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Vincenzo Sapia, una morte da chiarire. Tre carabinieri indagati

La Gip di Castrovillari non archivia il caso Sapia. I carabinieri non rispettarono le regole nel trattamento di una persona in stato di disagio psichico. C’è da chiarire se tutto ciò ha avuto un ruolo nella morte

di Checchino Antonini

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«Una bellissima notizia…
Il GIP ha deciso che l’indagine per la morte di mio fratello non era completo, noi ne eravamo convinti e l’abbiamo sempre detto.
 Il comportamento dei carabinieri che sono intervenuti su di lui non consente per nulla, oggi, di archiviare e chiudere il caso: sono necessarie altre e numerose indagini per accertare se ci sono responsabilità.
 Anche il giudice ha riconosciuto che bisogna capire se mio fratello sia stato asfissiato, e se i carabinieri si sono comportati correttamente nel gestire la situazione e nell’immobilizzarlo.
 Mio fratello era un ragazzo splendido e aveva tutto l’amore della sua famiglia.
 La sua morte merita un’indagine giusta e precisa. Non lo abbandoneremo mai e ringraziamo tutte le persone che ci danno sostegno in questa battaglia di civiltà». Caterina Sapia è un’altra persona scaraventata sulla scena pubblica, nei corridoi delle cittadelle giudiziarie, nella coazione a ripetere migliaia di volte la storia più tremenda della sua vita: la morte di suo fratello per mano di persone con addosso una divisa o, comunque, nell’opacità brusca, violentissima di una circostanza di arresto. Anche lei, come altre famiglie, s’è rivolta a Fabio Anselmo e Alessandra Pisa, legali di Ferrara che seguono parecchi casi simili: Cucchi, Budroni, Magherini, ad esempio, dopo la vicenda Aldrovandi che, in Italia, ha aperto una stagione di nuova sensibilità dell’opinione pubblica verso abusi in divisa sempre più frequenti.

La notizia che segnala Caterina sui social è che Letizia Benigno, gip a Castrovillari (Cosenza), ha stabilito in un’ordinanza di integrazione indagini che «Diversi sono gli aspetti meritevoli di ulteriore approfondimento che non consentono allo stato un pacificante accoglimento della richiesta di archiviazione».

Vincenzo Sapia aveva 30 anni, pesava 160 chili ed era in cura da tempo al Cim di Rossano (disturbi schizoaffettivi). Il 25 maggio del 2014 stava cercando di forzare una porta nel centro di Mirto Crosia perché credeva che dentro quella casa ci fosse il suo cane. Qualcuno chiama il 112 ma Sapia rivuole il suo cane. Prende a spogliarsi di fronte ai due carabinieri. Scoppia una colluttazione, Sapia porta a segno un paio di cazzotti ma viene bloccato. Lo tengono per il collo e lo avvinghiano da dietro. Passa anche il sindaco del paese e anche lui prova a calmare Sapia, così si legge nell’ordinanza. Ma il ragazzo riesce a scappare. Pochi metri e la sua corsa termina rovinando a terra per via dello sgambetto di un terzo carabiniere. Lo trattengono per il collo e per i capelli, lo bloccano dal torace e dalle gambe. Prima un ginocchio e poi un piede sulla schiena. Sapia non fa più resistenza, viene allertato il 118 ma le manovre di rianimazione non hanno esito. Un medico che passava per caso dichiara il decesso di Vincenzo Sapia.

Il pm, nelle sue conclusioni, dichiarerà che la morte sarebbe stata determinata da alterazioni elettriche al cuore in un soggetto con il cuore messo male da coronosclerosi, coagulopatia, ipertrofia cardiaca, trombosi coronarica e minato dagli psicofarmaci. Tutto ciò per escludere l’asfissia da manovre violente. Morte cardiaca improvvisa, fu detto e scritto.

Ma per il Gip non è chiara la durata dell’operazione, impossibile da ricostruire con le carte disponibili. Il Pm dirà “brevissimo lasso di tempo”, la difesa dei tre indagati di “una manciata di secondi”. «Concetti labili e atecnici», secondo la Gip, per una vicenda che potrebbe essere durata anche venticinque minuti secondo una delle deposizioni che, comunque, cozzano l’una con l’altra, fino a determinare un’incertezza determinante della tempistica per poter archiviare la pratica. La Gip vuole capire diverse questioni, ad esempio, se il volto bluastro di quell’omone morto era dovuto al congelamento o all’eventuale asfissia. Ma l’aspetto più importante «insufficientemente esplorato» è se l’azione è avvenuta secondo quei protocolli operativi che prevedono comportamenti cautelativi e prudenziali nei casi di arresto e fermo di persone in condizioni di disagio psichico. Tra le regole di ingaggio c’è quella di «evitare di invadere lo spazio della persona in stato di agitazione mantenendosi a una distanza utile, stabilire un dialogo, dimostrare di comprendere lo stato d’animo dell’interlocutore, evitando di ingenerare sensi di colpa». Ancora: «Evitare l’immobilizzazione a terra e in posizione prona, trattenerlo possibilmente in piedi; sia l’arresto che l’eventuale ricovero dovranno avvenire in posizione seduta o sdraiata su un fianco evitando in ogni caso posture che comportino qualsiasi forma di compressione toracica».

Regole, a detta della Gip, che «presuppongono come altamente elevato il rischio di asfissia da compressione o di asfissia posturale».

In questa storia quelle regole non sono state rispettate e bisogna capire se tutto ciò abbia avuto un ruolo nella morte di Vincenzo Sapia. Per questo l’archiaviazione chiesta dal Pm non ci potrà essere prima di aver chiarito, entro sessanta giorni, la durata delle strette al collo e dell’immobilizzazione a terra dell’uomo.

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