Impiccato questa mattina, secondo diverse prove Shafqat Hussein era minorenne all’epoca dei fatti. Gli avvocati: “Lo torturarono per farlo confessare”
di Giuseppe Bozzo
Alla fine il quinto rinvio non è arrivato e Shafqat Hussein è stato impiccato, in esecuzione di quella condanna a morte di cui più volte e da ogni parte del mondo era stato chiesto l’annullamento. Un caso particolarmente sentito, non solo perchè riapre il dibattito sul ricorso alla pena capitale, purtroppo ancora in auge in diversi paesi, ma perchè coniuga una pratica tanto barbara con la possibilità di un errore mastodontico compiuto dal sistema giudiziario del Pakistan. Stando alle denunce avanzate nel corso degli anni da diverse associazioni per i diritti umani difatti, Hussein, condannato per l’omicidio di un bambino di 7 anni, non solo all’epoca dei fatti era minorenne, e come tale non condannabile alla pena capitale secondo le leggi vigenti ad Islamabad, ma avrebbe confessato solamente dopo essere stato torturato.
“Le autorità pakistane non hanno mai avviato una vera indagine giudiziaria sulla questione – ha aggiunto il Comitato per i diritti umani “Justice Project Pakistan” in una nota – Al contrario, hanno sequestrato, rifiutandosi di renderle pubbliche, prove fondamentali come il registro scolastico di Shaqfat, che ne avrebbe dimostrato la minore età quando è stato condannato a morte.
Giudicato colpevole nel 2004, il processo di Shafqat Hussein non si era svolto davanti di fronte ad una corte per minori, ma presso un tribunale anti-terrorismo che, in osservanza delle leggi speciali, era stato istituito per comminare pene in maniera più rapida rispetto al sistema giudiziario ordinario. Secondo la polizia, al momento dell’arresto Hussein aveva 23 anni, tesi confermata anche dalla Corte.
“Questo è un altro giorno profondamente triste per il Pakistan – ha dichiarato David Griffiths, vice-direttore di Amnesty International per l’area Asia Pacifico – Un uomo la cui età rimane in discussione la cui condanna è stata basata sulla tortura ha pagato con la propria vita”.
Il caso di Shafqat Hussein tuttavia non appare isolato, essendo la seconda volta nel giro di un mese che nei confronti di un imputato, ritenuto minorenne all’epoca dei fatti, viene eseguita una condanna a morte. Il 10 giugno scorso difatti la stessa sorte era toccata a Aftab Bahadur, impiccato per omicidio, 15enne all’epoca dei fatti. Analogamente a quanto avvenuto con Hussein, anche nel caso di Bahadur vi erano state denunce relative ad atti di tortura realizzati con l’obiettivo di farlo confessare, così come, secondo diverse associazioni, anche in quell’occasione vennero ignorati i registri scolastici.
Dallo scorso dicembre le esecuzioni avvenute ad Islamabad, stando ai dati forniti dalla Commissione per i Diritti Umani del Pakistan, sono state circa 190. Una netta impennata, conseguente all’abbandono della moratoria sulla pena di morte dopo la strage avvenuta alla scuola elementare di Peshawar il 16 dicembre scorso. Una linea dura contro il terrorismo, già vista in altri paesi fin dai tempi del Patriot Act, in grado come spesso – se non sempre – accade di creare solamente mostri. L’ennesimo avvertimento a chi invoca leggi speciali e derivare securitarie.