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Alta fedeltà, quando la musica si poteva annusare

Vent’anni (e un milione di copie) dopo, Guanda pubblica una nuova edizione di Alta Fedeltà con una prefazione dell’autore: Nick Hornby

di Nick Hornby

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Ecco come si iniziava una collezione di dischi tra il 1940 e il 1990: compravi un album e per un po’ dovevi accontentarti di quello. All’inizio alcune tracce ti piacevano più di altre, ma siccome ne avevi a disposizione otto, dieci o dodici al massimo (magari anche qualcuna in più se si trattava di un cd più recente) era impensabile ascoltare solo quelle che ti piacevano di più, così le ascoltavi tutte dall’inizio alla fine, ininterrottamente, fino a quando di quell’unico album non ti piaceva tutto. Un paio di settimane dopo ne compravi un altro. Dopo un anno avresti avuto quindici o venti dischi, dopo cinque saresti arrivato a duecento.

Ecco come si iniziava una collezione nei primi anni duemila: davi l’iPod a un amico, a un fratello o a una sorella maggiore, o a uno zio, dicendogli « Caricamelo » e in un attimo ti trovavi con un migliaio di canzoni, molte delle quali non le avresti mai nemmeno ascoltate. Gli adolescenti di oggi non hanno di questi problemi, perché tutta la musica mai registrata ce l’hanno in tasca, sul telefonino. E così, siccome il mondo gira sempre allo stesso modo, sappiamo anche che tra dieci o venti anni i ragazzi guarderanno a Spotify con una certa disapprovazione giudicandolo scomodo e inadeguato. «Dovevate aspettare prima che iniziasse il download? Non eravate sempre connessi? Dovevate toccare uno schermo? » Ma a questo punto è difficile immaginare come la fruizione della musica possa diventare ancora più semplice ed economica in futuro rispetto a quanto non lo sia già oggi.

Il mio primo romanzo, Alta fedeltà, parla di quelle persone un po’ confuse, ma profondamente snob, che ci vendevano la musica ai tempi in cui la musica era ancora qualcosa che si poteva toccare e vedere e forse anche annusare, oltre che ascoltare. (Se mentre lo scrivevo mi avessero detto che nel giro di dieci anni avrei potuto mandare una canzone per email, avrei pensato che allora si sarebbero mandati in allegato anche i sandwich.) Il romanzo ormai ha vent’anni e le innovazioni tecnologiche degli ultimi quindici possono senza dubbio farlo sembrare un libro in cui si parla di fabbri, lattai o tutte quelle altre professioni che nel mondo moderno si sono estinte.

Ogni tanto ho pensato di scrivere il seguito. Rob e la sua fidanzata sempre in crisi mi sembravano emblematici di un certo tipo di relazioni ancora attuali: Rob, confuso e allo sbando; Laura, determinata e molti anni più avanti nell’età adulta. Sarebbe stato interessante vedere come se la cavavano con l’avvicinarsi della mezza età. Avrebbero avuto dei bambini?

Sarebbero stati ancora insieme? E che cosa avrebbe combinato Rob? Alle prime due domande avrei risposto io (sì alla prima e no alla seconda, immagino), ma non avrei mai potuto dare una risposta alla terza, o per lo meno, non ne avrei avuta una così coinvolgente da farmici investire due anni. Il proprietario del negozio di dischi indipendente che frequentavo io è diventato un agente immobiliare; il suo vecchio socio è co-proprietario di un negozio di intimo che sta nel loro vecchio posto. E quando ho chiesto ai miei amici di Facebook dove erano spariti i proprietari dei loro negozi di dischi preferiti, è stato difficile ricavare una costante da tutte le informazioni che mi sono arrivate: postino, vinificatore, scrittore di libri porno, psicoterapeuta, batterista, commesso in una libreria, cameriere, uno si è messo a dar da mangiare ai pesci tropicali… Vendere copie graffiate dei dischi dei Replacements di sicuro non ha aiutato nessuno a costruirsi una carriera.

Eppure i lettori, alcuni così giovani da non aver mai posseduto nemmeno un disco, continuano a scoprire il libro e a sentirsi vicini alla storia. In parte perché alcune vecchie abitudini si sono dimostrate incredibilmente durature; sembra persino che possedere materialmente dei dischi stia tornando di moda. A poche centinaia di metri dalla mia scrivania c’è un negozio di dischi indipendente, che poco tempo fa ha aperto una sede nuova a Shoreditch, la Brooklyn di Londra. Le vendite di vinili sono aumentate e oggi in Gran Bretagna ci sono più punti vendita di cd e dischi di quanti ce ne siano mai stati. Certo si tratta per lo più di supermercati, ma chiaramente non tutti pensano che la musica sia inutile. I vinili nuovi sono molto cari, ciononostante gli americani nel 2014 hanno comprato più di nove milioni di LP. E un numero sorprendente dei vecchi negozi non ha mai chiuso. Hanno dato il benservito a Borders, Tower e Virgin e si sono tenuti i loro posti. Non si sono arricchiti, ma i vecchi commessi sono ancora lì, sempre pronti a biasimarvi per le scelte sbagliate, o a offrirvi un’alzata di sopracciglio appena accennata, ma che lascia trasparire approvazione quando scegliete bene.

Uno dei punti a favore del consumo digitale è che è democratico: nel cyberspazio nessuno ti giudica. Se a cinquantasette anni voglio farmi un’idea di come suona Joey Badass, non mi devo sottomettere alla sfilza di occhiate incredule che mi arriverebbero nei negozi di dischi più cool: ecco, sto ascoltando Paper Trails proprio adesso! Tuttavia un aspetto essenziale della cultura sta nell’esprimere i nostri gusti pubblicamente: ci aiuta a trovare la nostra tribù (Grazie Joey, ma ritorno alla nuova raccolta dei Valentinos). Le varie forme d’arte sono il social network più elaborato e preciso mai inventato, ma se funziona come si deve ogni tanto devi uscire di casa e mostrare chi sei e cosa ti piace. Devi andare agli spettacoli, alle mostre e nelle librerie, devi chiedere quello che desideri a voce alta. E questa manifestazione di gusto deve scaturire necessariamente da un impulso che nel profondo è antidemocratico: una parte di te deve essere convinta che quello che ti piace è meglio di tutto quello che piace a quegli altri perdenti.

Quindi, forse, in fondo abbiamo bisogno di quei tizi dei negozi di dischi; forse la ragione per cui molti di loro sono ancora in giro è che se non ci fossero tutto il sistema si incepperebbe. Se possiedi tutta la musica del mondo, che cosa ti rappresenta davvero? Quelle persone in fila davanti al loro negozio di dischi indipendente nel Record Store Day, in fondo vogliono solo farsi riconoscere.

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