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Chi inquina paga, il Cile attacca le fossili con la carbon tax

La presidente Bachelet impone una tassa sulle emissioni di CO2 alle imprese che inquinano. Tra le aziende colpite anche Endesa Chile, controllata dell’italiana Enel

di Massimo Lauria

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Chi inquina paga. Chi ha detto che la lotta al cambiamento climatico non passa anche attraverso le riforme fiscali? Il Cile è il primo paese sudamericano a colpire i giganti dell’energia introducendo la carbon tax: una tassa sulle emissioni di CO2 rilasciate nell’atmosfera terrestre. La presidente Michelle Bachelet ha firmato venerdì scorso una riforma del sistema fiscale, simbolo della lotta ai combustibili fossili.

La ricetta è semplice e poco costosa. Anzi, secondo le stime del governo cileno porterà nelle casse dello stato circa 160 milioni di dollari l’anno. Chi gestisce impianti di generazione elettrica alimentati con combustibili fossili di potenza superiore a 50 Mw, dovrà pagare 5 dollari a tonnellata di CO2 prodotta.

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Il Cile punta così ad arginare l’impatto dei cambiamenti climatici entro i propri confini, riducendo le emissioni di anidride carbonica, con il doppio obbiettivo di tutelare l’ambiente e contemporaneamente rilanciare l’economia legata al comparto delle fonti di energia rinnovabile. Una soluzione simile, ma annacquata, era stata introdotta all’inizio dell’anno anche in Messico. Il paese del Centro America, infatti, permette alle aziende che inquinano di utilizzare i “carbon credit”, una sorta di scambio in reputazione e guadagno, rimanendo nei limiti previsti per le emissioni di CO2.

Tra le aziende colpite dalla nuova norma voluta dalla socialista Bachelet, ci sono alcuni dei giganti dell’energia mondiale, come la statunitense Aes Corporation, la cilena Colbún e la Endesa Chile, controllata dell’italianissima Enel. Endesa e Colbún sono note in Cile per la progettazione di cinque gigantesche dighe, 2000 chilometri di torri e cavi elettrici. Impianti idroelettrici che, secondo gli ambientalisti, metterebbero a rischio un intero ecosistema.

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