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Messico: esplode la rabbia per il massacro di Iguala

Proteste in diverse città del Messico affinché sia fatta luce su intreccio tra malaffare e politica che ha portato al massacro di 43 studenti

di Marina Zenobio

A Città del Messico molti manifestano con in mano le foto dei 43 studenti della Escuela Normal Rural de Ayotzinapa assassinati a Iguala, nello stato messicano del Guerrero, altri si sdraiano e occupa la grande Piazza El Zocalo, altri ancora colpiscono i luoghi del potere incendiando l’ingresso principale del Palacio Nacional e lasciando la scritta “Se non c’è giustizia per il popolo, non ci sarà pace per il governo“. Contemporaneamente nel Guerrero decine di auto davanti la sede del governo locale sono state date alle fiamme, comprese alcune camionette della polizia federale. Scontri si sono registrati anche in altre località. Protestano e chiedono verità e giustizia per quei 43 studenti sequestrati, uccisi, bruciati e i cui resti sono stati trattati come spazzatura.

E’ lo stesso procuratore generale Jesus Murillo a raccontare al Messico e al mondo come è andato il massacro in una conferenza stampa a Chilpancingo, capitale di Guerrero. Ha sottolineato che formalmente gli studenti saranno considerati “desaparecidos” finché non si potranno identificare i loro resti, il che non sarà facile perché, dopo averli uccisi, i sicari narcos hanno ricevuto l’ordine di spezzettare le ossa delle loro vittime per fare sparire ogni traccia della strage.

Murillo ha spiegato che i tre sicari Patricio Retes detto El Pato, Juan Osorio detto El Jona e Agustin Garcia Reyes detto El Chereje – appartenenti al gruppo paramilitare Guerrero Unidos – hanno raccontato di aver sequestrato gli studenti e averli portati alla vicina località di Cocula. Ammassati in un furgone, circa 15 studenti sarebbero morti per asfissia prima di arrivare alla discarica di rifiuti di Cocula. Lì sono stati uccisi i ragazzi sopravvissuti al viaggio, buttando poi i corpi nella parte bassa della discarica, dove li hanno bruciati. Alcuni erano ancora vivi. Hanno fatto turni di guardia per assicurarsi che il fuoco bruciasse per ore, versandoci sopra combustibile, pneumatici e altri oggetti.

I sicari hanno raccontato che per tutta la notte i resti dei ragazzi hanno continuato a bruciare, il calore sprigionato era tale che i sicari hanno dovuto aspettare la sera del 27 settembre per rimuovere le ceneri, spezzare i resti delle ossa e versarli in buste nere di plastica per la spazzatura, che hanno poi gettato nel vicino fiume San Juan dove sono state ritrovate da sommozzatori della polizia. Murillo ha aggiunto che lo stato in cui si trovano i resti degli studenti uccisi rende difficile la loro identificazione, saranno inviati a un laboratorio specializzato in Austria per analizzare le tracce di Dna.

Nel frattempo Josè Abarca, il sindaco di Iguala, dove è avvenuta la mattanza, è stato arrestato con la moglie Angeles Pineda Villa in quanto, in base alle testimonianze dei tre narcos/paramilitari, sarebbero i mandanti dell’eccidio.

I genitori dei ragazzi uccisi e un intero popolo chiedono giustizia e montano le proteste per conoscere la verità su quanto e perché è accaduto ai 43 studenti normalistas il 26 settembre scorso.

Il Messico si infiamma, migliaia di persone continuano a scendere in piazza e non solo a Iguala , dove tutto è successo, ma anche a Città del Messico e in altre località. Chiedono giustizia, ma anche che sia fatta luce sull’intreccio tra malaffare e politica affinché tutto non si limiti a responsabilizzare solo una manciata di narcos affiliati al cartello Guerrero Unidos, per un massacro che Amnesty International ha definito “crimine di Stato“. Ma in un duro comunicato l’ong afferma che i funzionari del governo messicano si rifiutano di ammettere “la collusione fra Stato e criminalità organizzata alla base di queste gravi violazioni”.

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