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Mondazzoli: addio Torino, i libri vanno all’Expo di Milano

La guerra del libro, anzi del Salone, la vince Mondazzoli, il mostro nato dalla fusione di Rizzoli e Mondadori. Editori indipendenti sul piede di guerra. E/O va via dall’Aie sbattendo la porta

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Da Torino a Milano per mettere a valore il sistema Expo e il devastante modello di relazioni sociali che si porta dietro. Ecco cos’è questo grande trasloco della kermesse del libro. Così Mondazzoli, il mostro editoriale (e milanese, Mondadori più Rizzoli) che si mangia il 40% delle vendite di libri, schiaccia la biodiversità editoriale. Che già non se la passava bene prima. Perché la guerra Milano-Torino non è uno scontro tra cow boy e indiani. E le piccole case editrici non sono quasi mai luoghi liberati esenti dallo sfruttamento.

E’ durata oltre tre ore ed è stata tutt’altro che pacifica la riunione del consiglio generale dell’Associazione Italiana Editori: 32 votanti, 17 sì, 7 no e 8 astenuti, vince il padrone del pallone a proposito dell’ufficializzazione dell’addio dell’Aie al Salone del Libro di Torino. Era da febbraio che i grandi editori avevano deciso di uscire dalla Fondazione per il Libro ma per «correttezza istituzionale» hanno aspettato dato che a Torino c’era la campagna elettorale.

E’ la decisione di “mettersi in proprio”, anzi, di mettere su casa assieme a chi ha gestito Expo: sta per nascere una nuova società con Fiera Milano (che avrà il 51% delle azioni) per promuovere il libro – il nome sarà annunciato a settembre – in un evento che si svolgerà a maggio, proprio per fare terra bruciata al Salone di Torino. E l’operazione prevede di inglobare anche “Più libri più liberi”, l’evento romano di dicembre dedicato alla piccola e media editoria. Non era semplice prima, sarà difficilissimo, d’ora in poi, per chi voglia pubblicare e leggere libri fuori dalle logiche di un mercato drogato, con regole cucite su misura per le grandi concentrazioni editoriali e finanziarie.

Esulta Mondadori, come pure il gruppo Mauri Spagnol, mentre e/o (la casa editrice che pubblica, ad esempio, Massimo Carlotto) va via dall’Aie sbattendo la porta e la casa editrice Lindau si è detta pronta a lasciare l’associazione e raccogliere in un coordinamento gli editori a sostegno del Salone di Torino. Nei giorni scorsi anche Odei, l’osservatorio degli editori indipendenti (promotore di Milano Book Pride, la fiera degli editori indipendenti, terzo evento fieristico editoriale in Italia per numero di visitatori), aveva espresso preoccupazione per una decisione abbondantemente nell’aria: «le decisioni sull’evento più importante a livello nazionale del mondo dell’editoria e tra i più importanti appuntamenti culturali dell’anno in Italia, devono essere prese consultando un’ampia platea di editori, protagonisti fondamentali del Salone». Così non è stato.

Questo scrivono Sandro Ferri e Sandra Ozzola, anima delle Edizioni E/O:

Questa decisione rivela la subalternità dell’associazione alle strategie dei grandi gruppi editoriali milanesi ed è stata presa senza un’ampia consultazione e tempestiva informazione degli iscritti. Non sono state certamente le frettolose consultazioni e le polemiche campaniliste di questi giorni a cambiare questo dato di fatto. Nel giro di poco meno di un mese ci ritroviamo a sorpresa senza il Salone del Libro di Torino che per trent’anni ha funzionato come una valida esperienza, soprattutto dal punto di vista degli editori indipendenti e dell’incontro tra autori, professionali del libro e lettori.

Per noi è evidente che a Milano non ci saranno le necessarie garanzie per un’equa rappresentazione dell’editoria indipendente e per un valido progetto culturale. Sono sotto gli occhi di tutti le conseguenze dei processi di concentrazione editoriale e distributiva portati avanti dai grandi gruppi editoriali. Il rischio della riduzione degli spazi espressivi e commerciali, attraverso la concentrazione in poche mani di distribuzione, librerie e case editrici, si arricchisce oggi di un altro preoccupante tassello. A partire da oggi anche il Salone del Libro, che aveva garantito in questi anni buona visibilità e attenzione all’editoria indipendente e agli editori più piccoli, finisce nelle stesse mani che già controllano la maggior parte del mercato.

L’AIE, che già adesso non annovera tra i suoi soci importanti editori indipendenti di cultura, perde così un’occasione per una politica di maggiore equità ed equilibrio capace di rappresentare i diversi interessi del mondo editoriale. Per questo motivo usciamo dall’Associazione e continueremo in altre sedi e forme la nostra battaglia per il pluralismo culturale.

«Noi andiamo avanti per la nostra strada – ha fatto sapere il sindaco di Torino Chiara Appendino – l’edizione 2017 si farà». «Lavoreremo con gli editori che non la pensano come il dottor Motta e che si renderanno disponibili – dice – assicurando una nuova fase per rilanciare il Salone con progetti innovativi, potendo contare sul supporto del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, del Miur, della Regione Piemonte e di Banca Intesa San Paolo». Partner forti, a cui nelle ultime ore si è aggiunta anche l’Itedi, l’editore del quotidiano La Stampa, pronto a scendere in campo con una sponsorizzazione triennale e con il contributo di idee del suo direttore creativo, Massimo Gramellini (a proposito di indiani e cow boy). L’ultima parola, insomma, non è ancora scritta e Torino spera ancora di poter dire la sua.

A Torino i medio-piccoli e a Milano il Salone dei grossi? E’ una semplificazione «Non credo che nessuno ci guadagnerebbe» dice Ernesto Ferrero, per 18 anni direttore editoriale del Salone del Libro di Torino, e spiega: «i piccoli editori sono una ricchezza. I visitatori al Salone hanno la possibilità di esplorare i loro cataloghi che non trovano nelle librerie. C’è una produzione forsennata. Negli anni abbiamo fatto di tutto per favorirli, gli abbiamo dedicato un intero padiglione, creato l’incubatole. E poi ci siamo anche sentiti dire che non facevamo nulla per gli editori medio-piccoli». Ferrero non nasconde che l’elezione a nuovo sindaco di Torino di Chiara Appendino possa aver avuto qualche incidenza sulla decisione presa e sottolinea: «Appendino appena è stata eletta è stata così brava che in un pomeriggio ha ottenuto un risparmio del 50% sui costi d’affitto del Lingotto. Non si possono condannare aprioristicamente le persone perché non la pensano come noi. Alla faccia della democrazia».

«Confesso che non capisco questa decisione. Credo che qualsiasi progetto e qualunque nuova iniziativa debba farsi sotto il segno della inclusione e di un vasto consenso. Questo progetto, per altro ancora tutto per aria, ha creato una serie di spaccature all’interno dello stesso Consiglio dell’Aie che non rappresenta tutti gli editori italiani, mettendo i piccoli editori contro i grandi, Torino contro Milano. Inoltre rappresenta un vistoso sgarbo istituzionale ai ministeri. A chi giova tutto questo? Non certo al libro, non certo ai lettori. La promozione della lettura non si fa con la guerra», conclude Ferrero. Ma forse nemmeno con grandi e costosi eventi.

 

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