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Osvaldo Casalnuovo: «Vogliamo la verità sull’omicidio di Massimo»

Ultima udienza il 9 diembre del processo di secondo grado per l’omicidio di Massimo Casalnuovo nel corso di un posto di blocco dei carabinieri

di Checchino Antonini

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«Siamo in attesa. Anche se sappiamo che nulla cambierà, quantomeno chiediamo un po’ di giustizia. Credo proprio che la Corte cerchi la verità sulla morte di mio figlio. Siamo fiduciosi». A poche ore da un’udienza probabilmente decisiva, parla Osvaldo Casalnuovo, il padre di Massimo, ucciso il 20 agosto del 2011 a Buonabitacolo, durante un maldestro e violento controllo da parte di una pattuglia dei carabinieri.

Il 9 dicembre, a Potenza, in Corte d’Assise d’Appello, si terrà l’ultima udienza del processo di secondo grado per l’omicidio preterintenzionale con abuso di potere. «E’ iniziato nel marzo scorso e la sentenza potrebbe essere emessa proprio quel giorno – ricorda Osvaldo al telefono con Popoffquotidiano – l’ultimo teste, per la difesa, sarà un carabiniere, collega dell’imputato, dopo di lui le arringhe delle parti e la richiesta di pena da parte del pm».

Il 9 dicembre a Potenza, in Corte d’Assise d’Appello, si svolgerà quella che potrebbe essere l’ultima udienza del processo per l’omicidio preterintenzionale con abuso di potere, imputato il maresciallo Giovanni Cunsolo, allora vice comandante della stazione di Buonabitacolo.

E’ iniziato nel marzo scorso e la sentenza potrebbe essere emessa proprio in questo giorno. L’ultimo teste, per la difesa, sarà un carabiniere, collega dell’imputato, dopo di lui le arringhe delle parti e la sentenza.

Unico imputato è il maresciallo Giovanni Cunsolo che comandava la stazione di Buonabitacolo. Subito dopo i fatti venne trasferito a Polla, a 40 km, con l’altro componente della pattuglia. Buonabitacolo non ha mai creduto alla versione ufficiale. Massimo lo conoscevano tutti. Solo una parte della stampa locale chiede di metterci una pietra sopra. All’epoca ci fu anche un consiglio comunale monotematico che solidarizzò con la famiglia Castelnuovo, così il trasferimento sembrò un atto dovuto anche ai piani alti dell’Arma. I due militari sono stati sempre insieme e hanno mantenuto contatti quotidiani con la procura di Sala Consilina. «Mai chiesto scusa – continua il padre del ragazzo ucciso – mai cercato un contatto con noi. Forse nemmeno l’avrei accettate perché non m’è sembrato mai di vedere in loro un segno di umiltà, nemmeno l’ammissione di aver svolto un posto di blocco secondo i protocolli». 1618235_482299598538536_596939075_o

La Corte di Potenza è dovuta ripartire da zero «ed è stato un bene – aggiunge Casalnuovo – anche il primo pm, nonostante avesse chiesto per iscritto di continuare a seguire il caso, è stato rimpiazzato dal procuratore capo di Potenza che però, finora, ha fatto sentire la sua voce solo in una requisitoria di dieci minuti per ridurre il capo di imputazione, “declassato” a omicidio colposo, e senza voler mai interrogare i testimoni.

In primo grado c’è stata un’assoluzione – il fatto non sussiste – ma con formula dubitativa. «Però le motivazioni erano così blande che la stessa procura di Salerno, oltre noi e il pm, ha impugnato quella sentenza. Il primo processo è stato un lampo», ricorda Osvaldo, iniziato e terminato il 5 luglio 2013, non ha visto i testimoni e i consulenti tecnici deporre perché il giudice monocratico, senza mai motivare, ha rigettato tutte le richieste della parte civile. Quel giorno – poi non si sarebbe mai più visto in aula – il maresciallo imputato pronunciò le uniche due parole: «Sono innocente». In appello si sarebbe avvalso della facoltà di non presentarsi.

«Il processo s’è svolto sulla base di niente, come se nel fascicolo non ci fossero atti. Invece ci sono e noi ci vogliamo attenere proprio a quei riscontri oggettivi: testimonianze, referti scientifici e consulenze tecniche – spiega Osvaldo che, quasi dal principio di questa vicenda è seguito dall’avvocato Cristiano Sandri, fratello di Gabriele, anche lui vittima in un caso di malapolizia – anche la procura di Salerno ha messo in risalto la presenza degli stessi dati oggettivi».

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Chi ha visto ha rifertito con precisione di quel calcio sferrato dal maresciallo al motorino. Sotto la scarpa del maresciallo sono state riscontrate, dalla polizia scientifica di Roma, delle microparticelle della vernice blu del motorino. Un agente della stradale di Sala Consilina ha riferito dell’orma sul sellino del plantare della scarpa e dello sfondamento della scocca dello scooter. «Da parte nostra abbiamo fornito delle consulenze tecniche adeguate che spiegano la dinamica della caduta, la compatibilità con la scarsa velocità del mezzo e con la qualità del fondo stradale. Senza quel calcio mio figlio sarebbe stato ancora vivo».

«Al processo non siamo mai stati soli: a ogni udienza arrivano persone da Buonabitacolo, ci sono gli attivisti No Triv e di Libera, c’è Acad che ci segue da sempre. In paese tutti sanno quello che davvero è successo, ci hanno sempre stimolato ad andare avanti, in questi anni ci sono state diverse manifestazioni, fiaccolate e una scultura, vicino al luogo della tragedia, ricorda Massimo».

“Il ragazzo viaggiava su uno scooter, era senza casco ma attenzione – si può leggere sulla scheda preparata da Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa – non è morto per aver sbattuto la testa (come si tende a far credere) ma per la violenta botta al torace. Massimo era appena uscito dall’officina in cui lavorava con il padre, non prendeva il motorino da un po’ di tempo. Lo aveva appena aggiustato. Era stato a fare un giro e stava tornando a casa. Non aveva indossato il casco. Lo fanno un po’ tutti a Buonabitacolo. Quella sera la pattuglia dei carabinieri con a bordo il maresciallo Giovanni Cunsolo e l’appuntato Luca Chirichella decide di controllare i ragazzi senza casco, ne fermano due: Elia Marchesano e Emilio Risi. I carabinieri mettono la macchina di traverso sulla strada e formano una specie di posto di blocco. Peccato che lo facciano dietro una curva. La “scena” si svolge sulla strada principale della città, via Grancia, che porta a una piccola piazza dove di sera si ritrova la gente del paese. Cunsolo è seduto dentro la gazzella e sta redigendo la contravvenzione. Massimo sta arrivando con il suo scooter Beta 50. Sin dal primo momento la versione dei due ragazzi fermati e quella del carabiniere sono opposte. Cunsolo dirà che Massimo, arrivato davanti al “posto di blocco”, accelera, quasi lo investe. Poi perde il controllo del ciclomotore e cade battendo la testa su un muretto a secco. I due ragazzi, interrogati la notte dell’“incidente” dal pm Sessa della Procura di Sala Consilina, hanno invece fornito un’altra versione: Cunsolo era dentro alla macchina, quando vede arrivare Massimo esce dall’auto e per fermarlo sferra un calcio sulla carena del motorino. E’ quel calcio che fa perdere l’equilibrio a Massimo che cade, e muore”.

1 COMMENTO

  1. non ho avuto lo “stomaco” di leggere tutto l’articolo, arroganti, spocchiosi, sicuri di se……….non saranno mai licenziati…….polizia del popolo unica soluzione…..e rivoluzione……….no pasaran

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