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Una storia di mobbing, diritti negati e di un licenziamento politico

Diritti negati, mobbing, demansionamento, punizioni e infine il licenziamento politico per il delegato Cobas alla Borri. Abusi e, forse, una cassa integrazione un po’ strana per un’azienda in attivo

di Ercole Olmi

CORTEI ROMA: COBAS IN PIAZZA, 'NO A DISTRUZIONE SCUOLA'

«Un licenziamento, infondato, ingiusto e radicalmente nullo», questo è il giudizio dei Cobas sul licenziamento di David Puri, rappresentante della combattiva sigla sindacale, che da oltre 15 anni lavorava prima alla Astrid Energy Enterprises di Castel San Niccolò e poi alla Borri di Bibbiena quando questa ha incorporato Astrid a seguito della fusione avvenuta a settembre 2014.

Borri è una società leader nella progettazione su misura, produzione e assistenza di sistemi per la protezione dell’alimentazione negli ambiti oil & gas, energia, utilities, processi industriali e servizi, ICT e di sistemi di conversione statica e accumulo per le energie rinnovabili. Fondata nel 1932, nel 2005 la società è stata acquisita da un gruppo di imprenditori locali precedentemente occupati in posizioni chiave della società della famiglia Borri. Da allora, nonostante la sfavorevole situazione economica mondiale, ha compiuto significativi progressi economici, passando da un fatturato di 14 milioni nel 2006 a più di 56 milioni di euro nel 2014. Nel settembre 2014 Borri Spa si rafforza incorporando la società Astrid Energy Enterprises S.p.A. Sul sito aziendale, alla voce “valori” si legge: “…la gestione etica delle risorse umane e ambientali…”. E’ davvero così? Finite di leggere questa storia.

Puri, due figli piccoli ed un mutuo per la casa da pagare, nel corso degli ultimi anni ha assistito ad un progressivo deterioranento dell’ambiente lavorativo da imputare alle illegittime e pretestuose condotte aziendali. Nel febbraio 2013, a distanza di pochi giorni dalla comunicazione di David di voler fruire dei congedi parentali in occasione della nascita della sua prima figlia, l’azienda tentò di adibirlo a mansioni inferiori, senza riuscirci, grazie ad una pronta reazione del lavoratore.

Un anno di mobbing. A quel punto scatta l’isolamento di David dal resto dei colleghi che, infatti, vennero distaccati presso la Borri in vista della imminente fusione aziendale con Astrid mentre David venne lasciato da solo in un ufficio. Durò un intero anno la clausura del delegato sindacale, durante la quale l’azienda cercò di ostacolare la fruizione dei congedi previsti dalla legge per la malattia dei figli, congedi che David riuscì ad ottenere solo dopo essersi rivolto alla Direzione Territoriale del Lavoro di Arezzo.

Il part time negato. Puri fece anche domanda di part-time, come previsto dalla legge e dal contratto, per potersi prendere cura di sua figlia, ma l’azienda respinse immotivatamente la sua domanda. C’è stato bisogno dell’intervento del Centro Pari Opportunità della provincia di Arezzo per strappare il part time dopo otto mesi ma l’azienda metterà come condizione l’accettazione di mansioni inferiori (le stesse del precedente tentativo del febbraio 2013) e David, vista l’urgenza di soddisfare le proprie necessità familiari, non potè che cedere, stavolta.

La lunga serie di punizioni. In occasione della fusione Astrid-Borri, i Cobas – e David in prima persona – furono gli unici a rivendicare l’estensione della contrattazione aziendale vigente in Borri ai lavoratori provenienti dalla Astrid, e si parla di circa 4mila euro/anno. Due settimane dopo, David ricevette, per la prima volta in 15 anni di lavoro, la prima contestazione disciplinare, la prima di una lunga serie che in pochi mesi lo avrebbe portato al licenziamento. David Puri, nell’ambito della sua attività sindacale, portò all’attenzione dei lavoratori e dell’opinione pubblica anche l’anomala apertura della cassa integrazione a soli 3 mesi dalla fusione Astrid-Borri, una fusione tra due aziende sane che avevano sempre avuto bilanci in attivo e che mai prima di allora avevano richiesto gli ammortizzatori sociali.

Su quella fusione – e sulla strana cassa integrazione – i Cobas diffusero un comunicato stampa ad aprile 2015 e David rilasciò un’intervista ad una nota rivista locale: dopo pochi giorni David subisce l’ennesima contestazione disciplinare. A fine luglio 2015 un nuovo comunicato stampa e un’altra contestazione. «Coincidenze?», si chiede amaramente il comunicato dei Cobas.

A settembre 2015 David diventa padre per la seconda volta ma purtroppo, come per la prima volta, non riesce a vivere una serena paternità: dopo pochi giorni, infatti, riceve l’ennesima ingiusta ed ingiustificata contestazione disciplinare, e questa sarà l’ultima in quanto sancisce il suo licenziamento.

4 contestazioni in 30 giorni di lavoro. Da febbraio fino al 9 ottobre, giorno del suo licenziamento, è stato il lavoratore maggiormente sospeso in cassa integrazione (5 mesi) e, tra ferie, congedi e sospensioni disciplinari, ha lavorato per circa 30 giorni: in soli 30 giorni di lavoro ha subito ben quattro contestazioni disciplinari, «un sicuro record, a maggior ragione se si considera che dei 30 giorni lavorati l’azienda è arrivata a contestare al lavoratore 11 giorni come come presenza ingiustificata!», spiegano i Cobas annunciando una conferenza stampa, l’11 febbraio, di fronte ai cancelli della Borri.

Puri è stato licenziato in tronco e senza corresponsione dell’indennità di preavviso: ad oggi l’azienda non ha pagato né l’ultimo stipendio, né il tfr arrivando addirittura ad adombrare una richiesta di risarcimento contro il lavoratore per inesistenti danni.

«Licenziamento, contestazioni e sanzioni disciplinari infondate e pretestuose, ostacoli ad una serena paternità, richieste di risarcimento di inesistenti danni, questi sono gli strumenti utilizzati dall’azienda per allontanare David, un lavoratore con la sola colpa di aver rivendicato i propri diritti e legittimamente esercitato la propria attività sindacale».

E un mese dopo il licenziamento di David è stata attivata una procedura di riduzione del personale ed è stata aperta la mobilità. Proprio come temevano Puri e il suo sindacato.

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