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Quando gli Area volevano abbattere i Led Zeppelin. Il Prog italiano

Prog italiano. In libreria Musica per il pensiero. Filosofia del progressive italiano. L’anticipazione per Popoff, una colonna sonora e una festa a Roma per presentarlo

di Baptiste Le Goc e Marco Maurizi

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Ecco un’anticipazione del volume Musica per il pensiero. Filosofia del progressive italiano (Mincione edizioni) intervallata da alcuni brani scelti dagli autori come significativi dell’epopea musicale che raccontano. Il libro sarà presentato domani sera a Roma, Critical bar di via dei Latini a San Lorenzo.

Si è spesso sostenuto che la musica progressiva italiana non sia stata altro che una riproduzione di stilemi importati dalla coeva musica inglese. Seppure è certo che il prog d’Oltremanica abbia avuto una funzione seminale e sia stato, per molti dei gruppi italiani, una chiara fonte d’ispirazione, è certo che il significato culturale, sociale e politico dei due fenomeni non solo non coincide ma è, per molti diversi, radicalmente differente. Per tacere delle differenze stilistiche, che pure ci sono, e del carattere autoctono e orgogliosamente indipendente di alcuni autori nostrani (basti citare il caso degli Area e di Battiato). […] Comprendere il prog italiano non solo come “derivativo” del progressive inglese ma come fenomeno specifico (e per molti versi autonomo)necessita di alcune contestualizzazioni di tipo storico, politico e culturale. I livelli su cui questa analisi dovrebbero essere condotti sono almeno tre: 1) la storia dei rapporti sociali (con particolare riferimento ai rapporti di classe in Italia nel periodo ’68-’76); 2) la storia della “cultura giovanile” a livello internazionale e, più nello specifico, 3) la storia della canzone italiana nel secondo dopoguerra. Solo dall’intreccio di questi tre fattori, infatti, ci sembra sia possibile offrire lo sfondo necessario a comprendere la stagione della musica progressiva italiana, la sua genesi, il suo sviluppo, i suoi limiti e, forse, la sua fine. […]

A metà degli anni ’60 l’influenza della beat generation americana e dei fermenti beatlesiani che provenivano dall’Inghilterra sancì uno scatto importante: la nascita di una vera e propria cultura giovanile non solo fatta per ma anche dai giovani. Al di sotto dei gruppi di successo che prendevano a prestito musiche e atteggiamenti del beat inglese, iniziò a diffondersi un sottobosco di fanzine, locali, associazioni giovanili che iniziavano a prendere sul serio i temi diffusi dalla cosiddetta controcultura. L’espressione “controcultura” fu coniata da Theodore Roszak nel 1968 per descrivere il diffondersi di un atteggiamento critico nei confronti dell’establishment e che vedeva impegnate figure sociali diverse (operai, studenti, femministe, attivisti per i diritti civili) nel tentativo di elaborare un sistema di idee e valori opposti a quelli dominanti. È interessante notare come l’obiettivo polemico della controcultura, secondo Roszak, non fosse semplicemente il capitalismo ma una figura più ambigua e composita, la “tecnocrazia”, ovvero un complesso sistema di rapporti industriali, tecnologici e politici che favoriva e garantiva la concentrazione di potere e ricchezza nelle mani di un’élite. Una visione che caratterizza molto bene alcuni dei testi della musica contestativa dell’epoca, incluse certe tendenze “ecologiste” del prog. […]

Fin da subito l’obiettivo degli Area è quello, come dice Stratos di “abolire le differenze che ci sono fra musica e vita”. La loro musica è dunque solo una continuazione del loro impegno reale e della loro esperienza quotidiana. Le loro canzoni sono fortemente legate all’evoluzione del contesto sociale, delle forme di lotta politica, all’epoca del terrorismo durante i cosiddetti anni di piombo. “Il testo come documento della realtà, come una sorta di ‘cronaca’ e di gazzettino del quotidiano. Ma soprattutto come megafono di quella che era la lotta: nel senso di lotta al potere costituito, all’establishment”. […] Ne L’Abbattimento Dello Zeppelin, ad es., gli Area attaccano la nuova mitologia rock che ha preso il sopravvento nelle classifiche, negli stadi, sui giornali. Prendendo i Led Zeppelin a pretesto di una mercificazione totale della musica ne immaginano la ignominiosa e rovinosa fine, come fu del famoso dirigibile, simbolo del potere e dell’arroganza umana distrutto in un incidente.

Il mostro-Led Zeppelin “sembrava ubriaco di un grande potere” ma all’improvviso: “un rumore d’acciaio lo ha fatto cadere/piombare nel fango senza più stile”. Gli Area si sentono accusati di questa rovinosa caduta (“dicono che è colpa mia”) perché, come chiarisce Debord – un altro pensatore decisivo di quegli anni  – la società dello spettacolo funziona finché le si crede: si nutre degli sguardi, succhia la vita dello spettatore riducendo la realtà a immagine. Smettere di credere alla mitologia del rock system significa iniziare a buttarne giù gli idoli. Ma è altrettanto interessante e decisivo che gli Area fossero consapevoli dell’inevitabile carattere di merce della musica, compresa la loro. In questo furono senz’altro più coerenti e radicali di molti altri gruppi dell’epoca, convinti che l’art rock avesse in qualche modo trasceso il mercato e realizzato una comunicazione tra musicisti e pubblico su un livello autonomo dalla legge dell’accumulazione capitalistica. Questa legge è invece nell’orizzonte del capitalismo occidentale intrascendibile. “Ci sono cinque musicisti che hanno una rabbia repressa perché hanno suonato per tanti anni quello che volevano i padroni”.

(tratto da Baptiste Le Goc – Marco Maurizi, Musica per il pensiero. Filosofia del progressive italiano, Mincione edizioni, Roma 2017)

musicapensiero

Ascolti:

Area, L’Elefante Bianco

Orme, La porta chiusa

PFM, Il banchetto

Battiato, Meccanica

Banco del Mutuo Soccorso, Canto nomade per un prigioniero politico

 

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