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Da Lupin al furto di Venezia, destrezza di altri tempi

Il furto a Palazzo Ducale di Venezia, in linguaggio tecnico si chiama furto con destrezza, roba d’altri tempi. Ritorno di ladri gentiluomini?

di Enrico Baldin

C’erano una volta i ladri gentiluomini. Quelli che si trovavano nei vecchi romanzi, come Robin Hood e Lupin, quelli che esistevano anche nella realtà e che oggi non ci sono (quasi) più. Difficile trovare qualcosa di positivo in un’attività criminale, ma anche nel rubare c’è modo e modo di farlo. Anzi, per qualcuno più che una attività è un’arte e ciò che si è visto pochi giorni fa a Venezia pare un vero e proprio colpo a regola d’arte. Gli autori hanno preso regolarmente il biglietto d’ingresso per Palazzo Ducale, si sono aggirati per le sale vedendo la mostra, si sono avvicinati ai gioielli e in pochi secondi, aprendo tranquillamente la teca che li custodiva, se ne sono impossessati e hanno nascosto la refurtiva. In un minuto, senza dare nell’occhio, si sono dileguati avvalendosi probabilmente di una manomissione dell’impianto d’allarme, partito in ritardo.

In linguaggio tecnico si chiama furto con destrezza, roba d’altri tempi. Oggi infatti queste cose non esistono quasi più, complici i sempre più elevati livelli di protezione e di allarme. Il furto di mercoledì scorso che ha mandato in subbuglio più d’uno e che ha fatto arrossire di vergogna qualche altro, è parsa cosa d’altri tempi. Senza armi, né violenza, né minacce, senza scompiglio né disagio per i presenti, i rapinatori si son portati via i gioielli. Non fosse che è pur sempre un gesto contro la legge, per lo stile “educato” verrebbe quasi voglia di congratularsi coi rapinatori.

Furti d’altri tempi dunque, che fanno passare per ridicole le guardie e mettono simpatia per i ladri. Nella storia, tra gli illustri rappresentanti di questa categoria, vi sono anche personaggi a cui si fa fatica a pensare con ferma condanna. Un po’ per una certa etica dei furti, un po’ per lo stile o per il modo di usare la refurtiva, ci sono ladri e ladri, criminalità e criminalità, che non si può mettere tutta nello stesso mucchio.

Willie Sutton ad esempio è uno dei capostipiti di questa categoria. Faccia simpatica, sempre ben vestito e sempre a volto scoperto perché ispirava fiducia, faceva rapine rigorosamente con pistole scariche per non rischiare che qualcuno si facesse del male, come dichiarò a carriera criminale finita. Studiava i suoi colpi con attenzione, fino a diventare un’artista del crimine, un rapinatore da manuale. Teneva che non ci fossero sbavature né troppi disagi, e se un bambino o una donna si mettevano a strillare lasciava perdere tutto, perché gli dispiaceva e non si sentiva sereno. Attivo nella prima metà del secolo scorso negli Stati Uniti, Sutton era il tipico ladro un po’ artista un po’ gentiluomo. Sempre dagli Stati Uniti viene un altro ladro divenuto celebre per menzioni positive legate alla sua carriera criminale. Eddie Bunker, di estrazione proletaria, genitori separati e una infanzia difficile finisce in riformatorio presto. Entra e esce dal carcere: rapine a banche anche a mano armata, spaccio di stupefacenti, estorsioni. Si fa beccare spesso, perché come criminale non è granché. Il suo vero talento è quello della scrittura. Eddie sa pensare, sa parlare e sa scrivere. E con una macchina da scrivere in mano lascerà il crimine e diverrà uno scrittore di grande successo con centinaia di migliaia di copie vendute e con l’ispirazione per numerosi film. Il genere naturalmente è il noir, l’ispirazione è la sua vita in carcere e quella nella malavita.

Arsenio Lupin è un personaggio di fantasia partorito dalla mente di Maurice Leblanc ad inizio del ventesimo secolo. Nella stessa Francia viveva Marius Jacob che qualche tratto di Lupin III l’aveva. Jacob dopo aver lavorato in nave era diventato un rapinatore. Solo che lui le rapine le chiamava “recuperi”, perché non si trattava di derubare ma di recuperare per poi redistribuire. Era una restituzione la sua, perché i soldi stavano tutti da una parte, quella dei ricchi, e mancavano da un’altra, quella dei poveri. Con i colpi fatti dalla sua banda, ai danni di ricchi borghesi, finanzieri, padroni, preti, finanziò l’attività del movimento anarchico francese e diede quel che poteva ai poveracci, senza arricchirsi. Nel suo curriculum non mancano quelle cose che rendono un ladro leggendario: i travestimenti, le tecniche avanzatissime, le evasioni. Quando si fece beccare si difese in tribunale considerando la sua una attività politica e non criminale. La teatralità e le argomentazioni di Jacob però non impietosirono i giudici.

In Italia tra le figure dei ladri alternativi si annoverano tra gli altri Luciano Lutring e Renato Rinino. Il primo, milanese, amante delle belle donne e della bella vita, rapinava nascondendo il mitra dentro ad una custodia per violino. Si innamorò di quella che poi divenne sua moglie rapinandola, la conobbe restituendole il maltolto. Arrestato dopo centinaia di rapine smise di fare il criminale e avviò una carriera da pittore e scrittore. Espose i suoi quadri in alcune gallerie e pubblicò sei libri. L’altro – Renato Rinino – scomparso dieci anni prima di Lutring appena 40enne passò alla storia (anche) per le restituzioni. Restituì la refurtiva a un pensionato derubato pochi giorni prima, restituì il denaro ad una anziana (con l’aggiunta di 6 milioni di lire di scuse) una volta saputo che viveva in condizioni di indigenza. Ma è negli anni ’90 con la più celebre delle restituzioni che balza agli onori della cronaca: ruba da un appartamento privato del principe inglese Carlo alcuni gioielli privati e della corona, riuscendo a entrare rocambolescamente nell’alloggio. Rinino aspetta tre anni (il tempo in cui non è più perseguibile un reato commesso all’estero) e – con l’intermediazione del suo avvocato e attraverso delle tv locali – restituisce la refurtiva al principe Carlo. I gioielli e le lettere dell’allora amante Camilla in cambio della notorietà e di un po’ di ego.

Silvano Maistrello, Kociss

Dal Veneto provengono altre storie. Banditi di carta e banditi in carne e ossa. I primi con più di qualche debito per i secondi. Come Beniamino Rossini, spalla storica di Marco Buratti più conosciuto come Alligatore, protagonista della popolare saga “inventata” da Massimo Carlotto, padovano, che scrive noir per proseguire la “tradizione” di controinformazione degli anni ’70. Emblematico il titolo dell’ultimo romanzo, da poco in libreria, Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane (edizioni e/o, 2017). Tornando alla vita reale: a Monselice ad inizio secolo viveva Giuseppe Bedin, conosciuto come il Robin Hood della padovana. Attivo negli anni ’30, Bedin lavorava la terra, ma visto che i proventi non gli bastavano per sfamare la famiglia si diede ai traffici illeciti. Una volta arrestato, in carcere conobbe dei malavitosi e con essi, uscito dalla galera mise in piedi una piccola banda. Bedin era molto popolare tra i suoi compaesani che gli offrivano protezione e non lo vedevano in mal occhio perché dava una mano a coloro che vivevano in condizione di indigenza. Storia simile fu quella di Silvano Maistrello, conosciuto come Kociss per quelle sembianze da indiano. Kociss era veneziano, viveva in un quartiere popolare e si guadagnava da vivere rubando. Teneva per sé il minimo indispensabile, il resto lo dava a chi ne aveva bisogno. Fuggiva (ed evadeva) tra le calli e i tetti di quella Venezia che conosceva come le sue tasche e che, da quel punto di vista, non è mai cambiata.

Renato Rinino

Proprio in questi giorni in occasione del furto a palazzo Ducale, tra le colonne del Gazzettino, si è rifatta viva una vecchia conoscenza del crimine, uno dei maghi del furto con destrezza, Vincenzo Pipino. Come Kociss, Pipino è veneziano e rubava anche per giustizia sociale. «Rubare ai ricchi è reato ma non è peccato» ha ribadito stamani al quotidiano veneto. Oggi 74enne Pipino si dichiara un ex ladro, ed ha osservato quasi ammirato quanto accaduto mercoledì. Del resto della vicenda forse è il più titolato a parlarne visto che anche lui ha all’attivo un furto a Palazzo Ducale. Ma – ci scherza sopra – ha precisato che per mercoledì scorso ha un alibi.

Vincenzo Pipino

 

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