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La macchina della guerra costa 64 milioni al giorno

Guerra globale. E’ uscito il rapporto dell’Osservatorio sulle spese militari. Cifre esorbitanti e un dato politico chiaro: nessun taglio agli F35

di Francesco Ruggeri

spese-militari

«Nell’ultimo decennio le spese militari italiane sono cresciute del 21% (del 4,3% in valori reali) salendo dall’1,2 all’1,4% del Pil (non l’1,1% dichiarato dalla Difesa). L’Italia nel 2017 spenderà per le Forze armate almeno 23,4 miliardi di euro (64 milioni al giorno), più di quanto previsto nei documenti programmatici governativi dell’anno scorso». Lo rileva l’Osservatorio sulle spese militari italiane nel suo rapporto presentato ieri alla Camera. Numeri che fanno a pezzi la vulgata sull’austerity e sulla mancanza di soldi, che sputtanano governi – soprattutto di “centrosinistra” – che si sono dedicati al taglio sistematico del welfare e alla compressione di salari e diritti adoperando tutte le armi della retorica del “cambiamento” e della “competizione” mentre l’articolo 11 della Costituzione diventava carta straccia assieme alle parti della Carta che proclamano la rimozione delle disuguaglianze e la promozione sociale. La macchina della guerra non è solo bestialmente violenta ma parassitaria. L’industria militare è per sua natura un settore che dipende dalla commesse pubbliche e dunque incide sul meccanismo usurario del debito pubblico in nome del quale, da decenni, si tagliano risorse per la vita delle persone e se ne usurpano altre per la guerra. 64 milioni al giorno sono un’enormità: basti pensare che Renzi dice di aver armato tutto il casino della “riforma” costituzionale per risparmiare 57 milioni l’anno di spese per il Senato. L’occupazione militare di un lembo della Val di Susa costa 90mila euro al giorno e per un minuto di “missione di pace” in Afghanistan l’Italia spende 1800 euro, 79 milioni al mese. Dall’inizio di quella guerra sono andati in fumo oltre sei miliardi per massacrare civili e ingrassare l’apparato militar-industriale. E sono in arrivo i droni armati, strumento principe per le esecuzioni extragiudiziali: l’Italia sarà il terzo Paese della NATO (dopo USA e UK) a dotare di armamenti i propri velivoli senza pilota, di cui dispone da qualche anno. Recenti accordi internazionali e la decisione nel 2015 del Congresso USA di accogliere la richiesta italiana del 2012 consentiranno alle nostre Forze Armate di disporre fra qualche mese di droni armati. Senza dimenticare il coinvolgimento dell’industria nazionale in progetti di sviluppo del primo drone militare europeo (co-prodotto con Francia e Germania) la cui consegna è prevista per il 2025.

Il Rapporto rileva per il 2017 un aumento dei costi per il trasporto aereo di Stato (i cosiddetti ‘aerei blu’), che salgono a 25,9 milioni di euro, con un incremento di quasi il 50% rispetto ai 17,4 milioni del 2016. La quasi totalità di questa cifra, 23,5 milioni, sostiene l’Osservatorio, «è il costo del nuovo Airbus A340 della presidenza del Consiglio in forza al 31/o stormo dell’Aeronautica Militare (utilizzato solo una volta in un anno per una missione di imprenditori italiani a Cuba), il cui costo totale per otto anni (2016-2023) risulta essere di 168,2 milioni di euro (noleggio e assicurazione) più 55 milioni di carburante, per un totale di 223,2 milioni (27,9 milioni in media all’anno)». L’Osservatorio lamenta inoltre che, nonostante il Parlamento nel 2014 abbia votato una mozione di maggioranza che impegnava formalmente il governo a dimezzare il budget originario del programma per l’acquisto del supercaccia F-35, «il requisito della Difesa non ha subito alcuna modifica, se non una dilazione delle acquisizioni e il budget è anzi aumentato da 13 a 13,5 miliardi di euro». Il Pd al governo non ha la minima intenzione di rispettare lo sconcerto popolare per lo sciupio vistoso di denaro pubblico: sono stati firmati ordini per otto supercaccia e versati acconti per altri sette. Una parte degli F-35 – secondo il Rapporto – è destinato alla Trieste, la nuova supernave da 1.100 milioni della Marina che, ufficialmente, è stata impostata come unità di sostegno agli sbarchi con una vocazione per i soccorsi umanitari ma che è né più né meno di una portaerei.

«La Difesa costa 23 miliardi di euro l’anno e sono soldi spesi bene, perchè le nostre forze armate danno un servizio di grandissima qualità a questo Paese». Così la ministra della Difesa, Roberta Pinotti, ex “pacifista” ds poi interventista Pd – intervenendo alla presentazione del calendario 2017 dell’Aeronautica Militare – il titolo dice che si spendono 64 milioni di euro al giorno per caccia e missili, ma la realtà è che in quei 64 milioni c’è tutto quello che fanno le nostre forze armate, dal servizio meteorologico alla cartografia, dal sostegno alle popolazioni colpite dal terremoto ai carabinieri».

A conti fatti i fondi reali invece sono aumentati del 21% nell’ultimo decennio. E, nel 2017, solo per l’acquisto di strumenti per le forze di cielo, di terra e di mare si impiegheranno 5,6 miliardi di euro, ossia 15 milioni al giorno.

Una corsa agli armamenti alimentata soprattutto dal ministero dello Sviluppo Economico, il gran benefattore delle aziende belliche nostrane foraggiate negli anni della Seconda Repubblica con contratti per quasi 50 miliardi di euro. Dal 1993 a oggi, al primo posto dello shopping di guerra da Leonardo, ex Finmeccanica, Fincantieri e Iveco) spicca Pier Luigi Bersani che ha firmato finanziamenti per oltre 27 miliardi, seguito da Federica Guidi con 8 miliardi, Claudio Scajola con 6,5 miliardi ed Enrico Letta con quasi 4.

Sul fronte del personale si lamenta la mancanza di soldi per la manutenzione e l’addestramento. Il 41% delle risorse finirà negli stipendi di 90 mila tra ufficiali e sottufficiali più 81 mila militari di truppa, una piramide grottesca, sanguinaria e costosissima. 32 mila marescialli e 4500 ufficiali in da smaltire in otto anni forse da smistare in altre amministrazioni, palazzi di giustizia o musei.

 

 

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