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Roma, Marino sceglie Esposito, un Si Tav ai trasporti

Dopo Sabella un altro duro nella Giunta Marino: è il senatore Esposito, gradito a chi traffica in grandi opere e nemico dei movimenti sociali

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di Ercole Olmi

Esposito, Sabella, Lauro. L’unico brivido di questa afosa estate viene nel leggere le cronache romane. Nomi di politici e poliziotti che ricorrono nelle pagine più nere della repressione e dell’impasto torbido tra politica, malaffare e imprenditoria. E tutto ciò si riverbera nella Giunta Marino alla prova del rimpasto per uscire dal can can mediatico in cui l’ha ficcata Renzi per depistare il discorso pubblico dai suoi clamorosi cali di consenso.

Le agenzie battono il nome del probabile successore di Improta all’assessorato per le politiche della Mobilità. E’ Stefano Esposito, volto notisssimo in Val Susa, il più Yes tav della zona. Personaggio di un grandissimo amore per cementi e calcestruzzi e di rara ferocia nei confronti dei movimenti popolari. Questo senatore del Pd è firmatario di una proposta di legge che vorrebbe equiparare il blocco stradale al sequestro di persona. In Valle quelli come Esposito sono minoranza perfino nel Pd ma Renzi e Marino hanno un curioso senso del grottesco al punto da spedire un sostenitore sfegatato della grande opera più infiltrata dalle mafie, il Tav, a fare prima il commissario per la legalità del Pd di Ostia, poi l’assessore ai trasporti.

Esposito è lo stesso parlamentare che aveva accusato i cittadini della Valle di essersi arricchiti con la lotta al treno ad alta velocità così i valligiani sono andati a vedere come si guadagna il pane lui. Due anni dopo la sua elezione, nel 2008, era stato assente in Parlamento per ben 1300 votazioni elettroniche, vale il dire circa il 20% del totale e, per ben 12 volte in votazioni chiave. Era assente il 2 ottobre 2009 alla votazione sulla legge sullo “scudo fiscale” quando, grazie all’assenza di altri 22 colleghi di partito, ne venne decisa l’estensione anche ai reati tributari e alle violazioni contabili, compreso il falso in bilancio. I siti no tav, vere e proprie utilissime agenzie di stampa, ricordano che era assente anche quando si votava per l’approvazione del “Lodo Alfano”, cioè le disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato. Stesso copione sul decreto legge in materia di reati commessi per finalità di discriminazione o di odio fondati sull’orientamento sessuale, per la repressione delle discriminazioni per motivi razziali, di orientamento sessuale o di identità in genere; quando si votò per la conversione in legge della riforma Gelmini dell’Università e sul decreto Sviluppo ma non quando si è votato per l’abolizione del vitalizio che spetta ai parlamentari dopo solo 5 anni di legislatura proposto dall’Idv. Quella volta Esposito c’era e ha votato contro insieme ad altri 497 deputati su 520 presenti.

Bilancio di fine mandato: secondo l’indice di produttività è 299° su 630 deputati, presente in 11497 votazioni elettroniche, assente poco più del 14% del totale. Tra le sue sortite, la lettera a Bagnasco con cui si lagnava per la messa di Santa Barbara negata agli operai del cantiere Tav di Chiomonte. Parecchi preti in Valle stanno dalla parte del Creato non da quella di chi lo devasta. E ora lo stesso amore per l’ambiente verrà dedicato ai cittadini di una Roma mai così disorientata e incattivita dalla crisi.

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E a Ostia, Esposito lavora già gomito a gomito con Sabella Alfonso catapultato dall’inferno di Bolzaneto al Campidoglio, per garantire la legalità già nel primo rimpasto della Giunta Marino, quello successivo alla prima retata di Roma Capitale. Il magistrato Sabella, già collaboratore di Caselli a Palermo, all’epoca di Genova 2001 fu inviato del Dap a supervisionare il carcere provvisorio per le retate di manifestanti. Il primo atto di indagine della procura di Genova su quanto accaduto nella caserma lager di Bolzaneto nelle giornate genovesi fu nei suoi confronti come responsabile della struttura detentiva di Bolzaneto. Fu ascoltato il 1° agosto 2001, ad appena nove giorni dalla fine del G8.

Prima di essere smentito dalle deposizioni dei torturati a Bolzaneto, Sabella, scolpì negli atti – e sulle agenzie – che “la Polizia Penitenziaria a Bolzaneto ha gestito due camere di sicurezza dove non ci sono state violenze”. Il 29 agosto Sabella insisteva nel minimizzare quanto accaduto: “E’ probabile che ci siano stati singoli e isolati comportamenti, che potrebbero anche costituire dei reati, ma allo stato non emerge assolutamente una situazione di confusione o di disorganizzazione riconducibile al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”.

“Per quanto potevo constatare allora tutto si era svolto tranquillamente. Ora, invece, abbiamo più di qualche dubbio che non sia stato effettivamente così”. Ma lui dov’era? Era a Bolzaneto: “Mi ci recavo tre-quattro volte al giorno e anche qui non ho visto niente di particolare, se non il fatto che gli arrestati venivano fatti sostare in piedi, con le mani alzate addosso al muro”. Una cosa, quindi, assolutamente normale in tutte le carceri…

L’11 maggio 2004, quando i magistrati formulano le loro richiesta di rinvio a giudizio per 47 persone tra poliziotti, secondini, carabinieri e medici presenti a Bolzaneto, la posizione di Sabella viene stralciata e destinata ad essere archiviata. Così fu chiesto il 31 marzo 2005: “Risulta, per sua stessa ammissione, che Sabella ebbe a vedere personalmente che i detenuti nelle celle erano tenuti nella posizione vessatoria in due occasioni. Da ciò e dal non avere dato l’ordine di fare immediatamente sedere i detenuti potrebbe inferirsene una responsabilità quanto meno ex art. 608 cp, stante la posizione di garanzia rivestita dal magistrato che comportava anche un dovere di controllo”. I pm aggiungono però: “Peraltro, da un lato la già rilevata intermittenza della presenza in Bolzaneto del magistrato non consente di ritenere la consapevolezza del perdurare della posizione vessatoria e ciò tanto più perché aveva dato ordine a Gugliotta (responsabile della sicurezza della caserma di Bolzaneto, ndr) di contenerla in un tempo massimo di un quarto d’ora e perché non vi erano ragioni di pensare che il proprio ordine sarebbe stato invece disatteso; dall’altro lato deve osservarsi che, secondo il suo incarico, il magistrato aveva il compito di ‘organizzare il controllo e non quindi di effettuarlo personalmente (non essendo tra l’altro Ufficiale di Polizia Giudiziaria) e che indubbiamente la precisa individuazione – effettuata da parte del magistrato – di responsabili per ciascun settore del sito (ispettore Gugliotta per la sicurezza, ispettore Tolomeo per la matricola, dottor Toccafondi per l’Area Sanitaria, Capitani, Cimino e Pelliccia per il servizio traduzione) può ritenersi adempimento dell’obbligo di organizzazione del controllo”.

L’archiviazione arriverà il 25 Gennaio 2007. A cinque anni e mezzo dagli orrori della Bolzaneto, il Gip Lucia Vignale archivia la posizione del magistrato che però nell’ordinanza scrive: “Sabella non adempì con la dovuta scrupolosa diligenza al proprio dovere di controllo e non impedì il verificarsi di eventi che avrebbe dovuto evitare”. E più avanti aggiunge: “Sarebbe stato opportuno cercare di comprendere ciò che, pur nella confusione e nella difficoltà del momento, poteva essere almeno intuito. In questo senso si può affermare che il comportamento del dott. Sabella non fu adeguato alle necessità del momento”.

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Se Marino e il Pd romano puntano su esperti di comportamenti illegali, trattamenti inumani e tifosi delle grandi opere, la Questura non sembra essere da meno spedendo il dirigente funzionario Adriano Lauro a fronteggiare senza convinzione (forse perché tra gli squadristi di Casapound ci sono amici o ex amici di suo figlio) la canea razzista che avrebbe voluto impedire l’arrivo di richiedenti asilo in un quartiere di Roma Nord. Lauro è colui che, il 20 luglio 2001, in Piazza Alimonda, urlò “Bastardo! Lo hai ucciso tu, lo hai ucciso! Bastardo! Tu l’hai ucciso, col tuo sasso, pezzo di merda! Col tuo sasso l’hai ucciso! Prendetelo!”, contro un manifestante a beneficio di certe telecamere Mediaset. Pochi metri dietro di lui, in una pozza di sangue, il corpo di Carlo Giuliani.

I peggiori spettri di Genova e della Val Susa si aggirano per Roma per governarla e sorvegliarla. Nessuna traccia, oppure debolissima, di confilittualità sociale anche grazie alla spaccatura operata da chi, alla vigilia delle comunali scorse, volle spacciare il chirurgo americano come una svolta a sinistra del Pd.

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