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Irlanda, le urne bocciano il governo. Cresce la sinistra no austerity

Tracollo dei laburisti e calo dei loro alleati di governo. Mai così forte, al sud, lo Sinn Fein di Gerry Adams e l’estrema sinistra. Ma l’Irlanda va verso un governo di centrodestra

di Enrico Baldin

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Frammentazione e punizione ai partiti di governo: dalle urne irlandesi esce lo scenario che un po’ tutti avevano previsto, con la possibilità di un governo di coalizione di centrodestra. Il 65% degli oltre 3 milioni di irlandesi aventi diritto al voto hanno confermato le previsioni dell’ultima settimana. Venerdì in tarda serata gli abitanti delle storiche 32 contee irlandesi (che dopo i tagli alla spesa imposti da una legge del 2014 sono diventate 28) erano andati a letto con i risultati dei primi exit poll che confermavano quanto largamente previsto nelle ultime settimane, ovvero una sostanziale situazione di stallo, con i due partiti di governo uscente impossibilitati a ricostituire la coalizione di maggioranza uscente che ha governato dal 2011.

Sabato mattina sono iniziate le lentissime operazioni di spoglio, che si sono distanziate solo parzialmente da quanto visto negli exit poll. Il Fine Gael dell’uscente Taoiseach (primo ministro) Enda Kenny, perdendo oltre il 10%, riduce notevolmente i suoi voti e i suoi seggi che, ad operazioni non ancora concluse e con 10 seggi ancora da assegnare, sono momentaneamente 47. Nel 2011 i centristi del 65enne premier Kenny avevano conseguito oltre il 36% dei voti, attestandosi al primo posto che comunque obbligò Fine Gael ad una alleanza coi Laburisti, alleanza che ha garantito a Kenny la più ampia maggioranza della storia repubblicana irlandese. Per i Laburisti, alleati di governo del Fine Gael, il voto di ieri è stato un vero e proprio tracollo, con una perdita di oltre 12 punti percentuali rispetto al 19,5% di cinque anni fa e una decurtazione di seggi tale da aver ridotto il gruppo parlamentare laburista a soli 6 deputati. Naturale pensare che la leader e vicepremier uscente Joan Burton rassegnerà le sue dimissioni. I conservatori del Fianna Fail, all’opposizione nell’ultima legislatura ma al governo a Dublino in ben sette legislature, hanno conseguito il 24.3% dei voti e per il momento 43 seggi, meglio della batosta di cinque anni fa, ma ben lontano dai risultati che per decenni lo hanno attestato saldamente sopra al 40%. Di non poco conto il numero di indipendenti e “cani sciolti” smarcati dai partiti tradizionali eletti nelle varie contee, ben 18.

Chi è stato premiato dall’esito del voto di ieri è chi in questi anni ha criticato l’austerity impressa dagli ultimi due governi. In particolar modo, i nazionalisti unionisti di sinistra del Sinn Fein di Gerry Adams passano dal lusinghiero 9,9% ottenuto nel 2011, al 13.8% di oggi, voto più alto mai conseguito in Irlanda dalla formazione di Adams (in Irlanda del Nord invece il Sinn Fein è abituato a risultati superiori). Il Sinn Fein – membro in Europa del gruppo della Sinistra Europea – da anni condanna aspramente le politiche economiche del governo irlandese e le scelte impresse dalla Troika. Ora potrà contare su 22 seggi, eletti perlopiù nelle contee del nord, ma potrebbe scattare il 23esimo nel dipartimento Longford Westmeath dove le operazioni stanno andando particolarmente a rilento. Il Sinn Fein nel 2011 aveva conseguito 14 seggi.

Lusinghieri anche i risultati delle altre due liste della sinistra radicale, presentatesi con formazioni alla loro prima apparizione alle elezioni politiche: AAA-PBP (coalizione elettorale tra i trozkisti di Antiausterity Alliance e i “cugini” di People Before Profit) ha conseguito il 3.9%, eleggendo ben 5 deputati. Indipendents 4 change che si è presentata per la prima volta dopo lo scioglimento di United Left, ha presentato solo 5 candidati in tutte le contee ma è riuscita ad eleggerne 3. Con anche il riconfermato Seamus Healy del piccolo “Partito dei lavoratori e disoccupati” la pattuglia dei deputati di sinistra sarà massiccia come non mai.

L’estrema sinistra iralndese è rappresentata da una galassia di solito rissosa di formazioni che si richiamano al trotskismo: il Socialist Party, con la sua articolazione della Anty-Austerity Alliance (AAA) e il Socialist Workers Party, con la sua articolazione della People Before Profit Alliance (PBP), che, pur rimanendo distinti, si presentavano formalmente come un unica lista AAA-PBP. A questi vanno aggiunti il Workers and Unemployed Action Group (WUAG) e la United Left Alliance (ULA). Tutti assieme questi gruppi sfiorano i 100.000 voti (quasi il 5 %) e ottengono 7 seggi (3 alla AAA, che ne guadagna uno; 2 riconfermati al PBP, uno riconfermato alla WUAG e uno nuovo alla ULA).  Nessuno di loro presenta candidati in tutte le circoscrizioni, ma solo in quelle in cui ritiene di avere  un minimo di radicamento. Così AAA era presente in sole 12 circoscrizioni su 40: in tre ha ottenuto risultati compresi fra il 15 e il 18 %, in una il 10 %, nelle altre oscilla dall’uno al 4 %. PBP, presente in 17 circoscrizioni, ottiene il 16 % in una, il 10-11 % in due, tra il 5 e il 6 % in altre due, e risultati non disprezzabili nelle altre. WUAG, con un solo candidato, ottiene il 10 %, e la ULA, anch’essa con un solo candidato, sfiora il 15 %.

In questo momento, tenuto conto della frammentazione emersa dalle urne, aritmetica e politica possono dare solo una possibile coalizione di governo. Per avere la maggioranza nel Dail, la camera bassa, servono 79 seggi e al momento l’unica coalizione possibile potrebbe essere quella tra Fine Gael e Fianna Fail. Una coalizione di questo tipo sarebbe del tutto inedita e stupefacente visto che i due partiti, pur non essendo troppo distanti nelle posizioni politiche, di certo storicamente non sono mai stati affini, sin dai tempi della guerra civile quando il trattato anglo-irlandese divise gli irlandesi tra difensori del trattato e detrattori. Se la guerra civile risalente a quasi un secolo fa possa impedire di costituire una coalizione di governo è una domanda che si sono fatti in tanti in queste settimane, visto lo scenario di ingovernabilità che andava profilandosi. Alle prime battute durante lo spoglio ci sarebbe stata una timida apertura del leader di FF, Micheal Martin.

I dati economici degli ultimi mesi erano ritenuti più che incoraggianti dai rappresentanti dei partiti di governo uscenti, che li avevano sbandierati con toni trionfalistici: il calo della disoccupazione di 5 punti percentuali, la crescita del PIL alla galoppante marcia del 6% annuo, la ripresa dell’export. Dati che però non sono coincisi con una sensazione di miglioramento della vita reale degli irlandesi, che negli ultimi anni hanno pagato una tassazione più alta e un drammatico taglio della spesa pubblica, oltre che l’innalzamento dell’età pensionabile a 66 anni. In realtà l’Irlanda resta ancorata al programma di rigidità e austerity conseguito agli 85miliardi di aiuti che il governo di Brian Cowen chiese nel 2010, quando la disoccupazione viaggiava ai massimi storici e la crisi era al suo picco. Da quel 2010, la spesa pubblica è passata dal 66,1% rispetto al PIL, al 39% del 2014, mentre le entrate da tassazioni o privatizzazioni – stando a quanto riferisce il Tranding Economics – sono passate dagli 11 miliardi del gennaio 2013 ai 17,6 miliardi del gennaio 2016.

Ma nel dibattito politico di questa breve campagna elettorale si è discusso anche di diritti civili. Dopo la vittoria al referendum dello scorso maggio dei promotori del sì ai matrimoni gay, le spinte per abrogare l’ottavo emendamento della Costituzione – quello che vieta l’aborto – si sono fatte più forti. La chiesa è entrata nel dibattito, dimostrando il senso di timore per un cambiamento culturale che è in essere e per le spinte sociali da parte delle associazioni femministe sempre più forti. Anche su questo tasto ha pressato il Sinn Fein, che ha raccolto anche i frutti dell’impegno per i diritti civili in una fase in cui la popolazione irlandese, sui temi etici, pare smarcarsi dal suo storico radicamento conservatore.

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