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Grecia, i campi profughi tra crisi e solidarietà

Parla Margherita Romanelli, cooperante bolognese appena rientrata dalla Grecia: “Le condizioni dei 34 campi vanno omogeneizzate, ma serve anche ragionare sul lungo periodo”

Campo di Schistos
Campo di Schistos

BOLOGNA – “Il nostro obiettivo è rispondere alle esigenze dei profughi bloccati in Grecia, senza dimenticare le condizioni attuali dello Stato europeo, che ancora sta facendo i conti con una grossa crisi. Vogliamo aiutare i richiedenti asilo, ma anche coloro che sono stati licenziati a seguito del Memorandum dell’Unione Europea, e che ora rischiano di avere meno ammortizzatori sociali”: Margherita Romanelli, cooperante della ong bolognese Gvc, è tornata solo poche ore fa dalla Grecia. Con la collega Monica Mazzotti era in missione di aiuto umanitario nella regione dell’Attica (la regione attorno ad Atene), in supporto al governo greco per l’emergenza rifugiati.

“Dopo l’accordo Ue-Turchia, con la chiusura delle frontiere con la Macedonia, nei 34 campi di accoglienza informali sullo Stato risiedono 55 mila richiedenti asilo – spiega Romanelli, capo missione di Gvc in Grecia –. Noi abbiamo incontrato diversi rappresentanti delle istituzioni, e tutti ci hanno fatto capire che ogni appoggio è il benvenuto”. Per prima cosa, lo staff Gvc ha distribuito al Centro di raccolta e smistamento della regione Attica 2.160 beni di prima necessità destinati all’igiene ambientale dei 34 campi: “Certo si tratta di un inizio, ma la questione igienica è fondamentale per evitare l’insorgere di malattie e per la dignità di queste persone”. Gvc ha scelto di effettuare la propria donazione attraverso le realtà greche già attive. “La rete di solidarietà della Grecia in questi anni ha lavorato molto bene per la propria popolazione: riteniamo utile e logico essere di supporto al governo e alla società greca e siamo pronti ad accogliere le richieste di sostegno nella gestione di un’emergenza rifugiati che è una questione che riguarda l’intera Europa”.

I 34 campi di accoglienza informali, sotto il management del ministero della Difesa, sono sparsi in tutta la terraferma: le persone vi alloggiano per libera volontà, sono libere di entrare e uscire e di muoversi nel resto del Paese (realtà ben diverse dagli hotspot sulle isole). In alcuni ci sono le tende, altri sono veri campeggi, altri ancora sono attrezzati con prefabbricati ad hoc, alcuni sfruttano strutture dismesse dell’esercito. “Questa eterogeneità presenta differenze sostanziali – sottolinea Romanelli –: è naturale che chi vive in tenda abbia più difficoltà di chi vive in un prefabbricato con l’aria condizionata. Per questo, anche in vista della stagione estiva, è necessario lavorare per rendere omogenei i campi. Anzi, meglio dire in vista delle stagione estiva e di quella invernale: l’impressione, infatti, è che la situazione non si sbloccherà in pochi mesi, ma servirà almeno un anno”.

Pallet donato

Considerati i tempi, allora, oltre ai bisogni primari (dal cibo per i neonati agli alimenti per la crescita dei bambini; dalle bacinelle al repellente per le zanzare; dai bagni all’accesso all’acqua), serve anche ragionare in prospettiva: corsi di alfabetizzazione, supporto all’informazione per la richiesta dei permessi di soggiorno (il 23 maggio dovrebbe partire un sistema per raccogliere le prime richieste di accoglienza per poi avviare l’iter: il timore è che non ci sia personale a sufficienza, considerati i numeri), sanità. “In quasi tutti i campi c’è un presidio sanitario e un servizio per portare in ospedale i malati in condizioni più gravi. Per venire incontro a questo dramma, una legge due settimane fa ha reintrodotto la sanità gratuita universale. Ma con la crisi moltissimi medici e personale ospedaliero sono stati licenziati. Serve organizzarsi, così come serve gestire l’ondata di solidarietà spontanea partita dal basso: non passa giorno senza che decine di greci portino qualcosa – un po’ di spesa, qualche flacone di spray antizanzare, indispensabile per chi vive in tenda – nei campi”.

Ma le difficoltà non finiscono qui: nei campi di Idomeni e del Pireo – non gestiti direttamente dal governo, ma da associazioni – ci sono 15 mila profughi in attesa (11 mila solo a Idomeni): “Servono altri campi per assorbire anche tutte quelle persone. E poi ci sono le migliaia di minori stranieri non accompagnati che hanno il diritto a percorsi specifici: bambini partiti soli, altri partiti con adulti che hanno perso o che sono morti, piccoli arrivati per ricongiungersi con le famiglie sparse per l’Europa e ora bloccati in Grecia. Quando parliamo della necessità di effettuare screening per i traumi psicologici, parliamo anche – o forse soprattutto – di minori”.

“Sono evidenti le difficoltà con cui l’Europa sta gestendo la questione migranti negli Stati di frontiera, Grecia e Italia in primis: non c’è una vera presa in carico”, commenta. E ricorda che, secondo gli accordi, 65 mila profughi sul territorio greco avrebbero dovuto essere ricollocati in altri Paesi. Dopo quasi 8 mesi, sono state ricollocate 3.400 persone: “Certo è un buon segnale che sia l’Unione sia Echo, l’Ufficio per gli aiuti umanitari della Comunità europea,abbiano stanziato dei fondi. Ma voglio rendere merito anche al governo greco, che si sta comportando in modo esemplare”. Romanelli sottolinea il desiderio della Grecia di farsi riconoscere dalla Comunità internazionale come Paese di peso, con capacità proprie e un ruolo importante: “Vuole poter decidere cosa succede al suo interno, cosciente del fatto che la società sta ancora attraversando un periodo di grossa crisi. Per questo, come anticipato, come Gvc vogliamo lavorare anche sulle vulnerabilità del popolo”. (Ambra Notari)

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