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Catturato Irastorza, ultimo capo dell’Eta

Eta. Un’operazione congiunta franco spagnola dà un colpo al processo di pace con l’arresto sui Pirenei di Mikel Irastorza. Il governo Rajoy mantiene una strategia di guerra

di Enrico Baldin

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Il cielo di Euskal Herria è cupo e terso. In una delle aree europee che negli ultimi decenni è stata tra le più tese e infuocate, l’orizzonte è denso di nubi quanto quello delle giornate piovose autunnali così frequenti nelle terre a ridosso dell’oceano Atlantico. Servirebbe una sfera magica, ma in mancanza di essa in molti usano l’intuito e le sensazioni. E le sensazioni, dopo gli ultimi fatti, non sembrano buone.

E’la storia ad insegnarlo: quando due parti vogliono trattare una pace, quantomeno devono far cessare le ostilità. Di sabato invece la notizia della cattura, avvenuta nei Pirenei francesi, dell’ultimo capo di ETA. Mikel Irastorza era salito al vertice della organizzazione terroristica dopo che nel 2015 erano stati arrestati David Pla e Iratxe Sorzabal. Irastorza, 41enne, è una specie di “sconosciuto” alla giustizia. Ai vertici di ETA dopo che questa aveva da tempo dichiarato il suo addio alle armi, Irastorza era ricercato dal 2008 ma non aveva a suo carico alcun delitto né alcuna causa giudiziaria. Quello di Irastorza era ai più un cognome ignoto, ma di lui qualcuno ricorda che nel 2007 era attivo nel Foro de debate nacional, un gruppo che si premeditava di avviare un dialogo tra le tante parti sul futuro di Euskal Herria. Con la sua cattura, avvenuta contestualmente al fermo di due persone che lo ospitavano, si è arrivati al settimo arresto di un responsabile di ETA dal 2011, l’anno del cessate il fuoco “permanente e definitivo” dichiarato dalla organizzazione armata.

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arresto di mikel irastorza

Poche settimane fa il quinto anniversario dello storico abbandono dell’attività armata dichiarato unilateralmente da ETA, condizione necessaria per l’avvio di un dialogo in Euskal Herria. Un dialogo che nelle intenzioni del tavolo che lo avviò era accompagnato dal lavoro di un gruppo di mediatori internazionali capeggiata dall’avvocato sudafricano Brian Currin, uno che al curriculum ha all’attivo il lavoro di diplomazia in Sud Africa, in Sri Lanka, in Rwanda e in Irlanda del nord. Al quotidiano Publico, Alberto Spektorowski, tra i fautori degli accordi di Camp David e componente con Currin del gruppo di contatto per Euskal Herria, si è detto preoccupato per la situazione basca e in particolare dopo l’arresto di Irastorza si è detto stupito. «Il governo Rajoy mantiene una strategia di guerra contro ETA» ha detto Spektorowski «le sta dicendo che non solo non vuole negoziare, vuole proprio distruggere una ipotesi negoziale».

«Lo Stato spagnolo non è interessato alla pace» ha detto a caldo il leader di Sortu, Arnaldo Otegi, con un passato in ETA ed un presente come capo carismatico di quella sinistra che alle elezioni di un mese e mezzo fa nella Comunità Autonoma, è andata oltre al 21%. Otegi è considerato uno degli autori del cessate il fuoco, ma sabato scorso in conferenza stampa non le ha mandate a dire: «Noi stiamo lavorando con la logica della pace, ma siamo in presenza di un governo che lavora con la logica della guerra».

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un video diffuso dagli osservatori del gruppo di contatto mostra ETA che consegna armi, munizioni e materiale esplosivo

Dal 2011 la Guardia Civil ha messo a segno una interminabile serie di operazioni. Non solo ha arrestato dirigenti di ETA e attivisti che ha ricondotto ad ETA (una media di una trentina di etarras arrestati ogni anno  dopo il 2011), ha scoperto covi di munizioni e armi – l’ultimo un mese fa nei Paesi Baschi francesi – e ordinato una repressione ai danni di attivisti sociali, avvocati di prigionieri, militanti della sinistra abertzale e Herriko tabernas. Inoltre in Euskal Herria vige da tempo uno stato di eccezione permanente che fa modificare discrezionalmente il regime carcerario dei prigionieri baschi. Sare e Etxerat, associazioni attive per l’annosa questione carceraria, hanno denunciato recentemente che da quando ETA ha dato seguito al suo cessate il fuoco, la politica carceraria è peggiorata. «Meno dell’1% dei prigionieri baschi sono detenuti in carceri basche» accusano le due organizzazioni, «L’85% dei reclusi si trovano ad una distanza che va dai 400 ai 1100 km da casa». Ma non è solo la dispersione dei detenuti a preoccupare, ci sono anche accuse di torture (denunciate anche da Amnesty International e da osservatori del Parlamento Europeo) e di mancato rispetto dei diritti umani. Nonostante in cinque anni per quasi metà dei carcerati di ETA siano conclusi i termini di carcerazione (360 sono ancora in carcere contro i 665 del 2011), è aumentato sia il numero di detenuti in isolamento, sia il numero di detenuti con gravi problemi di salute. Per questo motivo un mese fa migliaia di persone sono sfilate per le strade di San Sebastian, chiedendo la scarcerazione di coloro che soffrono problemi di salute.

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mikel irastorza quando era portavoce del “foro del debate”

«Lo Stato spagnolo si sarebbe approssimato alla fine della questione avvicinando i prigionieri baschi e scarcerando quelli con problemi di salute» ha detto Spektorovski, «nulla che non sia già previsto nel rispetto dei diritti umani». Ma non è dello stesso avviso il PP: il segretario dei popolari in Gipuzkoa ha detto che la politica di dispersione è nata per ETA e morirà quando morirà ETA. «Questa politica penitenziaria è orientata alla vendetta» ha detto invece Podemos, che alle ultime elezioni regionali ha candidato a lehendakari una attivista pacifista nonché sorella di un etarra vittima delle torture di Stato della guerra sucia.

Non pare una buona notizia per la “questione basca” la costituzione, dopo mesi di stallo, di un nuovo governo Rajoy. ETA annunciò l’abbandono definitivo dell’attività armata appena dopo l’insediamento del premier popolare, e tra arresti, proclami e politica penitenziaria, Rajoy non sembra voler muovere un passo verso il dialogo. «Lotteremo contro ETA finché non sarà dissolta» ha detto l’appena insediato Ministro degli Interni, Juan Ignacio Zoido. Rajoy dal canto suo ha sempre fatto della lotta al terrorismo un suo cavallo di battaglia, anche quando il terrorismo non c’era più.

Nel corso della sua storia, ETA aveva abbassato le armi una decina di volte. Nel più dei casi la tregua è durata il tempo di non rendersene conto, in altri si sono instaurati inizi di trattative, poi mai andate a buon termine. Nel primo mandato come premier di Zapatero in particolare, ETA fece tacere le armi per 14 mesi. L’ultimo colpo di fuoco sparato risale al 2010 quando venne ucciso un gendarme francese durante un tentativo di rapina. Poi il cessate il fuoco, l’abbandono della lotta armata “definitivo”, e l’inizio della consegna dei depositi di armi in presenza dei componenti del gruppo di contatto internazionale. Nel frattempo, a parte le velate minacce di «nuove sofferenze se non si negozia» risalenti al dicembre 2012, ETA ha periodicamente emesso comunicati dal tono abbastanza conciliante in cui rassicurava sulla tenuta delle sue intenzioni e sul desiderio che la questione basca diventi una «questione popolare». L’ultimo comunicato risale a meno di un mese fa.

L’arresto in operazione congiunta tra le polizie spagnola e francese dell’ultimo capo del “corso non-violento” di ETA, pare un colpo anche alla via pacifica intrapresa con insistenza dall’organizzazione indipendentista, che negli ultimi tempi – anche attraverso l’impegno dello stesso Spektorovski – stava cercando un dialogo anche col governo francese. Con un arsenale bellico smantellato solo in parte per una organizzazione che tra sequestri, rapine e imposte rivoluzionarie macinava budget di un milione di euro l’anno, con voci di corridoio che nei mesi scorsi parlavano di una possibile scissione dei “duri e puri” contro il suo nuovo corso di ETA, operazioni come quella di sabato a lungo andare possono essere incaute.

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