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Emilia, regionali al tempo del jobs act

La Cisl appoggia il Pd. La Uil chiede un patto sociale. L’Altra Emilia Romagna: «Fermare il jobs act e il governo Renzi. Noi siamo l’alternativa»

da Bologna, Ercole Olmi

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Ultimi quindici giorni di campagna elettorale in Emilia e i temi nazionali, inevitabilmente, si intrecciano con il dibattito per le regionali. Jobs act, legge di stabilità e Sblocca Italia condizioneranno pesantemente la vita degli emiliani e della giunta che scaturirà il 23 novembre dopo che Errani, il governatore Pd, s’è dovuto dimettere l’8 luglio per via di una condanna a un anno di reclusione (pena sospesa) per falso ideologico, ossia aver fornito informazioni fuorvianti al magistrato che indagava sui contributi “facili” concessi dalla Regione alla cooperativa «Terremerse», presieduta in passato da suo fratello, Giovanni Errani, indagato a sua volta.

Anche in Emilia è il lavoro, o la sua mancanza, a determinare il dibattito sociale anche quando questa mancanza viene letta con le lenti deformanti e grottesche della guerra dei penultimi contro gli ultimi. Il candidato della Lega e di Forza Italia, infatti, ha deciso di giocarsi la campagna elettorale sui terreni della xenofobia e Salvini ha annunciato un tour di due settimane per fiancheggiarlo, a partire dall’annunciata provocazione nei confronti di un campo rom di Bologna dove, qualche giorno fa, una “visita non autorizzata” di una candidata leghista è finita con la ritirata strategica delle camicie verdi respinte a schiaffoni. Inevitabile il ringhio lepenista del candidato presidente che è anche sindaco di un centro del ferrarese: «Radere al suolo i campi rom».

Su un altro versante, invece, è Renzi a radere al suolo i diritti dei lavoratori e le speranze di un’inversione di tendenza. E, mentre il candidato Pd alla successione di Errani, non perde occasione per mostrarsi d’accordo e accanto al “Mostro di Firenze” (come scrivono gli studenti sui loro striscioni) i più concertativi tra i sindacati concertativi (Cisl e Uil) chiedono un nuovo patto sociale. La Cisl va oltre e dice che solo Bonaccini parlerebbe di lavoro.

Così, la Uil regionale snocciola i dati della crisi e si lamenta dell’incomprensibilità dei programmi. A settembre la cassa integrazione in Emilia Romagna si è attestata ad oltre 8,5 milioni di ore, il 206,2% in più rispetto ad agosto. Mai così male per industria, commercio, edilizia e piccoli artigiani. L’unica provincia della regione con un trend non negativo è Piacenza. Bologna segna +232%, Ferrara +1.253%.

«Tutto questo non è più la crisi ma il frutto avvelenato delle politiche recessive, dei tagli della spesa pubblica», spiega a Popoff, Cristina Quintavalla, candidata a presidente per l’Altra Emilia Romagna, erede della lista Tsipras da cui l’ipergovernista Sel, naturalmente, s’è allontanata per correre col Pd. «Sono vent’anni che siamo in avanzo primario, ossia che si spende meno di quello che lo Stato incassa. Ma gli interessi sul debito, secondo le logiche dello strozzinaggio, ingoiano tutta la ricchezza prodotta e tutti i risparmi – commenta Quintavalla, che a Parma ha dato vita alla commissione per l’Audit sul debito di quel Comune – si ammette oramai, anche tra le sigle sindacali più concertative, che non ci sono segnali di ripresa e che nessuno ha ancora capito quali siano i programmi contro questa crisi senza fine: secondo il segretario Uil va riscritto un patto tutti insieme per il futuro. Ma quel patto, se non si ferma subito la spirale che il jobs act va a innescare, sarà l’ennesimo patto al ribasso. Perché, se i dati di settembre, confermano che siamo di fronte a una crisi che perdura e lo dimostra il massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali, i prossimi dati saranno ancora peggori dal momento che il jobs act stravolge l’accesso alla cassa integrazione. Solo se si esce dall’austerità e dalla morsa del debito sarà possibile rilanciare i consumi e, con essi, le aziende. Siamo nel momento peggiore dall’inizio della crisi, ma questa non è più la crisi, è la nuova normalità».

Quello che propone l’Altra Emilia Romagna è l’inversione di tendenza di politiche recessive che non sono state capaci («perché non volevano», insiste la candidata) di fermare le esternalizzazioni, l’inversione di marcia dalla privatizzazione alla ripubblicizzazione dei servizi e dei beni comuni, la fine della corsa alle grandi opere in favore di politiche redistributive e di riassesto del territorio. «Ci candidiamo al governo della Regione, in alternativa al Pd, per attuare una politica che abbia come obiettivi fondamentali il rilancio dell’occupazione, la difesa e l’estensione dei diritti, una legge di promozione e sostegno dell’economia solidale. Siamo la sola forza alternativa a questa deriva neoliberista per questo ci batteremo fino in fondo per difendere la dignità di tutti e promuovere la partecipazione diretta dei cittadini e delle cittadine alle scelte politiche. Questo è il patto che proponiamo ai lavoratori e alle loro organizzazioni».

L’Altra Emilia – Romagna ha messo il lavoro al primo punto del suo programma, ha candidato un giuslavorista, Piergiovanni Alleva, esperto nella difesa dei lavoratori come capolista in due province, Bologna e Reggio, e tutti gli altri candidati vengono dal mondo del lavoro reale (scuola, fabbriche, Ong, aziende pubbliche e private) e del precariato. La Cisl regionale, però, finge di non saperlo, aiutata dalla censura dei media mainstream nei confronti della lista della sinistra alternativa. E chiede anch’essa un nuovo «patto sociale per il lavoro». La Cisl chiede «agenzie di collocamento che funzionano, sburocratizzazione, incentivare gli investimenti e dare applicazione a leggi come quella sull”attrattività». Un assist esplicito per Bonaccini anche se la Cisl giura di non dare indicazioni di voto. «Siamo gli unici candidati – dice Alleva – che parlano di lavoro senza nascondere agli elettori gli effetti devastanti che il combinato disposto di decreto Poletti e jobs act avranno su un universo di lavoratori massacrati da un lato dalla crisi dall’altro dalle ricette neoliberiste dei vari governi Monti, Letta, Renzi. Non si intravede infatti nessuna differenza tra la strage dei diritti compiuta dal ministro Fornero (e prima di lei la strada era stata aperta da tutte le leggi che hanno precarizzato il lavoro) e il colpo di grazia che vuole infliggere Renzi con il suo ministro Poletti, ex sindaco comunista di Imola e in bella compagnia dei vari Sacconi, Gasparri, Alfano e Verdini. Anzi, secondo noi Renzi sta riuscendo laddove la destra più becera e retriva ha sempre provato senza mai centrare il colpo: cancellazione della civiltà giuridica del lavoro e rovesciamento di tutti i valori, modificazione della costituzione materiale prima che di quella formale, con il profitto, il business, l’impresa a fondamento di una Repubblica ormai post-democratica, e il lavoro, le donne e gli uomini che lo eseguono, ridotti non solo a variabile dipendente, ma a possibile minaccia, (con i loro diritti considerati blasfemamente “privilegi”), alla “libertà d’impresa” e all’attrattività degli investimenti».

 

 

 

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