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Il nostro Fidel

In America Latina la morte di Fidel ha suscitato molti commenti, a volte sbilanciati tra un’esaltazione acritica e un’ostilità preconcetta. Questo articolo si caratterizza per una rigorosa valutazione di meriti e contraddizioni

di Claudio Katz*, traduzione Titti Pierini

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Con Fidel, ci ha lasciato la principale figura di rivoluzionario dell’America Latina dell’ultimo secolo. È difficile valutare questa dimensione nel pieno dell’afflizione suscitata dalla sua morte. Pur se l’emozione rende difficile qualsiasi considerazione, ora che il Comandante se ne è andato se ne apprezza con maggiore chiarezza la rilevanza.

I mezzi di comunicazione si limitano ad enfatizzarne l’importanza in senso descrittivo, illustrandone la presenza nei principali avvenimenti degli ultimi cinquant’anni. Gli stessi principali suoi nemici imperialisti ne riconoscono lo schiacciante rilievo storico. Ne festeggiano la morte per dimenticare che resisté a dieci presidenti statunitensi e sopravvisse a innumerevoli tentativi di assassinio da parte della CIA.

Cuba costituisce l’ossessione del Pentagono e la frustrazione del Dipartimento di Stato. Nessun altro paese delle sue dimensioni inflisse tante sconfitte all’impero. Dopo 53 anni, David ha costretto Golia a ristabilire relazioni diplomatiche.

Fidel suscita ammirazioni che rasentano la devozione. Gli encomi derivano dalla sua capacità di rendere possibile quel che era molto improbabile. Tuttavia, questo suo fascino resta sganciato dal contenuto della sua opera.

Molti idolatrano Fidel e al tempo stesso rivendicano il capitalismo. Esaltano il leader caraibico mentre promuovono varianti al sistema di sfruttamento che il Comandante ha sempre combattuto per tutta la sua vita. In realtà, elogiano l’artefice di mondi alieni, escludendo qualsiasi loro percorso per analoghi cammini.

Per la sinistra Fidel ha sempre rivestito un altro significato. Fu il principale artefice di un progetto rivoluzionario, socialista e di emancipazione latinoamericana. Tradusse in pratica l’obiettivo avviato da Lenin nel 1917 e per questo ha rivestito in America Latina un ruolo equivalente a quello del promotore dei soviet.

A differenza dal suo predecessore, tuttavia, Fidel ha guidato per vari decenni il processo iniziato nel 1960. Lo si può quindi valutare tanto per la sua vittoria quanto per la sua gestione.

Nell’ottica di una maggiore durata, l’azione di Castro si è apparentata alle campagne intraprese da Bolívar e da San Martín. Guidò iniziative regionali per ricercare la congiunzione di una seconda indipendenza in America Latina con l’avanzata internazionale del socialismo.

Fidel affrontò queste mete ciclopiche mantenendo un rapporto molto stretto con i suoi seguaci. Trasmise direttamente i suoi messaggi a milioni di simpatizzanti che lo acclamavano in vari continenti. Raggiunse un legame razionale e passionale con le moltitudini che lo hanno ascoltato in innumerevoli comizi.

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L’uomo e l’epopea

Il dirigente cubano si è sempre mosso con audacia. Radicalizzò il suo progetto sotto la pressione dell’impero, assumendo un orientamento socialista che polverizzò tutti i dogmi dell’epoca. Dimostrò che si poteva avviare un processo anticapitalista a 90 miglia da Miami e, con l’OLAS [Organizzazione latino-americana di solidarietà] riprese l’obiettivo dell’unità antimperialista dell’area. Fidel condivise con il Che questi tre risvolti: di rivoluzionario, di socialista e di emancipatore latinoamericano. La stessa sintonia che li vide insieme nello sbarco del Granma si verificò nella strategia di lotta armata contro le dittature e i governi reazionari. Conservarono coincidenze politiche che smentiscono tutto quel che si è scritto sull’inimicizia tra Castro e Guevara.

Il Comandante rinverdì l’internazionalismo socialista dopo vari decenni di semplici enunciazioni (o espliciti tradimenti) da parte della burocrazia del Cremlino. Estese questa pratica all’Africa, con l’invio di combattenti che ebbero un ruolo centrale nella partecipazione alla sconfitta dell’apartheid.

Tali azioni sostituirono il vecchio rapporto schiavistico tra Africa e America Latina con un nuovo legame di solidarietà contro i nemici comuni. Un atteggiamento che rafforzò l’enorme affetto delle comunità afroamericane per Cuba. L’impatto delle visite di Fidel ad Harlem (e i suoi incontri con Muhammad Ali, Malcom X o Harry Belafonte) conferma questo effetto.

Tuttavia, la statura storica di Fidel emerse con maggiore chiarezza dopo l’implosione dell’URSS. Egli ottenne ancora una volta quello che sembrava impossibile sostenendo la sopravvivenza di Cuba nel pieno di condizioni avverse senza precedenti. Capitanò i sacrifici durissimi del periodo speciale e sostenne una resistenza collettiva forgiatasi nel corso di tre decenni di rivoluzione.

Tale battaglia di convincimenti fu forse più straordinaria di molte lotte armate. Fidel ha conquistato quel che pochissimi dirigenti sono riusciti a ottenere in circostanze analoghe.

Quella vittoria valse d’esempio per i processi radicali sorti nel nuovo millennio. Quando il neoliberismo fu investito dalle rivolte popolari del Sud America, Chávez ed Evo Morales trovarono un punto di riferimento politico, assente in altre parti del mondo. Fidel tenne fermo l’ideale socialista, come una stella polare da ricreare su altre basi.

Nella nuova fase dell’America Latina il Comandante diede impulso a campagne contro il debito estero e i Trattati di Libero Commercio, mentre alimentava con l’ALBA (Alianza bolívariana para América Latina)organismi adeguati al contesto post-dittatoriale della regione.

In questa cornice, è ricomparsa nelle missioni dei medici cubani l’aspirazione dell’hombre nuevo (“uomo nuovo”). Quei contingenti sanitari hanno dimostrato come si protegga la vita dei diseredati emarginati dal capitalismo.

Fidel ha abbinato atteggiamenti da tribuno (discorso su “La storia mi assolverà”) a genio militare (battaglia di Quito Carnavale in Angola) e a intelligenza geopolitica (per muoversi nel quadro internazionale).

Sviluppò questo suo considerevole profilo mantenendo un comportamento personale molto sobrio. La sua vita privata è pressoché sconosciuta, per la rigorosa separazione che stabilì tra intimità ed esposizione pubblica.

Per vari decenni si occupò di ogni dettaglio della realtà cubana. La sua instancabile attività divenne popolare grazie a un detto che allude a questa sua onnipresenza: “y en eso llegò Fidel” (e allora arrivò Fidel).

Forse decise di organizzare il suo ritiro per arginare questa sua schiacciante incombenza. Dal 2006 si fece da parte e concentrò tutta la sua attività sulla battaglia delle idee. Sviluppò una prolifica analisi critica sulla depredazione ambientale e la povertà generata dal capitalismo.

La sorprendente traiettoria di Castro conferma molte delle conclusioni di teorici marxisti sul ruolo dell’uomo nella storia. Il corso seguito da una società non è mai dettato dal comportamento eccezionale dei grandi, ma è soprattutto determinato dalle condizioni oggettive dominanti in ciascuna epoca. Negli eventi decisivi che definiscono questo corso, però, determinati individui hanno un ruolo insostituibile. Fidel ha confermato questo principio.

È importante ricordare questo protagonismo di fronte alla mitizzazione ingenua che attribuisce lo straordinario corso seguito dal paese alla “pressione delle masse”. Tale formula presuppone che lo straordinario corso seguito dal paese abbia obbedito a bisogni radicali provenienti dal basso, che i dirigenti dovevano solo ratificare.

Di fatto, è successo l’inverso. Una direzione conseguente ha convinto la maggioranza grazie all’esemplarità del suo modo di comportarsi. Fidel fu alla testa dei leader che guidarono quell’impresa.

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I dilemmi irrisolti

Cuba non realizzò la rivoluzione che avrebbe voluto, ma quella che poté fare. Per questo sussiste uno scarto significativo tra ciò a cui si ambiva e quel che si è ottenuto. La principale ragione di tale iato balza agli occhi: nessun titano può costruire appieno il socialismo in un’area ristretta, sotto l’incalzare della principale potenza del pianeta. La cosa sorprendente è di quanto si sia riusciti a progredire di fonte a un rivale del genere.

Il piccolo paese ha conquistato enormi successi, che hanno rafforzato l’autostima nazionale e il prestigio del Comandante. Dalla Baia dei Porci fino alla riconsegna del piccolo Elián e alla liberazione dei cinque prigionieri degli Stati Uniti, Cuba ha ottenuto importanti vittorie sotto la spinta di Fidel.

Tuttavia, nessuno di questi obiettivi è riuscito a rimuovere il blocco, a chiudere Guantanamo o a disattivare i gruppi terroristici addestrati dalla CIA. Di fronte alla stretta economica, alla tentazione della cittadinanza statunitense, al miraggio dell’opulenza di Miami, è un miracolo l’inflessibilità dei cubani.

Questo eroismo è coesistito con gli specifici problemi che la rivoluzione affronta da lungo tempo. Le difficoltà sono da valutare proporzionalmente all’opera realizzata, tenendo presenti i limiti oggettivi di cui soffre l’isola.

L’economia è il terreno centrale di questi inconvenienti. Cuba ha dimostrato come uno schema non capitalistico consenta di evitare la fame, la delinquenza generalizzata e l’abbandono scolastico. In un paese con risorse più vicine a quelle di Haiti che non a quelle dell’Argentina, si sono conquistati progressi nel campo dell’alimentazione infantile, del tasso di mortalità o del sistema sanitario che sorprendono tutti.

Tuttavia, l’erronea imitazione del modello russo di statalizzazione completa ha comportato disfunzioni che hanno inficiato severamente la produttività agro-industriale. Questo errore è dipeso dalla difficoltà di rendere compatibili strategie rivoluzionarie continentali con politiche compiacenti nei confronti del mercato. L’idealismo richiesto dal primo obiettivo si scontra con l’egoismo della vita mercantile.

Dopo il periodo speciale, il paese sopravvisse grazie al turismo, agli accordi con imprese straniere e a un doppio mercato delle divise, che segmentò la popolazione tra coloro che percepivano rimesse e quanti ne erano privi. La società cambiò con quell’incipiente stratificazione sociale e con il successivo ampliamento dell’attività commerciale per risparmiare divise e far riprendere l’agricoltura.

Fidel promosse personalmente questa difficile svolta, cogliendo come il ritorno alla penuria degli anni Novanta avrebbe voluto dire il suicidio. Molti analisti ritengono che abbia inaugurato la restaurazione del capitalismo, dimenticando che questo sistema implica la proprietà privata delle grandi aziende e delle banche. Finora, le riforme hanno aperto maggiori strade alle cooperative, alla piccola proprietà e agli imprenditori, senza consentire la formazione di una classe dominante.

L’attuale modello presume di recuperare elevati tassi di crescita limitando al tempo stesso la disuguaglianza sociale. A tal fine mantiene la preminenza economica del settore statale insieme ai sistemi pubblici della sanità e dell’istruzione.

Mentre le trasformazioni procedono lentamente nel quadro di una maggiore espansione, restano aperte le tre alternative di lungo periodo: restaurazione capitalistica , modello cinese, o rinnovamento socialista.

Il prevalere di uno di questi modelli non avverrà ormai per mano di Fidel, che rifiutava la prima opzione, soppesava la seconda ed auspicava la terza. Il suo lascito è continuare a portare avanti il progetto ugualitario, entro gli stretti margini attuali per implementarlo.

Non è facile svolgere questo compito mentre crescono il peso del mercato, l’investimento estero, il turismo e le rimesse. Ma la soppressione di questi supporti per l’economia comporterebbe la fine della rivoluzione semplicemente per asfissia. L’equilibrio ricercato con le riforme costituisce un banco di prova indispensabile per qualsiasi futura trasformazione.

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Sfide di grande portata

L’establishment borghese ha sempre contrapposto alla “dittatura” dell’isola le meraviglie della democrazia occidentale. I presidenti della plutocrazia statunitense di solito contestano con grande ipocrisia il sistema di partito unico che permane nell’isola. Presumono che l’indistinta corporazione condivisa da Repubblicani e Democratici implichi una maggiore differenziazione.

Evitano inoltre di accennare a come i collegi elettorali violino il suffragio maggioritario e quanto basso sia il livello di affluenza alle urne nel loro paese rispetto all’alta partecipazione dei cubani.

Ancor maggior doppiezza manifestano le destre dell’America Latina. Mentre avallano il golpismo istituzionale in Honduras, Paraguay o Brasile, si indignano per l’assenza di formalismo repubblicano a Cuba.

Le critiche della sinistra vanno in altra direzione. Mettono in discussione la restrizione delle libertà individuali che ha generato nell’isola numerose ingiustizie.

Tuttavia, considerando i cinque decenni trascorsi, attira l’attenzione la natura scarsamente cruenta di tutte le radicali trasformazioni realizzate. È sufficiente il confronto con i precedenti di altri processi rivoluzionari per constatare il limitato numero di perdite umane. L’elevato livello di partecipazione popolare spiega questa conquista.

Cuba non ha mai patito la tragedia dei Gulag e per questo si è sottratta al crollo subito dall’URSS. Il suo è un modello politico molto controverso, ma finora nessun teorico della democrazia diretta, sovietica, o partecipativa ha indicato in che modo si dovrebbe governare sotto l’assedio imperialista senza ricorrere a norme difensive che restringono i diritti dei cittadini. La stessa rivoluzione ha sperimentato diversi meccanismi per correggere gli errori generati da una situazione del genere.

Molti analisti ritengono che la burocrazia sia la causa principale delle sciagure del paese, o la grande beneficiaria delle malformazioni del regime politico. Non vi sono dubbi sulla sua responsabilità in molte avversità. Siccome però questo struttura esisterà finché sussisterà lo Stato, non si va molto in là incolpandola di tutti i mali.

Di certo la burocrazia moltiplica le disuguaglianze e l’inefficienza. L’egualitarismo contribuisce a contrastare il primo problema, ma non corregge il secondo. Una crescente trasformazione democratica apporta contrappesi a queste disavventure, ma non fa miracoli. Su questi complicati terreni del funzionamento statuale sono sempre stati più utili gli inviti di Fidel ad assunzioni di responsabilità che non l’attesa di magiche ricette da laboratorio.

Quello della politica estera è un altro terreno in cui su concentrano severe messe in discussione del castrismo. I grandi mezzi di comunicazione presentavano Fidel come una semplice pedina dell’Unione Sovietica, ignorando la differenza che separa un rivoluzionario da qualsiasi governante servile. Non concepivano per Cuba altro comportamento se non quello delle marionette dell’impero.

Neanche alcuni critici di sinistra hanno compreso la strategia di Fidel. Il leader cubano si basava sull’alleanza con l’URSS per sospingere un processo rivoluzionario mondiale che il suo socio respingeva.

La tensione tra le due parti si verificò in innumerevoli occasioni (crisi dei missili, guerra del Vietnam, sollevazioni in Africa o in America Latina). Vi furono cedimenti e anche errori del Comandante, ad esempio l’approvazione da parte sua dell’invasione russa della Cecoslovacchia, occupazione che affossò il rinnovamento socialista che la Primavera di Praga prometteva. Tuttavia, trascorso il periodo di maggiore fermento rivoluzionario in America Latina, Fidel optò per un equilibrio tra compromessi diplomatici e sostegno continuativo ai movimenti ribelli. Tentò di superare l’isolamento di Cuba mantenendo il sostegno alle lotte degli oppressi. Castro fu costretto a contemperare le nuove esigenze di politica estera con le sue idee di rivoluzionario.

La destra continuò a criticarlo per l’appoggio alle rivolte popolari ed alcune correnti di sinistra ne contestarono l’atteggiamento contemplativo verso i governi delle classi dominanti.

Di certo, molti consigli di Fidel furono problematici, ma la responsabilità delle decisioni rimase in mano a chi riceveva i suoi suggerimenti. Il Comandante ha sempre trasmesso il valore della decisione propria nei processi di ciascun paese e la sua traiettoria fu segnata dalla disobbedienza alle autorità della sinistra del suo tempo.

Non va dimenticato come Castro ignorò le raccomandazioni del Partito Comunista in Sierra Maestra e le opinioni del Cremlino di fronte all’insorgenza latinoamericana. Il leader cubano ha insegnato con la sua prassi come operi un rivoluzionario.

L’omaggio migliore

Fidel è morto in un anno molto difficile. Sono andati al governo personaggi così detestabili quali Macri, Temer o Trump. I loro ideologi tornano a proclamare la fine dei progetti ugualitari, dimentichi di quante volte abbiano enunciato questa stessa sentenza. Fidel avrebbe detto che si deve capire cosa succede per frenare lo scoraggiamento.

Molti editorialisti sostengono che Castro non ha capito l’epoca contemporanea di consumismo, individualismo e pragmatismo. In ogni caso, ha però capito la crisi del capitalismo che determina tali comportamenti. Ai contestatori di Fidel sfugge questo elemento centrale.

I suoi avversare più volgari di Miami ne hanno celebrato la morte a suon di musica, confermando il loro totale disprezzo per la vita umana. Ma il festeggiamento ha costituito una ben magra consolazione per dei cospiratori che non sono riusciti a costruirsi un minimo di radicamento nell’isola.

Dato che Fidel si era ritirato ormai da un decennio, le reiterate speculazioni sul futuro di Cuba suscitano minore attenzione. Interessa molto, viceversa, cosa farà Trump. Ancora non si sa se le brutali dichiarazioni da lui formulate sulla morte di Castro facciano parte della sua incontrollata logorrea o se si tratti di anticipazioni di aggressioni di maggiore portata.

In qualsiasi caso, l’America Latina si deve preparare per resistere a un committente che ha promesso di espellere milioni di persone prive di documenti. Si approssima una nuova battaglia antimperialista che impone di combattere scetticismo e rassegnazione.

Certuni sostengono che Fidel abbia incarnato gli ideali di un segmento maturo lontano dalle prospettive della gioventù. Non tengono conto di come il capitalismo colpisca la nuova generazione, sospingendola a ridare vita a una resistenza. Lo sviluppo di questo processo tenderà a riattualizzare il progetto di emancipazione dell’America Latina.

Fidel si è battuto per la trasformazione rivoluzionaria di cui ha bisogno la società contemporanea. Ormai lui se ne è andato, e noi continueremo l’opera.

* Economista, ricercatore del CONICET (Consejo Nacional de Investigaciones Cientifica y Tecnica[Consiglio nazionale di ricerca scientifica e tecnica]) , docente dell’Universita di Buenos Aires (UBA), membro dell’EDI (Economístas de Izquierda [Economisti di sinistra]). Il suo sito web:www.lahaine.org/katz.

L’articolo è stato inviato direttamente dall’autore a Movimento Operaio, il blog di Antonio Moscato, ed è stato tradotto da Titti Pierini

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