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Ladini, le conseguenze della guerra e del turismo sul popolo delle Dolomiti

Ladini, un popolo che, dopo la I Guerra Mondiale, vive diviso tra due regioni, tre province e cinque vallate. La lotta per la conservazione della lingua e delle tradizioni, l’invadenza e la necessità del turismo

da S:Martino in Badia/Bolzano, Enrico Baldin

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Il settimanale in lingua ladina

Esistono le minoranze ed esistono le minoranze delle minoranze. E se le prime sono fragili per natura, si può facilmente immaginare le seconde. Stiamo parlando dei ladini, un popolo che vive diviso tra due regioni, tre province e cinque vallate, a conseguenza dei cambiamenti di confini operati nell’ultimo secolo – prima e dopo le due guerre – che hanno separato le vallate ladine un tempo unite sotto l’impero asburgico.

La maggior parte di essi si trova in provincia di Bolzano, in val Gardena e val Badia. Gli altri risiedono in provincia di Trento (val di Fassa) e in quella di Belluno (Ampezzo e Livinallongo). Istituzionalmente separati i ladini sono idealmente uniti dalle Dolomiti che cullano queste vallate immerse tra rocce, prati e boschi stimolo per la fantasia di molte leggende e storie mitologiche che paiono sgorgate proprio da queste montagne.

Oggi i miti e le tradizioni in parte resistono e vengono periodicamente rievocati, così come la lingua parlata da queste popolazioni. Il ladino – lingua romanza di origine latina – è imparentato con l’italiano ma per chi non lo conosce è incomprensibile. Lo udiamo un po’ovunque, in tutti gli ambienti frequentati dagli abitanti della val Badia: nelle chiacchiere degli anziani al bar o nel monologo telefonico di una operatrice dell’ufficio turistico, tra le signore davanti al supermarket o a lato del campo di calcio dove l’allenatore incita i ragazzini in allenamento. Da queste parti il ladino è parlato eccome e ha resistito nel tempo a molte difficoltà, prima fra tutte l’italianizzazione forzata voluta dal regime fascista e curata da Ettore Tolomei, che mise mano alla lingua, alla toponomastica, ai nomi e ai posti di lavoro pubblici.

Oggi la situazione è ben diversa: il ladino è inserito nella toponomastica, nei documenti pubblici ed è pure insegnato alla scuola primaria assieme all’italiano e al tedesco. Esistono riviste in ladino come il settimanale La Usc di ladins, edito dall’associazione che unisce gli istituti ladini delle diverse vallate. La Rai inoltre ha recentemente ampliato il suo spazio nel palinsesto radiofonico e in quello televisivo regionale con due brevi telegiornali in ladino e alcuni spazi culturali. «Il ladino veramente sopravissuto è quello parlato, in particolare a livello familiare» ci spiega Sara Moling, collaboratrice dell’Istitut Ladin Micurà de Ru con sede a San Martino in Badia. Quando la interrompiamo Sara Moling sta lavorando al vocabolario ladino-italiano: «Nonostante l’insegnamento a scuola abbiamo ancora molti passi avanti da fare nel ladino scritto» osserva. «Persone che abitualmente parlano ladino, scrivono o appuntano in tedesco o in italiano» aggiunge. Negli ultimi anni la tendenza è però invertita: «Questo soprattutto grazie allo stimolo di tante associazioni ed enti che si prodigano per la tutela linguistica». Va detto però che nelle diverse vallate vi è un diverso ladino, simile ma non uguale, a cui negli scorsi anni – non senza resistenze – si è tentato di trovare una standardizzazione lessicale e grammaticale, creando il cosiddetto ladino standard.

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La sede dell’istituto ladino della val Badia

L’ultimo censimento dei gruppi linguistici svolto in provincia di Bolzano nel 2011 conta oltre 20mila ladini pari a poco più del 4% degli abitanti della provincia autonoma. Il censimento, secondo la legge sulla “proporzionale” del 1988, serve a ripartire proporzionalmente tra i tre gruppi etnici (italiani tedeschi e ladini) le assunzioni nei posti di lavoro pubblici e non solo. «Il gruppo linguistico ladino ha ottenuto più forza e riconoscimento con la proporzionale» dice a Popoff l’assessore della provincia di Bolzano Florian Mussner, eletto con la Sudtirol Volkspartein, partito che oltre a rappresentare il ceppo tedesco ha sempre offerto delle forme di rappresentanza anche al ceppo ladino. Recentemente la giunta provinciale – rappresentata da Mussner nella delega alle minoranze linguistiche – ha stanziato la cifra di 1,2 milioni di euro per le attività dell’istituto culturale ladino. «Nell’occupazione dei posti pubblici  i ladini della provincia di Bolzano hanno precedenza assoluta nelle due valli Gardena e Badia» aggiunge Mussner. Una legge che se da un lato mira a tutelare la “minoranza della minoranza”, dall’altro lato – ad opinione dei detrattori – antepone i gruppi linguistici a merito e competenze.

I ladini – ad eccezione di quelli della provincia di Belluno – godono anche di una rappresentanza politica-istituzionale. Sia il consiglio provinciale di Bolzano che quello di Trento riservano un posto in consiglio ai primi eletti ladini, mentre nella Giunta regionale del Trentino Alto Adige, il posto di assessore competente alle minoranze linguistiche è riservato a uno tra i due ladini eletti.

15174569_10207900066040962_65180920_nSi potrebbe pensare insomma che lingua e cultura ladina godano di un periodo di serenità e siano sostanzialmente salvaguardati. Ma c’è poco da stare allegri secondo qualcuno. Werner Pescosta, autore del libro “Storia dei ladini delle Dolomiti”, punta in particolare il dito contro l’abbandono da parte delle istituzioni dei ladini dei tre comuni della provincia di Belluno, che godono di forme di tutela irrisorie. Nei tre comuni (Colle Santa Lucia, Livinallongo e Cortina d’Ampezzo) si votò nel 2007 in un referendum consultivo per il passaggio alla provincia di Bolzano e quindi alle sue tutele economiche etniche e linguistiche. Ma il risultato (78% a favore della “secessione”) è stato finora disatteso. Pescosta teme sia ormai quasi irreversibile la situazione di regresso dei ladini dell’alto bellunese e del resto il governatore del Veneto Zaia non ha mai voluto sentir parlare di queste questioni. E se poco hanno fatto le istituzioni, il resto lo ha fatto l’invasione di seconde case (fino all’80% nell’ampezzano) che hanno modificato non solo il territorio e l’urbanistica, ma anche l’identità di zone ormai divenute solamente ad uso e consumo del turismo.

Una tutela a macchia di leopardo, un passato che con le sue divisioni istituzionali ha posto le basi per un futuro incerto. E presagi non molto rassicuranti sintetizzati dalle parole amare di Pescosta: «Se le montagne e il clima ruvido sono bastati per secoli a mantenere intatta una lingua di minoranza, l’incredibile sviluppo turistico ha stravolto la vita degli abitanti di queste valli». I numeri sembrano parlare per lui. In alcuni  comuni ladini come Selva di Val Gardena, Ortisei, Badia e Corvara si supera o ci si avvicina al milione di pernottamenti l’anno nelle strutture di ricezione turistica. Se da un lato a questi numeri corrispondono importanti entrate economiche, dall’altro portano i territori e la gente ladina a mutazioni importanti visibili nel tempo.

Da Venezia alla val Badia questa è una storia che si ripete: nessuno pare ancora avere trovato il modo per disegnare una linea di equilibrio possibile tra un turismo sostenibile e la salvaguardia degli abitanti nelle loro variegate esigenze. Se poi si è minoranza nella minoranza e si vuole resistere alle “deformazioni”, allora tutto potrebbe diventare più difficile.

1 COMMENT

  1. La Ladinia si estende dal Friuli alla Svizzera retoromancia, Coira, per intenderci.
    Non esiste una lingua unica, bensì tante varietà dialettali. Non deriva dal latino ma, su un substrato celtico, si è immesso il latino crasso della cristianizzazione, cioè quello medioevale, poiché quasi tutta quella zona delle Alpi è stata cristianizzata molto tardi, rispetto alle zone di più facile accesso.
    Ricordo che il mio Prof. di Glottologia e Linguistica ladina c/o Università di Padova, Prof. G.B. Pellegrini, amava ripetermi che “bisognava essere stati sotto il dominio austro-ungarico per essere definiti ladini…” Era una battuta per significare che il ladino non esiste solo in provincia di Bolzano e Trento, ma anche di Belluno e comprende tutto il Cadore e il Comelico e parte del Friuli.

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