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Il poeta Julio Cortázar e il suo dolore senza parole per la morte del “Che”

“Non riesco a scrivere quanto grande sia il mio dolore, di fronte a tutto questo la scrittura mi sembra la più banale delle arti, una dissimulazione, un tentativo di sostituire l’insostituibile”.

a cura di Marina Zenobio

el Che

Lo scrittore e poeta argentino Julio Cortàzar esprime, in una lettera diretta a Roberto Fernàndez Retamar e Adelaida de Juan, entrambe personalità del mondo culturale cubano, tutto il disorientamento che provocò in lui la notizia che Ernesto Guevara de la Serna, detto il Che, era morto, assassinato il 9 ottobre 1967 dopo essere stato catturato da un reparto anti-guerriglia dell’esercito boliviano, assistito da forze speciali statunitensi costituite da agenti speciali della Cia, nella selva di La Higuera, nella provincia di Vallegrande (Bolivia, Santa Cruz). 47 anni dopo con Cubadebate condividiamo la dolorosa lettera di Julio Cortàzar e la sua poesia per il Che.

 

Parigi, 29 ottobre 1967

Caro Roberto, cara Adelaida,

Ieri sera sono tornato a Parigi da Algeri. Solo ora, a casa mia, sono in grado di scrivere in modo coerente; lì, fissato in un mondo dove contava solo il lavoro, ho lasciato passare i giorni come in un incubo, comprando giornali su giornali senza voler credere, guardando quelle foto che tutti abbiamo visto, leggendo gli stessi cablogrammi ed entrando ora dopo ora nella più dura delle accettazioni.

Poi ho ricevuto il tuo messaggio telefonico, Roberto, e ti inviai questo testo che già dovresti aver ricevuto ma che ti invio di nuovo, ora, nella speranza che tu abbia il tempo di rileggerlo prima di mandarlo in stampa; anche perché lo so come funzionano i telex e quello che può succedere con parole e frasi.

Voglio dirti questo: non so scrivere quanto dolore io provi, non sono e non sarò mai pronto a produrre ciò che ci si aspetta da uno scrittore professionista, ciò che gli si chiede e ciò che egli stesso si chiede disperatamente. La verità è che la scrittura oggi, di fronte a tutto questo, mi sembra la più banale delle arti, una sorta di rifugio, quasi una dissimulazione, una sostituzione dell’insostituibile.

Il Che è morto, e a me non resto altro che il silenzio, chissà fino a quando. Se ti ho inviato questo testo è perché tu me lo hai chiesto, e perché so quanto hai amato il Che e ciò che significava per te. Qui a Parigi ho trovato un cablogramma di Lisandro Otero (scrittore, giornalista e diplomatico cubano, ndt) con cui mi chiede di scrivere centocinquanta parole per Cuba. Così, centocinquanta parole, come se uno potesse tirar fuori le parole dal portafoglio, come fossero monete. Non credo che potrò scriverle, sono vuoto e arido,  cadrei nella retorica. E questo no, soprattutto questo no. Lisandro perdonerà il mio silenzio o lo fraintenderà, non mi importa; in ogni caso tu sai ciò che sento. Guarda, ad Algeri, circondato da burocrati imbecilli, in un ufficio dove si andava avanti nella solita routine, mi sono chiuso tante e tante volte in bagno per piangere; dovevo nascondermi in un bagno, capisci? per stare solo, per poter dar sfogo alla mia disperazione senza violare le sacrosante regole del buon vivere in una organizzazione internazionale.

E provo vergogna per tutto quello che ti sto raccontando perché parlo di me, l’eterna prima persona singolare, e invece mi sento incapace di dire qualcosa di lui. Starò zitto allora. Hai ricevuto, spero, il cablogramma che ti ho inviato prima del tuo messaggio. Era la mia unica maniera di abbracciarti, a te e a Adelaida, a tutti gli amici della Casa. E per te è anche questo, l’unica cosa che sono stato capace di fare in queste prime ore, questa che è nata come una poesia e che voglio che conserviate per sentirci più vicini.

Che”

Yo tuve un hermano. No nos vimos nunca                          Avevo un fratello. Non ci siamo mai visti

Pero no importaba. Yo tuve un hermano                            Ma non importa. Avevo un fratello

que iba por los montes                                                           che attraversava montagne

mientras yo dormía.                                                               mentre io dormivo.

Lo quise a mi modo                                                                L’ho amato a modo mio

le tomé su voz                                                                           ho preso la sua voce

libre como el agua,                                                                 libera come l’acqua,

caminé de a ratos                                                                    a volte ho camminato

cerca de su sombra.                                                                 vicino alla sua ombra.

 No nos vimos nunca                                                                Non ci siamo mai visti

pero no importaba,                                                                   ma non importava,

mi hermano despierto                                                               mio fratello sveglio

mientras yo dormía,                                                                   mentre io dormivo,

mi hermano mostrándome                                                        mio fratello che mi mostra

detrás de la noche                                                                       dietro la notte

su estrella elegida.                                                                      la sua stella prescelta.

 

A risentirci. Abbraccia molto Adelaida. Hasta siempre,

Julio

 

 

Fonte: Julio Cortázar, Cartas 1964-1968, Edición Aurora Bernárdez, Tomo 2, Alfaguara / Biblioteca Cortázar, 2000.

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