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Assolto Rachid. False le accuse delle guardie penitenziarie

Rachid aveva denunciato violenze a Sollicciano ma era stato portato a processo per resistenza e danneggiamento agli agenti e al carcere. E’ il detenuto che ha registrato i secondini di Parma

di Checchino Antonini

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Rachid Assaragh aveva sporto denuncia per il trattamento subito a Sollicciano ma era stato viceversa denunciato e portato a processo per resistenza e danneggiamento nei confronti degli agenti e della struttura penitenziaria.

«Oggi è un grande giorno: Rachid è stato assolto da tutte le imputazioni a lui ascritte», dice Fabio Anselmo, il suo avvocato e di molte famiglie restate incastrate in violenze di malapolizia, da Aldrovandi a Cucchi fino a Budroni e Bifolco.

E ora Anselmo vuole portare questa storia a Bruxelles, assieme alle altre storie della delegazione di Acad che il 15 marzo sarà sentita al Parlamento europeo in un’audizione organizzata dal Gue.

Rachid, costretto a migrare da un carcere all’altro, è sottoposto da anni a una decina di processi fotocopia. A Sollicciano, nel dicembre del 2014, aveva registrato tutto: “mi avete picchiato, non potete negarlo”. e gli agenti: “tanto comandiamo noi”. È stato portato in isolamento, picchiato e lasciato senza cure. Aveva avuto un contrasto con un agente penitenziario che lo avrebbe dovuto portare in infermeria. Mentre gli apriva il blindo gli avrebbe detto: “Andiamo maleducato”. Il detenuto ha chiesto il perché di quell’insulto e ottenendo per risposta che se non ci fossero state le telecamere, “gliele avrebbe date”.

Poi sarebbero arrivati altri agenti, lo avrebbero portato in isolamento e lì lo avrebbero percosso.

La moglie aveva inviato una lettera alla direttrice del carcere affinché gli garantisse protezione da eventuali ritorsioni.

Rachid era stato trasferito a Sollicciano perché è il detenuto che aveva registrato anche le guardie del carcere di Parma con un apparecchio che sua moglie era riuscita a fargli avere. I suoi diari e le registrazioni sono stati acquisiti dal giudice e sono stati sottoposti a perizia. In aula, nell’ottobre de 2014, il detenuto ha riconosciuto la voce di uno degli agenti di polizia penitenziaria che lo aveva minacciato di morte. Il processo è ancora in corso.

Gli agenti, nelle registrazioni, si vantano di poter esercitare impunemente il proprio violento potere sulla vita di chi sta dietro le sbarre («Ne picchiamo tanti, qui comandiamo noi», «Vuole denunciarle? Poi le guardie scrivono nei loro verbali che non è vero. Che il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto ha aggredito l’agente che si è difeso, ok? Ha presente il caso Cucchi? Hanno accusato i medici di omicidio e le guardie no… Ma quello è morto, ha capito? È morto per le botte»; “Dentro il carcere funziona così, le regole vengono fatte dagli assistenti, dal capo delle guardie, c’è una copertura reciproca, una specie di solidarietà reciproca tollerata. Non credo che lei abbia il potere di cambiare niente”) e ora questo detenuto marocchino potrebbe essere una bomba a orologeria per le carriere e il certificato penale di alcuni di loro. Certo lo è, da un punto di vista “politico”, per la credibilità di un corpo tirato in ballo sempre più spesso da episodi come quello che ha portato alla morte di Stefano Cucchi o per i casi di “celle lisce”, “celle zero”, luoghi in cui si pratica la tortura per i prigionieri meno accomodanti. Ma per Donato Capece, leader del Sappe, sarebbero solo montature usato «ad arte per denigrare l’operato dei baschi azzurri». L’approccio del Sappe alla problematica degli abusi non sembra diverso da quello dei sindacati dei suoi cugini di Sap e Coisp.

Rachid viene denunciato sistematicamente per non farlo uscire. Lo stesso a Prato dove è già stata chiesta la sua archiviazione. «Dopo il suo arrivo a Parma Rachid viene lasciato per tre giorni senza poter utilizzare l’acqua corrente; di questo parla con un assistente che pur condannando il comportamento tenuto dai colleghi, afferma che non testimonierà mai contro di loro. Neppure il medico si dichiarerà disposto a intervenire: “Se io faccio una cosa del genere oggi, mi complico solo la vita”». Per Anselmo, a Parma, i detenuti venivano sottoposti sistematicamente a violenza da parte degli agenti che, in qualche modo, condizionavano anche i medici, costretti a tacere per non subire ritorsioni.

Rachid Assarag tra il 2010 e il 2011 si trovava nel carcere di Parma. Il suo esposto giaceva da mesi e mesi sulla scrivania dei pm con una velocità inversamente proporzionale a quella delle querele sporte contro di lui da alcune guardie per resistenza e oltraggio. Assaragh risulta più volte indagato e già sotto processo in seguito alle decine di informative presentate contro di lui d al personale penitenziario.

A Parma, Aldo Cagna, condannato a trent’anni per l’omicidio della sua ex fidanzata, denunciò il supplemento di pena che gli inflissero due agenti «picchiandolo, schiaffeggiandolo, buttandolo giù dalle scale, gettandogli addosso candeggina», come ebbe a scrivere l’Espresso. La Cassazione a giugno ha riconosciuto la responsabilità delle guardie, punendole con una sentenza a 14 mesi. Assaragh è dentro per violenza sessuale su due studentesse ventenni e per questo, come da regole non scritte, sarebbe stato picchiato. Dalle parole degli intercettati emerge «un sistema punitivo parallelo». «Va bene assistente, guarda il sangue che è ancora lì, guarda, non ho pulito da quel giorno, lo vedi?». «Sì, ho visto», conferma la guardia. «Comandiamo noi. Come ti porto, ti posso far sotterrare. Comandiamo noi, né avvocati, né giudici», «Nelle denunce tu puoi scrivere quello che vuoi, io posso scrivere quello che voglio, dipende poi cosa scrivo io…».

Ora Rachid è detenuto a Lucca dove ha già sporto delle denunce per le provocazioni subite.

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