Riscaldamento: Gli indicatori chiave del cambiamento climatico hanno raggiunto livelli record nel 2015
Le temperature, l’aumento del livello dei mari e le emissioni di gas serra l’anno scorso hanno raggiunto livelli record, facendo del 2015 l’anno peggiore della storia moderna per una serie di indicatori chiave sul clima, rivela martedì 2 agosto un rapporto internazionale di riferimento. Riduzione dei ghiacci, siccità, inondazioni, … è un ritratto cupo della Terra quello che dà il rapporto annuale sullo stato del clima («State of the Climate»), un documento di 300 pagine al quale hanno partecipato 450 scienziati di tutto il mondo.[1]
Record di caldo
Il fenomeno meteorologico El Niño, particolarmente vigoroso nel 2015, nell’anno scorso ha «esacerbato» la tendenza al riscaldamento secondo gli esperti, che notano che «la Terra ha registrato dei record di caldo per il secondo anno consecutivo».
L’Artico, zona particolarmente sensibile al cambiamento climatico, ha continuato a riscaldarsi e ha raggiunto «livelli registrati nel 2007 e 2011, ossia dei record dall’inizio del rilevamento dei dati all’inizio del 20° secolo, con un aumento di 2,8°C da quell’epoca».
Le concentrazioni di gas serra toccano dei vertici
Le concentrazioni di tre dei principali gas serra, biossido di carbonio (CO2), metano e protossido di azoto, hanno «toccato nuovi vertici nel 2015», indica il rapporto che si basa su decine di migliaia di rilevamenti tratti da numerose basi di dati indipendenti.
Alle Hawaii, sul vulcano di Mauna Loa, la concentrazione di biossido di carbonio ha registrato, nella media annuale, «il più forte aumento dall’inizio dei rilevamenti, cinquant’otto anni fa». Sull’insieme del pianeta, il CO2 ha sfiorato la barra simbolica delle 400 parti per milione (ppm), toccando 399,4 ppm, vale a dire un aumento di 2,2 ppm in rapporto al 2014.
Aumento del livello dei mari
Il livello dei mari ha raggiunto il suo punto più alto, con circa 70 millimetri più della media registrata nel 1993. Il livello sale gradualmente attorno alla Terra, con un aumento di 3,3 millimetri all’anno, secondo il rapporto. L’aumento è più rapido in certi punti del Pacifico e dell’oceano Indiano.
E rischia di accelerare nei prossimi decenni, man mano che fondono i ghiacciai e le calotte polari, minacciando la vita di milioni di abitanti delle coste.
L’anno 2015 è anche segnato da una stagione delle piogge più abbondante della media, che ha provocato gravi inondazioni.
Siccità
Gravi siccità hanno colpito superfici circa due volte maggiori nel 2015 che nell’anno precedente (14% contro l’8% nel 2014).
Propagazione di alghe
Le acque più calde hanno anche aggravato la propagazione di alghe, che ha colpito un’importante zona del nord Pacifico, che va dalla California alla Columbia Britannica, in Canada, con «effetti significativi sulla vita marina, le risorse costiere e gli abitanti che dipendono da queste risorse».
Uragani
La stagione degli uragani nell’Atlantico, anche questa in buona parte influenzata da El Niño, è stata particolarmente moderata per il secondo anno di seguito, anche se il numero dei cicloni tropicali «è stato globalmente molto al di sopra della media».
Questa tendenza dovrebbe confermarsi nel 2016, poiché i primi sei mesi dell’anno sono stati di gran lunga i più caldi sul globo.
L’anno 2015 ha stabilito un record planetario di caldo
Ai 195 paesi che, il 12 dicembre, a Parigi, hanno concluso un accordo storico per contrastare il riscaldamento planetario, il bilancio climatico dell’anno 2015 apporta una legittimazione anch’essa storica. La colonnina di mercurio è in effetti salita a un livello mai toccato dal 1880, l’anno del primo rilevamento. Un accesso di febbre largamente imputabile a un episodio particolarmente potente di El Niño, un fenomeno oceanico e atmosferico il cui effetto si somma alla tendenza di fondo, il riscaldamento dovuto alle emissioni umane di gas serra.
Le tre grandi istituzioni che tengono il registro delle temperature mondiali – l’Agenzia oceanica e atmosferica americana (NOAA), l’Agenzia spaziale americana (NASA) e l’Ufficio meteorologico britannico (Met Office) – non hanno ancora emesso il loro verdetto finale. Lo faranno nel corrente gennaio 2016, dopo aver integrato i dati di dicembre 2015. Ma questo bilancio dovrebbe ancora amplificare la costatazione tratta dai primi undici mesi dell’anno, il più caldo della storia moderna. Il tepore registrato un po’ ovunque a Natale è eccezionale. In Francia, la temperatura media del 25 dicembre è stata di 10,93°C, che ne fa il secondo Natale più caldo, dopo il 1997 che aveva conosciuto una media di 11, 7°C. A New York, nota per i suoi inverni rigorosi, il 24 dicembre c’erano 22°C, un record storico. Dicembre assomiglia alla primavera.
Tra gennaio e novembre, indica la NOAA nel suo ultimo rapporto, la temperatura media alla superficie delle terre e degli oceani ha superato di 0,87°C la media del 20° secolo, che è di 14°C, toccando il livello più alto mai registrato dal 1880 e superando di 0,14°C il record del 2014. L’anno che finisce si proietta dunque alla testa degli anni più caldi, davanti al 2014 e secondo la classifica dei primi undici mesi, al 2010, 2013, 2005 e 2009.
Disparità regionali
Andando un po’ indietro nel tempo, si constata che quattordici dei quindici anni più caldi appartengono al secolo 21°, con il 1998 che sale in testa alla classifica a causa di un episodio di El Niño di grande ampiezza, che aveva spinto in alto quell’anno. Altro indicatore al rosso: sui dieci mesi più caldi rilevati dalla fine del 19° secolo, almeno otto – dicembre ha buone probabilità di aggiungersi – sono targati 2015.
Si tratta ovviamente di medie mondiali, che nascondono disparità regionali. La parte orientale dell’America del Nord, ad esempio, ha conosciuto un anno più freddo del normale, mentre l’Argentina, dopo un inizio d’anno bruciante, ha registrato il mese di ottobre più fresco della sua storia. Temperature eccezionalmente basse sono state anche rilevate nell’Antartide, a causa di un fenomeno atmosferico proprio della regione australe.
Ma sulla maggior parte del globo sono prevalse temperature nettamente superiori al normale. È il caso dell’ovest dell’America del Nord e di una grande parte dell’America del Sud, dell’insieme del continente africano, o ancora del sud e dell’est dell’Eurasia. In Cina e in Russia in particolare, i primi dieci mesi del 2015 sono stati i più torridi mai constatati. In Francia, l’anno che finisce figura tra i tre o quattro più caldi dal 1900, dopo il 2014 e 2011, mentre il terzo posto sul podio è ancora in ballo con il 2003.
All’estremo nord, i ghiacci polari sono stati messi a dura prova. Secondo l’ultima pubblicazione dell’Arctic Repoort Card, la temperatura dell’aria vi ha superato di 2,3°C la media del periodo 1981-2010, ossia un aumento di 3°C dall’inizio delle osservazioni, iniziate nel 1900. E l’estensione della banchisa artica, ridotta al suo minimo in settembre, era allora in diminuzione del 29% sulla media degli ultimi tre decenni.
Ondate di caldo e inondazioni
Tanto per le statistiche. Queste non descrivono tutto. Dietro le nude cifre si nascondono drammi umani provocati da una lunga serie di catastrofi naturali, canicole, inondazioni o cicloni. Alla fine di novembre, l’Organizzazione meteorologica mondiale ha esposto il cupo panorama. Per prime, le ondate di caldo che hanno colpito l’India e il Pakistan in maggio e giugno – con temperature massime di 45°C in certi luoghi – ma anche l’Europa, il Nordafrica e il Medio Oriente in primavera ed estate, come il Sudafrica nella primavera australe.
Poi, sono le precipitazioni che si sono abbattute sul sud degli Stati Uniti, il Messico, la Bolivia, il Brasile, ma anche il sudest dell’Europa, il Pakistan e l’Afghanistan.Le forti piogge dell’inizio dell’anno hanno causato inondazioni nella parte orientale dell’Africa australe, e nei paesi del Magreb. Il Cile ha subito a marzo colate di fango, e la Cina, tra marzo e ottobre ha subito piogge torrenziali che hanno colpito 75 milioni di persone. L’Inghilterra, dopo il 24 dicembre, è stata colpita da piogge torrenziali. Tutto il nord del paese subisce inondazioni di un’ampiezza storica, e 500 soldati sono stati inviati sul posto per venire in soccorso alla popolazione. Anche l’America del Sud è colpita: 170.000 persone sono state evacuate in Paraguay, in Argentina, in Brasile e in Uruguay a causa di violente intemperie e inondazioni.
Nello stesso tempo, vaste regioni – l’ovest dell’America del Nord, l’America centrale, i Caraibi, il nordest dell’America del Sud, l’Europa centrale, l’Asia del Sudest, l’Indonesia e l’Africa centrale – hanno sofferto di siccità. Questa ha attizzato incendi di un’ampiezza senza precedenti in Alaska e in tutto il nordovest degli Stati Uniti, in particolare nello Stato di Washington.
Anche i cicloni tropicali hanno manifestato un’attività da record, con non meno di venticinque eventi maggiori tra i quali l’uragano Patricia – il più violento mai osservato nel nordest del Pacifico – che ha toccato le coste messicane a fine ottobre, e il ciclone Pam che, a marzo, ha colpito più di 160.000 abitanti dell’arcipelago di Vanuatu, nel sud Pacifico.
Il “bambino terribile” del Pacifico
Il primo responsabile di questi disordini ha un nome dolce: El Niño, il “bambino terribile” del Pacifico. Questo fenomeno naturale ciclico, che ritorna ogni tre/sette anni, riscalda fortemente le acque del Pacifico equatoriale, lungo le coste dell’Ecuador e del Perù. Causa importanti sconvolgimenti meteorologici su scala mondiale. La siccità subita da vaste regioni dell’America centrale e dei Caraibi, dell’India o dell’arcipelago indonesiano, come le piogge intense che si sono riversate sul Perù o l’Argentina, sono tipiche di un episodio di El Niño.
I suoi effetti sulla pesca e l’agricoltura non sono meno deleteri. Una grande varietà di colture è minacciata in tutta la fascia tropicale. L’accumulo di acque calde di superficie nell’est del Pacifico equatoriale impedisce la risalita delle acque profonde dell’oceano, cariche di nutrienti, causando una sterilizzazione degli ecosistemi litorali nella zona e una diminuzione degli stock di pesce nella regione, una delle principali zone di pesca della sardina.
Quest’anno, il rompiscatole è particolarmente attivo. Si colloca tra i più potenti osservati dalla metà del 20° secolo, senza dubbio uguale a quello dell’inverno 1997-1998. Ed è lungi dall’essersi calmato: dopo aver continuato a rafforzarsi in primavera raggiunge attualmente il massimo, ma continuerà a farsi sentire, indebolendosi poco a poco, fino alla prossima primavera o estate. Tanto che il 2016 potrebbe, a sua volta, collocarsi tra gli anni più caldi.
Ma El Niño non spiega tutto. «Questo fenomeno partecipa della variabilità naturale del clima, ma all’interno del movimento globale di riscaldamento dovuto alle attività umane», sottolinea Jérôme Lecou, ingegnere previsionista a Météo France. Il precedente record di caldo del 2014, anno esente da El Niño, sta a dimostrarlo.
Molto probabilmente – bisogna attendere il bilancio di dicembre per ufficializzarlo – il 2015 sarà il primo anno a superare il tetto dell’1% di riscaldamento in rapporto all’era preindustriale. Un campanello d’allarme per i firmatari dell’accordo di Parigi, il cui auspicio è di contenere l’aumento del termometro «molto al di sotto di 2°C», e se possibile a 1,5°C, rispetto ai livelli preindustriali. All’umanità resta appena il margine di un piccolo grado Celsius per evitare il surriscaldamento.
*Pierre Le Hir è giornalista a Le Monde
Grafico e carta non sono stati riprodotti qu: http://www.lemonde.fr/climat/article/2015/12/28/l-annee-2015-a-etabli-un-record-planetaire-de-chaleur_4838482_1652612.html
Note
[1] http://www.ncdc.noaa.gov/sotc/