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Aldrovandi bis, quando la giustizia arriva tardi

La Cassazione cancella per prescrizione una delle condanne per chi in questura aiutò a depistare le indagini sull’omicidio Aldrovandi

di Checchino Antonini

Aldrovandi bis, quando la giustizia arriva tardi

Uno è quello che staccò la registrazione della telefonata con uno degli assassini mentre questi spiegava cos’era capitato a Federico Aldrovandi, l’altro è quello che si “dimenticò” di mettere il registro delle telefonate tra polizia e carabinieri nel fascicolo del pm. Entrambi fanno ancora i poliziotti, non risultano parole di scusa con la famiglia dell’Aldro, e le miti pene stabilite da un tribunale (10 e otto mesi nel corso del cosiddetto Aldrovandi-bis) non toglieranno certo loro la divisa anche se la Cassazione ha confermato che omissioni e depistaggi ci furono. Anche una foto del cuore spezzato di Federico sparì a lungo dentro una cassaforte della questura assieme a un brogliaccio pasticciato di quella maledetta mattina. Il fascicolo sull’omicidio restò vuoto per oltre cento giorni, va ricordato ogni tanto. Nè la pm di turno si recò sul luogo del delitto (forse depistata anch’essa ma non l’ha mai spiegato) e il questore e il presidente del tribunale e la stampa compiacente se la presero a vario titolo con la famiglia, con gli amici, con gli avvocati, con i blogger, con i giornalisti non compiacenti. Finché le indagini non presero un’altra piega e il mondo si rispaccò in due: chi guardava il mondo con gli occhi di due genitori piegati dallo strazio, chi girava la testa da un’altra parte per non disturbare la macchina della repressione, della paura, delle omissioni, dei depistaggi.

Però la Cassazione ha appena detto che depistaggi e omissioni ci furono davvero ma ha annullato senza rinvio, per prescrizione, la condanna a 10 mesi di reclusione per favoreggiamento e omissione di atti di ufficio a carico dell’agente di polizia Marcello Bulgarelli nel processo per i depistaggi sulle indagini per la morte di Federico Aldrovandi ucciso a Ferrara il 25 settembre 2005 durante un intervento feroce e violentissimo di quattro agenti di polizia. Confermata, invece, la condanna a 8 mesi per l’altro coimputato, Marco Pirani.

In particolare, la VI Sezione Penale della Suprema Corte ha dichiarato «inammissibile per tardività» il ricorso presentato dalla difesa di Pirani, ispettore di polizia giudiziaria in servizio alla Procura di Ferrara durante le indagini tra 2005 e 2006, contro la condanna emessa dalla Corte d’Appello di Bologna il 9 luglio 2012. A Pirani era contestato di non aver inserito nel fascicolo del Pm il registro delle telefonate arrivate al 113 quando Aldovrandi morì in seguito alle percosse degli agenti. Bulgarelli era accusato, come addetto alla centrale 113 la mattina del 25 settembre 2005, di aver interrotto su richiesta di un collega la registrazione in cui quest’ultimo gli avrebbe spiegato cosa era successo quella mattina. Il verdetto d’appello era conforme a quello pronunciato in Primo Grado il 5 marzo 2010 dal tribunale di Ferrara. Per la morte di Aldrovrandi, la Cassazione il 21 giugno 2012 ha confermato le condanne dei 4 poliziotti responsabili in servizio alla questura di Ferrara (3 anni e 6 mesi di reclusione per tutti).

Delusi, grandemente, i genitori di Federico che, nonostante tutto, hanno visto i quattro assassini indossare la divisa dopo lo campoletto della mite pena e incassare sonori applausi da piccoli e grandi sindacati di polizia per i quali lo spirito di corpo viene prima della Costituzione. «Purtroppo i tempi della giustizia sono lesivi per la giustizia stessa – dice all’Adnkronos la madre di Federico – la giustizia è la vera vittima della prescrizione, che arriva dopo anni di lavoro per i tribunali oltre che per le persone coinvolte che si sono spese per far emergere la verità. Tuttavia il resto è confermato», aggiunge. La madre di Federico esclude di rivolgersi anche alla giustizia europea. «Io volevo che si conoscesse la verità e direi che ormai si sa bene cosa è accaduto. Di tribunali ne ho abbastanza».

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