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Sindacato e sinistra, quando piove sul bagnato

Oggi la riapertura della lotta deve passare per un radicale mutamento degli orientamenti dei gruppi dirigenti. Bisogna tornare in ogni luogo di lavoro, per ricostruire organizzazione e coscienza

Fresco di stampa alla manifestazione di sabato scorso della Fiom era in distribuzione il nuovo numero di “L’Anticapitalista” con un titolo eloquente “l’autunno freddo” accompagnato da un disegno del quarto stato visto di spalle .

Le difficoltà espresse in quella giornata dal movimento dei lavoratori metalmeccanici hanno corrisposto purtroppo e fin troppo a questa lettura della fase attuale della lotta di classe. Impossibile infatti individuare nella storia degli ultimi 50 anni una manifestazione dei metalmeccanici così contenuta nella partecipazione numerica e anche così poco capace di scaldare gli animi ed esprimere determinazione alla lotta. La pioggia che ha accompagnato la manifestazione, prima debolmente, diventando poi torrenziale al momento conclusivo del comizio, ha solo sovrapposto l’avversità della meteorologia autunnale (per non parlare del governo o di Dio) a una condizione negativa del movimento di classe e alle scelte discutibili dei suoi dirigenti.

Il richiamo fatto dal palco e presente nelle discussioni di piazza in cui molti militanti, raccontavano dei tanti pulman disdetti dalla loro città o provincia, in relazione ai tragici e dolorosi avvenimenti di Parigi, cioè al sopravvenire della paura, purtroppo non costituisce una giustificazione rassicurante, ma anzi, se reale, evidenzia ancora di più la difficoltà della condizione e della coscienza operaia.

Infatti è proprio in momenti come questi, che la mobilitazione di massa dei lavoratori è garanzia fondamentale di tenuta democratica, di risposta agli attacchi congiunti del terrorismo fondamentalista da una parte e dell’offensiva capitalista, che utilizza questi massacri per portare fino in fondo la divisione delle classi subalterne e l’attacco ai diritti sociali e democratici. In altre epoche fu proprio la capacità del movimento di massa ad essere presente che contenne i danni politici e materiali prodotti da simili avvenimenti.

La direzione della Fiom ha pensato di sopperire alle difficoltà che incontra sui luoghi di lavoro davanti all’attacco congiunto di padroni e governo lanciando la costruzione di una coalizione sociale, larga, composta da diversi soggetti che subiscono i colpi della crisi capitalista.

Lo ha fatto a prescindere dalla sua azione sindacale, che si adattava invece sempre più alla linea compromissoria della CGIL, quasi che fosse possibile costruire una efficace coalizione sociale senza predisporre anche una forte mobilitazione sindacale su coinvolgenti piattaforme contrattuali.

Lo ha fatto dopo la sconfitta subita con l’introduzione del Jobs Act, mentre invece il buon senso avrebbe dovuto consigliarle di farlo a partire dalla mobilitazione potenzialmente generale dell’autunno scorso.

Lo ha fatto quindi a freddo trovando l’adesione più o meno genuina dei gruppi dirigenti di diversi soggetti sociali e politici, ma senza una dinamica mobilitante reale e senza che i diversi soggetti disponessero di una forza efficace per produrla.

E infatti la prima data proposta per la manifestazione nazionale ha dovuto essere disdetta; questa ha potuto essere convocata solo in relazione alla vicenda del contratto dei metalmeccanici, senza per altro avere la forza e la determinazione di congiungerla allo sciopero nelle fabbriche; così diventa solo una dimostrazione di esistenza, come sarà anche quella dei dipendenti pubblici del prossimo sabato di CGIL, CISL e UIL.

La Fiom ha indetto la mobilitazione su temi generali tra cui l’opposizione alla legge di stabilità, al Jobs Act, ecc., condivisibilissimi, definendo però contemporaneamente una pessima piattaforma contrattuale che assume l’accordo del 10 gennaio del 2014, introducendo le deroghe su un arco vastissimo di temi, la sanità integrativa, il raffreddamento degli scioperi, una piattaforma cioè subordinata, distante dalle battaglie passate della FIOM, in ultima analisi non mobilitante, tanto più in una contesto di arretramenti e sconfitte. Difficile con queste scelte riuscire a rendere credibile l’impegno di piazza più largo.

Nella manifestazione erano poi del tutto marginali i soggetti sociali che avrebbero dovuto dar vita alla coalizione sociale e anche le forze politiche che di solito si mobilitano a fianco della Fiom erano ridotte a manipoli esigui. Sorvoliamo sul fatto che il nuovo numerosissimo gruppo parlamentare di Sinistra italiana, non ha mostrato corrispondenza militante in piazza.

Presenti quindi soprattutto migliaia di militanti Fiom, generosi come sempre, anche se tanti di loro sono condizionati da un fideismo al loro segretario, certo brillante negli scontri televisivi, ma assai meno nella definizione di una linea elaborata e discussa a fondo nella federazione per provare ad affrontare i terribili compiti dello scontro con i padroni all’interno dei luoghi di lavoro.

Questo autunno evidenzia appieno due aspetti fondamentali dello scontro tra le classi dopo la vittoria del governo Renzi sul Jobs Act e la “buona scuola”.

Da una parte pesa drammaticamente la linea politica delle direzioni burocratiche dei sindacati che da anni hanno rinunciato alla lotta, anche ai livelli minimi, contro le politiche di austerità avallando le misure del governo e le politiche liberiste delle istituzioni europee, al di là di qualche opposizione formale della CGIL.

Questo ruolo dei gruppi dirigenti ha determinato demoralizzazione, depoliticizzazione, convinzione che non è possibile resistere e che occorre cercare individualmente la soluzione ai propri problemi, magari ricercando il leader forte a cui attaccarsi.

Dall’altra parte viene confermato il fatto che la mobilitazione della classe lavoratrice non può avvenire aprendo o chiudendo un rubinetto; nessuna direzione sindacale o di partito di sinistra può pensare che se demoralizza la propria classe con le sue scelte, quando sopraggiungono ragioni tattiche che richiedono una mobilitazione, può poi fare appello alla lotta dei lavoratori ed avere una risposta immediata ed automatica. La mobilitazione dei lavoratori non è fatto che si produce aprendo o chiudendo un rubinetto dell’acqua a seconda degli interessi dei capi più o meno intelligenti. Basta andare a rivedere tanti momenti decisivi della lotta del movimento dei lavoratori per rendersene contro.

La lotta e la mobilitazione della classe sono un movimento complesso, che si produce per determinate contraddizioni di fondo, ma in relazione a specifici avvenimenti, a reazioni e sentimenti, a livelli di coscienza raggiunti, a strumenti organizzativi conseguiti, a una complessa dinamica di ascesa della classe e dei suoi alleati; un gruppo dirigente deve saper stare dentro questi movimenti, essere sempre punto di riferimento e di sostegno, partecipare a tutte le vicende, non tarpare le ali alle diverse mobilitazioni, ma anzi utilizzare quanto avviene per aiutare i lavoratori a trovare la tappa successiva, la lotta possibile e necessaria. Deve servire a far crescere la coscienza di classe, la determinazione, la credibilità di potercela fare a vincere lo scontro con padroni. Abbiamo visto queste dinamiche se pure non completamente dispiegate alla fine degli anni 60 e poi negli ani 70: poi quegli insegnamenti sono andati via via perduti.

Il rubinetto parziale ma positivo si stava riaprendo lo scorso anno; il gruppo dirigente della CGIL ha voluto chiudere quel rubinetto con lo sciopero del 12 dicembre a cui non ha voluto dare alcuna continuità e la Fiom si è allineata.

Oggi la riapertura della lotta non può passare che attraverso un radicale mutamento degli orientamenti dei gruppi dirigenti; ma anche questo non può bastare. Bisogna tornare in ogni luogo di lavoro, per discutere, per dimostrare nei fatti che si vuole cambiare, per decidere insieme gli obiettivi che servono per procedere passo dopo passo a ricostruire organizzazione e coscienza, come hanno provato a dire e fare le componenti sindacali radicali di classe in questi anni, senza essere ascoltate ed anzi volutamente emarginate dalle direzioni.

Ma non ci sono scorciatoie per uscire dell’impasse e superare l’autunno freddo, impedendo che l’inverno porti l’estremo ghiaccio liberista e antidemocratico delle classi dominanti europee.

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