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Lidl, non è magia. E’ solo sfruttamento

Sul Guardian, una analisi sul prezzo dei jeans da Lidl, mostra la guerra sfrenata dei prezzi in cui  fanno le spese nella maniera più pesante i lavoratori alla base della catena, in questo caso le donne operaie del Bangladesh 

 di Gethin Chamberlain

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Abracadabra! “La magia di Lidl ! Jeans a £ 5.99” I titoli sparati sui giornali lo scorso fine settimana esaltavano la genialità della catena di supermercati che ancora una volta taglia il prezzo spiazzando i concorrenti.

Il grande distributore tedesco, veniva spiegato, stava continuando il suo assalto ai tradizionali giganti del supermercato puntando sulla moda e mettendo in vendita i jeans a un sorprendente £ 12 in meno rispetto a un tipo simile di Tesco.

Ma come fanno questi maghi della distribuzione? La linea incontestata di Lidl è che il segreto sta nel suo enorme potere di acquisto. Sono stati proprio bravi a fare l’offerta.

Ma cerchiamo di essere chiari. Questa non è magia. Non è Harry Potter a fare questi jeans, è una giovane donna in una fabbrica in Bangladesh, e uno dei motivi principali per cui sono così a buon mercato è che i lavoratori come lei sono pagati appena 2 pence per ogni paio di jeans prodotti.

Eppure, £ 5.99 è un bel risultato, quando addirittura Primark – che non scherza in fatto di taglio dei costi – è riuscito ad abbassare il prezzo solo fino a £ 8. Quindi come fanno?

“Le sorprese di Lidl” è lo slogan che il supermercato attualmente utilizza giocando con le parole, ma non è una sorpresa il fatto che la ditta, come molti dei grandi distributori britannici, fa gran parte dei suoi acquisti di vestiti in Bangladesh, dove il salario minimo per un operaio del settore dell’abbigliamento è di 23 pence all’ora.

Di certo, quando la nuova linea è stata lanciata giovedi mattina negli oltre 600 negozi del Regno Unito di Lidl, come parte della promozione “We Love Denim” – con la parola “amore” indicata con un cuore –  le etichette rivelavano che la provenienza era il Bangladesh. In una serie di taglie e colori, i jeans sono gettati alla rinfusa dentro dei contenitori sul retro del negozio, e anche i fan più accaniti di Lidl probabilmente possono concedere che nessuno va a cercare in quei negozi per fare un’esperienza di shopping terapeutico, qui si tratta di risparmiare pochi centesimi sui cartellini dei prezzi.

L’ offerta sensazionale è £ 5,99 per un paio di “jeggings” – leggings attillati che assomigliano ai jeans. L’etichetta parla di una “moda stile jeans”, in tessuto di cotone (77%), con elastico in vita; un solo bottone, una zip YKK, due tasche posteriori e due anteriori, cuciture senza rivetti. Niente ricami sulle tasche.

Tutto questo è importante. Ogni ulteriore dettaglio si aggiunge al prezzo del prodotto finito. La ripartizione dei costi in una fabbrica di jeans del Bangladesh pubblicata da Bloomberg nel 2013 indicava il prezzo di una cerniera a 10p, un bottone a 4p e i rivetti a 1p ciascuno. Ricamo aggiunto altri 9p, le tasche 6p e le etichette 7p. A questi margini, ogni singolo penny conta, quindi non è una sorpresa scoprire che i jeggings sono ridotti all’osso.

Ma il Boyfriend Jeans, a £ 7,99, sembra essere il vero affare: quattro tasche, più una strana piccola taschina all’interno della tasca anteriore destra (per un orologio, a quanto pare). Ha sei passanti per la cintura, cinque rivetti, tre bottoni e una zip YKK. Realizzato in cotone 100% , l’elemento più costoso del processo produttivo: da £ 2.30 a £ 2.50.

C’è anche da pagare il filo per le cuciture, che potrebbe fare al più 19p, e il prodotto finito dovrà essere lavato, quindi se stiamo cercando di fare un prezzo arriviamo probabilmente a £ 3.90.

Ora dobbiamo mettere insieme questi materiali. Fortunatamente – per l’acquirente – non è poi così costoso.

La maggior parte dei lavoratori nelle fabbriche di abbigliamento del Bangladesh sono donne e la maggior parte sono pagate al salario minimo di 5.300 taka al mese (circa £ 48). Fa 23p all’ora per otto ore, per sei giorni alla settimana. Si tratta di un quinto delle 230 £ al mese stimate dal Asia Floor Wage Alliance come il minimo necessario per un salario di sussistenza nel 2013.

Per ricavare con precisione il costo del lavoro, è necessario sapere quante paia di jeans si producono al giorno. I dati disponibili coprono una vasta gamma: la ricerca in India ha trovato dei lavoratori che in una fabbrica producevano in media 20 paia di jeans al giorno, mentre un altro studio in Tunisia ha trovato una produzione di 33 paia al giorno. Tutto dipende dalla qualità e complessità del disegno. Nel 2010 l’Institute for Global Labour and Human Rights ha esaminato il Bangladesh e ha trovato che una squadra di 25 operai sfornavano 250 paia di jeans all’ora – 10 per lavoratore, o 80 per lavoratore al giorno.

Ciò significa che il salario minimo dovrebbe stare in un range compreso tra 2p e 9p per ogni paio di jeans prodotti, che è sostanzialmente in linea con uno studio del 2011 sulla produzione di abbigliamento in Bangladesh della società di consulenza statunitense O’Rourke Group Partners, che prezzava il costo del lavoro per una polo a 8p.

O’Rourke ha posto i costi totali di fabbrica per la camicia a 41p: Bloomberg ha calcolato che i suoi jeans del Bangladesh costano 56p alla produzione, più 16p di profitto.

Arriviamo a circa 4,50 £. Ma abbiamo ancora bisogno di spedire i jeans, e non ci sono spese di magazzino e tasse portuali, quindi possiamo metterci altri 30p, arrivando fino a £ 4.80. E abbiamo ancora bisogno di trasportarli dal porto al negozio, quindi sono altri 50p. Questo ci dà £ 5.30, ma per finire c’è ancora l’IVA.

Il totale complessivo di £ 6.36 gonfierebbe il bilancio per i jeggings, ma basta usare un po’ meno materiale, ed ecco risparmiato qualche soldo sui bottoni e i rivetti. Questo renderà più veloce la lavoraziome, così che scenderà un po’ il costo del lavoro. Potrebbe quasi essere possibile portarli a £ 5,99 o possono anche guidare il mercato in perdita: cosa che accade. I jeans, comunque, mostrano un profitto di £ 1.63.

Ma è qui che viene fuori il potere d’acquisto di Lidl, perché sia i jeggings che i jeans sono importati da intermediari, che vendono al supermercato – rispettivamente OWIM Gmbh, società tedesca, e Top Grade International Enterprise Ltd con sede a Hong Kong, che esportano 30 milioni di pezzi all’anno dal Bangladesh. Sia l’uno che l’altro devono subire dei tagli. Nell’esempio di Bloomberg, l’intermediario ha subito un taglio di £ 2. Qui è chiaramente fuori questione se Lidl stesso ne ricavi un utile. E questa è la realtà di un paio di jeans da £ 5.99: tutti sono spremuti, su tutta la linea.

I tempi sono duri. I clienti richiedono i vestiti più economici possibile. Il successo di Lidl si basa su questo: è così che ha fatto £ 4 miliardi di vendite nel 2014. Soddisfa un bisogno e lo fa spremendo al massimo possibile i suoi fornitori. Lidl sostiene di essere consapevole delle sue responsabilità e di stare lavorando per migliorare le condizioni di lavoro e di vita e dei lavoratori tessili. Essa controlla le sue fabbriche, dice, ma lo dicono tutti. E non pubblica i risultati. Quasi nessuno lo fa.

Perché quando il modello di business si basa sull’offrire i prezzi più bassi possibili, qualcuno deve sovvenzionare questo, e quel qualcuno è il lavoratore che cuce quei jeans. Lidl non compra i suoi jeans dal Bangladesh perché le fabbriche di Dacca sono le più belle del mondo: lo fa perché pagano gli operai una miseria. E, alla fine, è così che risulta possibile vendere un paio di jeans a 5,99 £.

Non è magia. E’ solo sfruttamento.

2 COMMENTI

  1. Questa è la globalizzazione, vale per tutte le merci, dai telefonini all’olio d’oliva, dunque la soluzione sono le barriere doganali.

    • In realtà le dogane ci sono, solo che NON funzionano. Cioè, funzionano quando fanno pagare al SOTTOSCRITTO, le tasse per un lp acquistato in Australia, circa 20 euro su 60 (valore del disco e spedizione…). E’ questa la vergogna!

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