lo scambio tra docenti e alunni è culturale, ma entreranno a far parte di un’azienda dove il lavoro è scandito dalla produttività di insegnanti e alunni. Dove il preside è, ormai, un manager attento a far quadrare i conti e a coprire i “buchi” orari. Dimenticate il preside pedagogista, punto di riferimento per noi docenti e certezza educativa per gli alunni», spiega Colaianni. «Non è una buona scuola, e se le cose continueranno così, non lo sarà mai. Non lo diventerà nemmeno se, per risparmiare, lo Stato deciderà di affidare a noi docenti le ore di supplenza, invece di dare l’opportunità ai giovani. Buona scuola sì, ma per il governo, non per chi ci lavora e chi la frequenta».

1 COMMENTO

  1. Le cose non stanno proprio così. Non si parla di corsi di formazione a pagamento. ..nella nostra scuola li facciamo a costo zero sfruttando risorse interne, corsi di lingue, informatica etc.
    E poi il tfa non è paragonabile alle vecchie Siss che duravano due anni ed erano costosissime. La selezione a monte è necessaria: i posti nella scuola sono pochi ed è inutile creare false speranze. Si potrà discutere sul metodo di selezione ma è come i test d’ingresso di medicina non si può ammettere tutti, non ci sarebbero poi possibilità di lavoro.

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