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Quanta violenza nel baule della democrazia

Note a margine di Violenza e democrazia. Psicologia della coercizione: torture, abusi, ingiustizie di Adriano Zamperini e Marialuisa Menegatto

di Sebastiano Lo Monaco

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Volevo iniziare la recensione del libro Violenza e democrazia. Psicologia della coercizione: torture, abusi, ingiustizie (Mimesis, 197 pagg, 18 euro), un titolo wertmullerriano, con una parafrasi di Gilles Deleuze: “La democrazia è un concetto baule”. Nel senso che all’interno di quel concetto si trova di tutto ed il contrario di tutto. E’ un operazione, quella di sviscerare l’interno del significato di democrazia, che ben riesce ad Adriano Zamperini e Marialuisa Menegatto, gli autori di questo testo scorrevole, discorsivo, ma che si tiene lontanissimo dalla banalità nella quale è rischioso cadere quando si trattano argomenti come Libertà, Democrazia e Violenza.

Già dall’introduzione di Miguel Benasayag, si nota che non ci si fermerà ai puri concetti ma che si andrà a fondo nel significato, si squarcerà il velo di Maya che nasconde il vero volto della Democrazia. A partire dalla differenza che pone Aristotele tra, uomo libero e schiavo. Il libro parte da quella definizione e Benasayang non ha nessuna remora a vedere nell’uomo moderno, flessibile, liquido come vuole la società ed il mercato, l’erede di quello schiavo che veniva ben descritto dalla Stagirita.

Nella libertà rientra quella grande parola, forse ancora più grande e per questo sempre più capiente di contrari che è la Democrazia. Democrazia vista come la panacea di tutti i mali: “Siamo in democrazia”, “Esportiamo Democrazia”, “In uno stato Democratico…”  Ad una prima analisi, la democrazia appare come un oasi di pace, di razionalità. Uno spazio tranquillo e tutelato. Nella Democrazia molte cose non possono accadere, si pensa a torto.

Potrebbe mai accadere, in uno stato democratico, che gente riunita in una scuola venga picchiata sino a lambire la morte, che sempre questa gente venga portata in una caserma e li gli venga usata violenza fisica, verbale, psicologica, che all’interno di quella scuola vengano ritrovate prove false, fabbricate non da agenti invasati ma da questori, vice questori, capi della mobile e compagnia bella? Potrebbe succedere che una pattuglia di Polizia fermi qualcuno e che questo qualcuno non faccia più ritorno a casa? Certo, potrebbero arrestarlo se ha commesso un reato. Ma se questo qualcuno, facciamo un ipotesi, per un controllo di documenti che sfocia in un diverbio o perché in stato di agitazione, venisse malmenato sino a piegare gli sfollagente sulla schiena, se questo qualcuno venisse portato in caserma e li percosso sino a sfondargli i genitali, se questo qualcuno finisse nelle mani dello stato, all’interno di un ospedale  e se dalle mani dello stato ne uscisse cadavere? Siamo sempre dentro al concetto di Democrazia, sino adesso non lo abbiamo mai abbandonato.  Allora quell’ipotesi che abbiamo fatto non è più un ipotesi ma un fatto. Acclarato dalle sentenze che siano di assoluzione o di condanna ma c’è una narrazione giurisprudenziale dietro, allora, a quei concetti di Democrazia e di Libertà bisogna affiancare quello di Violenza.

Certi atteggiamenti sarebbero “giustificati” in un regime. Se mi trovo nella Germania Nazista o nell’Italia Fascista, che la Gestapo mi fermi per strada che  l’Ovra mi carichi in macchina con un sacco nero sulla testa, posso aspettarmelo. Il cittadino “libero e democratico” non ha nessuno strumento di difesa, quando si trova dinnanzi a certe situazioni e per difesa non intendo armi o avvocati ma una difesa ben più profonda. Una difesa psicologica che porta il cittadino a sospettare che il peggio possa accadere. Alla fine parliamo di Democrazia e Libertà. Perché dovrei temere di non tornare più a casa? Perché dovrei sospettare delle Forze dell’Ordine? Sin da piccoli ci viene insegnato che, nel momento del bisogno, c’è sempre un poliziotto pronto ad aiutarci e magari riportarci a casa. E’ davvero così?

Eppure è nelle società democratiche e libere che si stà attuando e costruendo il “panopticon”, teorizzato da Jeremy Bentham e studiato da Michel Foucault che nel suo “Sorvegliare e Punire”, teorizzava la seguente ipotesi :“La prigione è una forma usata dalle “discipline”, un nuovo potere tecnologico, che può ritrovarsi, anche nelle scuole, negli ospedali, nelle caserme, e così via. “

Il tutto senza mai uscire dal concetto di democrazia.

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Ma la democrazia è un concetto baule e soprattutto certe cose, non solo non possono accadere ma non si devono nemmeno dire e se devono essere nominate bisogna rinominarle.

Se il cittadino democratico e libero deve leggere di certe notizie bisogna metterlo nella condizione di desiderare, determinate azioni. Creare timore, allarme, inventare un nemico che attenti alla libertà e alla democrazia, che sia reale non importa. Il cittadino democratico e libero deve dare legittimazione al potere. Nel momento in cui il potere ha la sua legittimità, la vittima del sopruso cessa di essere tale e diventa il criminale, quello che “se l’è cercata” e se a dirlo sono “ministri” come Giovanardi, sindacati di polizia e tribunali, allora, il cittadino democratico si sente in diritto di dire la sua e non farà altro, in gioco dell’oca dell’impudenza, che dare potere al potere. Si viene a creare quel triangolo in cui i vertici sono occupati dal “Soggetto attivo” (forze dell’ordine, stato, etc…), dal “Soggetto Passivo” (La vittima) e, di fondamentale importanza il “Soggetto Passivo” (lo spettatore, il cittadino democratico che legittima la violenza, approvandolo o condannandola) sul quale il testo di Zamperini e Menegatto fa ruotare tutta la prima parte dello scritto.

In una democrazia, il cittadino spettatore, assume un ruolo cardine. Il cittadino spettatore è libero nella sua scelta di approvare o negare l’accaduto. Può distogliere lo sguardo, fare finta di nulla, applaudire, bramare altra sicurezza, può essere compartecipe delle violenze, prestando il suo sapere; Psicologi e Psichiatri hanno fatto la storia nell’ambito degli esperimenti, basta ricordare l’esperimento Milgram o quello della Stanford, l’effetto Lucifero studiato da Zimbardo ma anche nell’ambito di quella che viene definita “tortura bianca”.  Può anche fare l’inverso; provare ribrezzo per l’accaduto, testimoniare, negare la propria competenza.

Fu Melvin Lerner, ad elaborare la teoria dello spettatore. Secondo tale teoria, gli esseri umani, sarebbero in grado di elaborare un idea di giustizia fondata sul merito. Si è indotti a credere che le persone ricevano quello che si meritano o per dirla meglio, si meritano quello che ricevono. Questo modo di pensare altro non è che un piumone dentro la quale nascondersi, un porto tranquillo e sicuro che mette in riparo, il cittadino spettatore, dal poter essere lui la prossima vittima. Una ninna nanna ingannevole, distorsiva a tal punto da evitare le evidenze, un deceptive mirror dentro la quale specchiarsi ogni mattina. Un modo di “ragionare” che addormenta la coscienza e una coscienza addormentata non fa altro che produrre mostri.

Non si producono solo mostri ma si lasciano agire, indisturbati, i professionisti della coercizione. E allora via libera alle violenze imposte come una qualche forma di educazione al tossico o al ragazzino di turno un po’ alticcio . Minacce, punizioni, uso della forza fisica, contenimenti psichiatrici. Il tutto sotto l’occhio dello spettatore, sotto l’occhio del panopticon. Rimanendo all’interno di quella democrazia tanto sbandierata e acclamata dai più.

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Una democrazia come quella italiana, condannata dalla Corte dei Diritti dell’Uomo per tortura inerente ai fatti di Genova del 2001. Nel luglio del 2001, nel capoluogo ligure si ebbe la manifestazione, chiara, di cosa è in grado di fare uno stato democratico, con un parlamento legittimamente eletto. Violenze, omicidi, torture. Il tutto sotto la coscienza dormiente di una parte della popolazione. Sì, perchè un’altra parte non dormì affatto e all’indomani delle violenze iniziarono le prime denunce; i primi testimoni dinnanzi ai magistrati parlarono non di una democrazia ma di una dittatura sud americana. Ci furono anche funzionari delle forze dell’ordine che, prese da rimorso, testimoniarono affermando di essere stati i partecipi di una “macelleria messicana.”

Come evitare un’altra Bolzaneto allora? Basta una legge contro la tortura? Cosa che l’Italia si è sempre guardata dal fare, in modo decente.  Eppure una legge è nata. Raffazzonata, all’italiana, forse del tutto inutile se si dovessero verificare altre situazioni come quella di Genova. In cosa consiste la legge presentata alla camera (poi approvata) dal senatore Manconi?

Una legge approvata dopo 29 anni di attesa dalla ratifica della convenzione internazionale. Quello che ne è uscito fuori è un pastrocchio della peggior specie. A partire dalla qualificazione del delitto come reato proprio, ossia, imputabile ai pubblici ufficiali e a coloro che prestano pubblico servizio. Ad esempio, sarebbe calzato a pennello ai medici che hanno inchiodato ad un letto di contenzione Franco Mastrogiovanni, che è poi stato ritrovato morto.  E’ un reato che deriva dall’abuso di potere; dal ricorso alla tortura da parte di chi il potere lo detiene. Il problema del testo approvato è che, di tutto questo, non c’è nemmeno l’ombra. Nella legge approvata, si tratta, di un atto di violenza paragonabile a qualunque altra forma di lesione, un reato comune. Il punto principale di tutta la questione è che non s’è avuto il coraggio di qualificare la tortura come reato proprio. Un parlamento, ostaggio dei ricatti compiuti dai sindacati di polizia, ha calato le braghe per il timore di un presunto accanimento nei confronti delle forze dell’ordine.

Una mentalità corporativa che sconfina nell’omertà, una presunta fratellanza di corpo, gerarchicamente immobili, impermeabili ai movimenti del corpo sociale, pronti a difendere i loro interessi, ha fatto temere, al governo, di avere contro tutte le sigle sindacali e operatori di polizia. Si sarebbe trattato, invece, di regolamentare un rapporto totalmente diseguale tra cittadino e pubblico ufficiale; contenere, in certi limiti, l’uso illegittimo della forza e di evitare, per quanto possibile, gli abusi di autorità. Invece niente di tutto questo accadrà. Eppure, combattere per avere chiarezza sarebbe convenuto anche alle stesse forze dell’ordine.

Quella appena nata è una legge che dovrà fare i conti con la commissione europea sui diritti umani: il problema è che il reato di tortura, come indicato dalla Convenzione delle Nazioni Unite ratificata dall’Italia nel 1989, dovrebbe servire a punire specificamente i casi di abuso di potere e non qualsiasi tipo di comportamento violento tra privati cittadini (comportamenti simili da parte di privati cittadini erano già punibili da altri articoli del codice penale). Per questo motivo, secondo alcuni critici, la legge approvata  potrebbe essere incostituzionale, poiché non in accordo con i trattati internazionali sottoscritti dall’Italia.

Police-on-Playback-still-2Nella legge, la possibilità che il reato venga commesso dai pubblici ufficiali, è inserita nel secondo comma è risulta come una semplice aggravante del reato. Non solo, ma il reato è previsto se si verificano violenze e minacce e se il fatto è commesso mediante più condotte. Ossia, il singolo atto di violenza su di un fermato potrebbe non essere punito. Inoltre vi è il passaggio da “Cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche” a “cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico.” Come fregare con le semplici parole. La norma prevede, perché vi sia tortura, un verificabile trauma psichico. Ma i processi per tortura avvengono per loro natura anche a dieci anni dai fatti commessi. Come si fa a verificare dieci anni dopo un trauma avvenuto tanto tempo prima? Tutto ciò significa ancora una volta che non si vuole seriamente perseguire la violenza intenzionale dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio in danno delle persone private della libertà, o comunque loro affidate .

Le parole di Enrico Zucca, pm nel processo Diaz, alle quali i due autori dedicano il libro, dicono che le violenze della scuola Diaz, avvenute nel luglio del 2001, se giudicati con la nuova legge, non sarebbero qualificabili come torture. Cosa che invece chiede la Corte europea con una condanna chiara, avvenuta nel 2015 con cui invitò l’Italia a darsi una legge che punisse a dovere la tortura. Cosa che, puntualmente, non è avvenuta.

Chi ci può salvare allora dalla violenza che si nasconde sotto il volto pacifico e falso della democrazia? Nel libro, Adriano Zamperini e Marialuisa Menegatto, impongono molta rilevanza al ruolo dello “Spettatore”, uno dei lati del triangolo citati sopra. E’ solo lo spettatore, il Cop Watching che ha preso piede in America, a poter avere un minimo di controllo. Negli Stati Uniti, vista la continua ondata di soprusi compiuta da gente in divisa, la popolazione è diventata molto guardinga e non esita di utilizzare il cellulare per riprendere malefatte e vessazioni. Effettivamente viviamo perennemente collegati, compulsare Facebook in attesa di un like, postare piatti su Instangram, insomma abbiamo sempre il cellulare in mano; usato nella giusta maniera potrebbe diventare l’unico deterrente, in mano al cittadino inerme, per testimoniare le malefatte di chi indossa una divisa.

Chi può salvarci dalla tortura è lo spettatore, il terzo come pubblica opinione. In qualità di cittadini siamo chiamati a guardare con il giusto rispetto chi indossa una divisa, rappresentativa di un sistema democratico che è a sua volta un concittadino. Però, nello stesso tempo, il nostro sguardo deve essere intenzionato alla consapevolezza che è nello spazio delle istituzioni civili che si stabiliscono norme circa l’uso della forza fisica. Siamo noi cittadini spettatori a decidere, attraverso la partecipazione democratica, come vogliamo essere trattati, non certo un ufficiale dell’esercito o un funzionario di pubblica sicurezza” (pp.81).

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Il libro ruota molto intorno alla figura dello “spettatore”, lo pone in un ruolo di attore principale, colui che può fare la differenza. E’ sempre lo spettatore a fare il bello e cattivo tempo. Molte vittime della scuola Diaz e della caserma Bolzaneto, hanno ricevuto una fredda accoglienza, guardati ancora oggi con sospetto; visti come nemici che, alla fin fine, cercavano rogne e se li hanno picchiati, beh…vuol dire che se lo meritavano. A poco servono le sentenze che nessuno si prende il disturbo di leggere. I mass media, fatte debite eccezioni, passano a stento determinate notizie senza prendersi, anche loro, il disturbo di spiegare cosa è successo.

Il mattatoio, allora, per la popolazione libera e democratica è un qualcosa di lontano, di difficile comprensione. Il cittadino democratico brama la sicurezza e l’agente incaricato gliela dà; tenendogli lontano quel nemico immaginario al quale lo stesso cittadino ha dato voce, peso e consistenza. Ma in uno stato democratico, la violenza bramata e richiesta, per tenere l’orda barbarica che minaccia il quieto vivere del libero cittadino democratico, andrebbe condannata, così come andrebbe condannata la tortura.

In uno stato democratico sarebbe logico risarcire le vittime che hanno subito soprusi e abusi. In uno stato democratico andrebbero riabilitati coloro che sono stati additati come “pericolosi”. Siamo davvero in uno stato democratico? Si, se ci limitiamo a leggere la costituzione, mai del tutto ascoltata e applicata. Uno stato si può definire, libero e democratico, solo perché ogni tot di anni consente al cittadino di recarsi alle urne e scegliere chi rappresentarlo? In conclusione, se questo è sufficiente, allora, siamo in piena democrazia, lo stato adempie alle sue funzioni, il parlamento è liberamente eletto dal cittadino e tutto funziona. Ma se invece, all’interno del concetto di democrazia e libertà accade tutto quello che è scritto in questa breve recensione o se accade quello che ben delineano Zamperini e Menegatto? Il libro va letto sino in fondo perché risponde in modo chiaro a tutte le domande che ci si possa fare. Squarcia il velo di Maya; dietro alla quale si scopre il volto dell’ipocrisia che indossa la bianca e candida maschera della democrazia. Dietro vi è un volto malato, quasi cianotico, come quello della democrazia italiana.

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