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L’aria viziata di Mantova

La chiamano “la città senza vento”. E infatti a Mantova non si contano i giorni di stop al traffico per le polveri sottili. Smog, criminalità e cemento nella città che si è illusa di esser esempio di vivibilità

da MantovaChecchino Antonini

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  • Nel Palazzo Ducale di Mantova, reggia di Gonzaga, c’è un curioso appartamento che sembra stato ideato e costruito per ospitare un popolo di bambole. Stanzine, salottini, corridoietti, tutto in miniatura, tutto come in un giocattolo. Capricci di signori del tempo andato, capricci di architetti; ma non è una casa per le bambole, è l’appartamento dei nani di corte. [Gianni Rodari]

Si dice di Mantova che sia città senza vento. La nebbia e lo smog raramente mollano la presa. Mentre questo Left va in stampa, la centralina di Piazzale Gramsci registra 55 microgrammi di Pm10 per metro cubo d’aria. Solo se e quando irromperanno correnti da nord, l’aria sarà un po’ più respirabile. Si susseguono giorni di blocco del traffico e di divieto di ogni combustione all’aperto e perfino di accensione dei camini. Eppure, secondo uno studio di Italia Oggi, Mantova è la provincia dove si vive meglio, un dato sbandierato dal Palazzo di Città, ma smentito, proprio mentre Left si aggira per Mantova, da un’analoga ricerca del Sole24ore, per cui la città virgiliana precipita dal 29esimo del 2015 al 50° posto. «Se torturi i numeri abbastanza a lungo, confesseranno qualsiasi cosa», insegna lo statunitense Gregg Easterbrook.

Infatti, un’altro rapporto, Mal’Aria di Legambiente, dà conto che Mantova è tra le città che supera di più i livelli di polveri sottili e ultrasottili: è 84ma nella graduatoria della respirabilità compilata da Ecosistema urbano Legambiente. E sfora 49 giorni l’anno (è quarta in Italia) anche i limiti di ozono troposferico, un gas fortemente ossidante e tossico se inalato in grandi quantità.

L’inquinamento dell’aria si deve ai trasporti stradali, al riscaldamento domestico e al settore industriale ed energetico. La splendida città senza vento ha tutte queste concause in azione: i gioielli di famiglia (la Casa di Rigoletto, la Corte dei Gonzaga, i Giganti dipinti da Giulio Romano ecc…) sono circondati da tre laghi artificiali (frutto della bonifica del XII secolo delle paludi del Mincio), a loro volta assediati da sei giganteschi centri direzionali e commerciali (Mantova è 14ma per metri quadri di grande distribuzione in rapporto agli abitanti), sale slot e outlet, quartieri sorti dal nulla, villette a schiera e palazzoni nei comuni del circondario, e da quello che resta dei siti industriali. La chiamano la Grande Mantova. Quella “piccola”, dagli anni ’90, si sta svuotando di uffici e negozi. Una dopo l’altra hanno chiuso quasi tutte le piccole librerie in quella che, per cinque giorni l’anno, si trasforma nella capitale della cultura, arruolando 6-7mila volontari per il Festival Letteratura.

Anche nei centri commerciali molti spazi sono vuoti, ovunque si legge che si affitta o si vende. Nel nulla, a Borgonovo, si vorrebbe costruire un altro palazzetto dello sport, il terzo, con gli annessi e connessi dello opere di urbanizzazione. Qui le strade hanno i nomi dei cantautori italiani ma le palazzine, costruite da una cordata di coop emiliane, sono vuote all’80% mentre quasi duecento persone dormono per strada e quasi 800 famiglie sono in coda per un alloggio popolare.

Uno studente su quattro delle superiori vive in condizioni di disagio, secondo una ricerca del comitato Amici di Casa S.Simone (struttura di supporto della Caritas) ed è povero il 23,6% dei ragazzi che frequentano la terza media nella Grande Mantova, il 150% in più dal 2010. Presi in esame 15 parametri riguardanti beni e servizi come la disponibilità di biciclette, la pratica di attività sportive, il possesso di computer e libri, la frequenza di mostre o musei, oltre al consumo di carne, frutta e pesce. La causa di questa povertà, secondo la ricerca, è l’origine dei genitori. Se sono stranieri, poco istruiti e con difficoltà lavorative la metà dei loro figli manifesta condizioni di povertà.

Anche in altre zone intorno al centro molti edifici nuovi sono semivuoti oppure spiccano i scheletri di archeologia industriale – come la fornace di Fiera Catena – con le loro insidie di amianto. Nel popolare quartiere di Valletta Valsecchi, due palazzoni dell’Aler, l’azienda regionale di edilizia pubblica, sembrano portati qui da una città in guerra per quanto sono scorticati. Non ci vuole molto per immaginare quali mire di gentrification possano annidarsi in una zona a cinque minuti a piedi dal centro medievale. Nel quartiere Angeli le cataste di eternit dell’ex pastificio sono a ridosso di un parco giochi per i bambini.

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«Lo svuotamento della città ha trasferito ricchezza verso la grande distribuzione e ha provocato un impoverimento generale. Ormai si vive di grandi eventi che non hanno alcuna sedimentazione nella vita quotidiana delle persone, vale per la cultura, la musica e lo sport», racconta Corrado Patuzzi, attivista di La Boje, spazio sociale nella periferia sud.

Nella nebbia, il Ponte di Nervi sembra un miraggio sbiadito ma la Cartiera Burgo, di cui l’edificio è sede, è uno spettro che si aggira su un territorio martoriato: «La cartiera aveva chiuso tre anni fa ma ora, una nuova proprietà, la ProGest, vuole riaprirla solo per poter disporre di un inceneritore. E’ il solito ricatto lavoro in cambio di salute», spiega Enrico Lancerotto, giovane insegnante mentre attraversiamo Lunetta, il “Bronx” virgiliano, palazzoni grigi e strade colabrodo. Un quartiere nato al di là dei laghi negli anni 70 quando la città aveva 20mila abitanti in più e lo sviluppo industriale sembrava non avere fine. Le bonifiche vanno a rilento: il lago Superiore è avvelenato dai depuratori del Garda e delle porcilaie dell’alto mantovano. In un’area dove abitano in 400mila si calcolano due milioni di maiali. Il Lago di Mezzo è pieno del piombo della cartiera Burgo e quello Inferiore degli scarichi del comparto petrolchimico.

Conferma Paolo Rabitti, ingegnere, urbanista e consulente delle procure in diversi processi contro Eni, Impregilo e petrolchimici di Marghera e Brindisi: «La Cartiera confina con il popoloso quartiere di Cittadella, è a pochi metri dalla Società Canottieri Mincio, a poche centinaia di metri dal comune di Porto Mantovano ed a circa un chilometro dal centro storico: in un ambiente così delicato e compromesso il proponente e la Provincia hanno dribblato la necessità di effettuare un qualsivoglia controllo sugli eventuali impatti con l’escamotage di dichiarare falsamente che il nuovo impianto avrebbe avuto emissioni inferiori a quello esistente. Inoltre, a tre chilometri, ci sono un petrolchimico con un inceneritore per rifiuti pericolosi e una centrale turbogas della potenza di 780 Mw (circa 70 volte la potenza della centrale proposta per la cartiera), una raffineria ed un’importante industria metalmeccanica. Il terreno del petrolchimico e della raffineria è oggetto di bonifica per la presenza di idrocarburi, diossine e pcb. La falda acquifera è contaminata da uno strato di idrocarburi galleggiante che arriva ad un metro e mazzo di spessore, come ripetutamente certificato dall’Arpa per un decennio. Si è appena concluso a Brescia il processo contro Montedison (precedente propietario del petrolchimico) per la morte di molti operai causata da amianto e di benzene. L’Istituto Superiore di Sanità ha certificato un’emergenza sanitaria tra gli abitanti intorno alla zona industriale per la anomala concentrazione di sarcomi dovuta probabilmente ad emissioni di diossine. Lo stesso Iss ha evidenziato nello studio Sentieri ulteriori rischi per la popolazione».

«Una città così ridisegnata dalle politiche neoliberiste è una città che si muove solo in automobile. Il paradosso è che le difficoltà dei trasporti e la scarsa qualità delle strade, fanno sì che qui sia più facile trovare un posto da insegnante. Pensa che la ferrovia Mantova-Milano è tra le prime cinque per ritardi in Europa», dice Mirko Rauso venuto dalla Lucania per fare il professore di Lettere. Dalla periferia al centro del centro storico, a piedi (ad esempio dall’Ospedale a Piazza Sordello) non servono più di 25 minuti ma nella Ztl circolano 12mila automobili visto che gli autobus passano minimo ogni mezz’ora.

una versione di questo articolo è uscita in edicola con il numero 51 di Left del 2016

«Quando è spuntata la notizia del primato della vivibilità i ciclisti sono quasi caduti dalle bici. Già, perché quel dato sulle ciclabili non spiega che al 90% le piste sono promiscue con i percorsi pedonali e i tratti ciclabili sono scollegati fra loro – spiega a Left, Daniele Mattioli, ambientalista di lungo corso ora attivo nella Fiab – Mantova è una città per ciclisti della domenica, le due ruote sono pressoché inservibili per l’uso quotidiano e il circuito presenta troppi pericoli per i bambini. Il Ponte sulla Diga Masetti, ad esempio, è inagibile da mesi per chi va in bici perché nell’aria ci sono troppi idrocarburi policiclici aromatici. E siamo quarti, in Italia, per le polveri sottili. Manca un piano per la ciclabilità nella Grande Mantova e i dati sull’incidentalità dicono che il 29% dei sinistri coinvolge utenti deboli, pedoni e ciclisti col 50% di responsabilità degli automobilisti».

Una città disegnata così, stando alle cronache giudiziarie, è anche la risultante della penetrazione della ‘ndrangheta nel tessuto sociale ed economico. «Mantova non è fuori dai grandi circuiti della criminalità organizzata – scrive Claudio Meneghetti, nel suo “‘Ndrangheta all’assalto delle terre dei Gonzaga” (2011) – luogo dove possono passare inosservati personaggi di primo piano delle varie mafie (…) Rapporti istituzionali e con la politica sono d’obbligo. Chi quindi sostiene che tutto è sotto controllo e che le mafie nel mantovano hanno solo presenze marginali sbaglia. E’ superficiale oppure in malafede». Le inchieste, fin dagli anni ’90, hanno portato alla luce sia la guerra tra i clan sia le connivenze con la politica. «Ma c’è ancora troppo silenzio, mancano strumenti istituzionali e per questo la città si sta attivando dal basso», dice Fiorenza Brioni, ex sindaca di centrosinistra tra il 2005 e il 2010, facendo riferimento al nascente osservatorio antimafia scaturito dal lavorìo di alcune associazioni per attivare anticorpi in un territorio pieno di beni confiscati e teatro di indagini importantissime come l’inchiesta Pesci, promossa dalla Dia di Brescia. 26 persone sono sotto processo, tra cui Sodano l’ex sindaco di centrodestra (unico dal dopoguerra), Sodano, e l’amico e conterraneo (anche lui calabrese) Antonio Muto, l’imprenditore di Curtatone autore del progetto Lagocastello, cancellato dopo una battaglia legale durata anni e iniziata proprio da Brioni. Una lottizzazione mostruosa: 250 villini, un albergo e un condominio, sulle sponde del Lago Superiore, proprio di fronte a Castello S.Giorgio approvata dalla giunta Burchiellaro (Ds) ma con «un percorso amministrativo anomalo – ricorda Brioni – senza valutazione di impatto ambientale». Nel 2006 inizia l’iter per il blocco del progetto e per vincolare laghi e sponde che terminerà sei anni dopo. Ma nel 2008, Brioni troverà 17 proiettili dentro una busta recapitata in municipio. La spiegazione nelle carte dell’inchiesta Pesci: dalle rivelazioni di un collaboratore di giustizia viene fuori che Muto, legato al clan che vinse la guerra delle ‘ndrine, avrebbe voluto dare una lezione alla sindaca che aveva bloccato la clamorosa speculazione e il sindaco di centrodestra che le successe avrebbe tentato di corrompere un sottosegretario di Forza Italia e un ex presidente del Consiglio di Stato per non far evaporare definitivamente l’affare Lagocastello». Il processo è ancora in corso. Il Pd s’è ripresa la città con un giovane sindaco, Mattia Palazzi, leader locale dell’Arci, gradito a Renzi, Bersani, Colaninno e Marcegaglia, che è stato più volte consigliere e assessore, ma che s’è presentato e ha vinto con una formidabile operazione di maquillage: la lista gialla, il colore di moda nella primavera-estate del 2015 e per adottato nella campagna elettorale.

 

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