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Lo vedi, riecco Marino

Tra fischi e slogan il rientro del sindaco a Roma, presente al sit in Antimafia capitale

di Maurizio Zuccari

don bosco

Lo vedi, riecco Marino. No, non è quello della sagra dell’uva cantato da Lando Fiorini, ma il “coniglio”, l’“onesto tontolone”, l’“allegro chirurgo”, come l’ha dileggiato la maxistampa nazionale. insomma l’Ignazio sindaco che, smesso il costume da bagno e intascate le lodi dell’omologo di New York, è rientrato in Campidoglio infilando una porticina secondaria per presenziare la prima riunione di giunta del dopo ferie ed evitare i troppi cronisti assiepati all’ingresso principale. Un rientro non proprio da trionfatore, seppure l’Ignazio non ha mancato di rinverdire per l’occasione uno slogan mussoliniano e, con qualche variante, già cesariano: molti nemici, molto onore.

Ipso dixit, prima di sgattaiolare via, a presenziar tacendo coi suoi rimpasti di giunta la manifestazione antimafia capitale voluta dal presidente Pd Matteo Orfini in quel di Don Bosco, teatro di un recente funerale “cafonal”, per dirla come l’assessore alla legalità Alfonso Sabella, anche lui fresco di rientro. Un’ideona, quella di Orfini, lanciata in pompa magna ma ammosciata in sit in e fiaccolata di protesta, viste le defezioni e la folla non oceanica. Per un Ignazio guadagnato (e fischiato), infatti, il pd romano ha perso tutti gli altri, da Sel a Forza Italia, dai 5 Stelle ad alfio Marchini. Che ha aderito ma si è guardato bene dall’esserci. Così il candidato sindaco in pectore del centrodestra ha evitato di ritrovarsi in piazza, faccia a faccia col sindaco ex pectore, a rischio d’essere spernacchiato pure lui e soprattutto di non trovare un posto libero dove altri hanno già messo il cappello. Meglio ritardare l’ingresso in scena, tanto le sirene forzaitaliote sono troppo soavi per non starle a sentire e, con tutta probabilità, portarlo a sedere sulla poltrona ancora occupata da Marino. O meglio, dal suo doppio.

Già al suo abbrivio, il Marino bis si preannuncia una copia sbiadita dell’originale, un’incognita con guizzi surreali. Non tanto per quanto potrà fare, messo sotto la tutela di Franco Gabrielli. Non certo il prefetto di ferro di petacchiana memoria, piuttosto di ceralacca, data la stretta osservanza renziana e le punzecchiature tra una rassicurazione e l’altra. Primum vivere, o meglio vivacchiare, non certo governare, per Marino. Anche se questo comporterà un lento perire e nessuna possibilità di resurrezione. Ma l’uomo – e questo gli sia di vanto, anche se in politica è di peso – è caparbio quant’altri mai e spera di battere nel cuore dei romani ancora a lungo, più dei cuori di babuino trapiantati a suo tempo in corpore umano. Forse pensa persino, l’ex senatore, di giocare un ruolo chiave nell’opposizione interna al pd renziano, dove le malmostose truppe capitoline già muovono in ordine sparso alla campagna d’autunno, mosse dai vecchi big.

Eccola, la vera forza di Marino. Non il suo potenziale ancora inespresso, come si ostina a raccontare dalle colonne del Corsera il vicesindaco Marco Causi, quanto le mancanze e le fratture altrui. Neppure i Cinque stelle, i più quotati a raccoglierne l’eredità, se la passano bene, con Alessandro Di Battista – l’unico ad avere qualche chance di bypassare Marino e superare Marchini – tirato per la giacchetta ma osteggiato dalle belle figurine dei consiglieri pentastelluti e ignorato dal direttorio nazionale, che potrebbe riproporre l’ex sfidante Marcello De Vito. Così nessuno tocchi Marino, per ora, dati i tempi stretti del Giubileo della misericordia – per l’appunto – e nonostante il terzo troncone di Mafia capitale serrato nei cassetti, in attesa di essere aperti a sincrono. E allora lo vedi, riecco Marino. Non quello della sagra, ma del teatrino. E la sigla di Amarcord sul palco a chiudere l’antimafia alla romana appare perfetta.

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