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Pisapia lancia il Campo Progressista ma Sel non lo vuole zappare

Nel Pd, parte la fronda dei renziani pentiti che dialogano con Pisapia che lancia il Campo Progressista che irrita Sel. E c’è chi prova a ricominciare dal No(i). Aspettando la legge elettorale e i congressi di Si e Prc

di Giulio AF Buratti

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«Il 18 dicembre a Roma si incontrerà tutta quella parte della sinistra che ritiene che il Partito democratico non possa che essere suo alleato, e voglia collaborare lealmente in un’ottica di centrosinistra assumendosi le sue responsabilità. Il giorno dopo ci vedremo a Bologna, dove sarà presente anche il sindaco di Bologna, Merola, e Gianni Cuperlo, che sono del Pd, ma anche io e il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, che non siamo del Pd. Chiaramente sarà fondamentale vedere cosa deciderà la Direzione del Pd. Ma questo è il momento della scelta. Renzi dovrebbe scegliere se guardare a un’alleanza a sinistra, formando un centrosinistra, o un’alleanza con il Nuovo Centro Destra che trasformerebbe il Pd in un partito geneticamente modificato – spiega con candore l’ex sindaco di Milano – il popolo del Pd, io lo conosco bene, non accetterebbe mai la seconda soluzione. Quindi serve un’alleanza aperta, diamole un nome: Campo Progressista, che riunisca le forze di sinistra in grado di assumersi una responsabilità di governo. Non per motivi di potere ma per fare le cose di sinistra. Intendiamoci: anche questo governo ha fatto cose di sinistra, penso alle unioni civili, ma ha dovuto fare anche altre cose che nascevano dalla necessità di arrivare a un compromesso con un partito di centro-destra. Questo non va più bene».». Giuliano Pisapia, dopo mesi vissuti da pesce in barile ossia senza ricandidarsi a Milano e senza pronunciarsi sul referendum («mi rifiuto di scendere in guerra con i miei compagni di strada. Io credo in una sinistra larga, aperta, ragionevole e responsabile») va alla ricerca di un ruolo nazionale provando a recitare il ruolo di pontiere. Ma quell’accenno all’assemblea del 18, lanciata da un pezzo di Sel, ha fatto irritare i promotori.

Uno stop importante giunge da Vendola: «Tutte le sinistre si sono già unite nel referendum con il No: immaginare che adesso si debba costruire la sinistra del renzismo è fuori dalla realtà. Penso che il suo discorso sia fondato su ciclopiche rimozioni della realtà. Innanzitutto la rimozione di ciò il referendum manda a dire alle elite e la rimozione del renzismo, della sua natura di variante italiana del riformismo internazionale, che unisce la destra economica a un po’ di welfare. Questa narrazione è finita in tutto il mondo: con Renzi aveva l’aggravante dannunziana dell’estetica del futuro e del cambiamento». Anche Paolo Ferrero, più coerentemente, non apprezza granché la sortita di Pisapia: «La proposta di Pisapia di fare una sinistra che si allei con Renzi per dar vita ad un nuovo Ulivo è una minestra riscaldata che non prende atto del disastroso fallimento dell’Ulivo di cui Renzi è l’epilogo. Pisapia vuole fare la sinistra di sua maestà,  una foglia di fico che copra da sinistra le politiche liberiste di Renzi: un errore drammatico. Rifondazione Comunista lavora per aggregare la sinistra antiliberista, fuori e contro al PD. Occorre sconfiggere da sinistra le politiche liberiste del PD e della Merkel, non allearsi con il PD».

Sel nel guado

Pisapia (a cui «guarda con interesse» il suo successore a Milano, Sala) pensa a un un soggetto politico alla sinistra del Pd, che si allei con Renzi alle prossime elezioni «mettendo dei paletti ben precisi: nessuna alleanza con le forze di centro-destra o con quelle persone che non hanno la credibilità o l’affidabilità necessarie, anche se i loro voti oggi sono diventati indispensabili in Parlamento». Nulla di nuovo sotto il sole: è quello che aveva fatto Sel alleandosi con Bersani dopo aver cancellato l’ipotesi di una sinistra autonoma dal Pd. Infatti, l’assemblea romana del 18 è quella convocata da un appello firmato, tra gli altri, da Claudio Fava, Ciccio Ferrara, Marco Furfaro, Simone Oggionni, Michele Piras, Stefano Quaranta, Massimiliano Smeriglio (il vice di Zingaretti), Giancarlo Torricelli, Filiberto Zaratti, ossia dal pezzo di Sel meno disponibile a marciare senza il faro del Pd secondo una linea di frattura già vista alle recenti comunali di Roma. Tuttavia, dopo la vittoria schiacciante del No e in attesa della nuova legge elettorale, molti dei promotori sono irritati dal fatto che Pisapia abbia messo il cappello sull’assemblea del 18. Perfino Smeriglio manda a dire a Pisapia che «Non siamo interessati, né disponibili, a fare la sinistra del partito della nazione. Non siamo disponibili a veder perpetrare politiche sbagliate che impoveriscono le classi medio basse del Paese. Su questa impostazione ci confronteremo nell’iniziativa che abbiamo messo in campo insieme a tante realtà il 18 dicembre a Roma alla Casa dell’Architettura».

«Giuliano Pisapia è una personalità importante del centrosinistra e il suo contributo potrebbe essere prezioso per costruire un nuovo campo progressista, ma la sua intervista di oggi sembra scritta prima del grande spartiacque del referendum, come se fosse stata pensata in un quadro che prevedeva la vittoria del Sì – replica Alfredo D’Attorre dell’esecutivo nazionale di Sinistra Italiana – la necessaria ricostruzione del campo progressista non può che partire dalla richiesta di discontinuità politica e programmatica che la travolgente vittoria del No reca con sè. Non basta invocare la rottura con Alfano e Verdini senza un’analisi di quello che il renzismo ha rappresentato e rappresenta. Renzi non ha fatto il jobsact, la Buona Scuola, lo SbloccaItalia e non ha tentato di imporre a maggioranza la riscrittura della Costituzione e della legge elettorale perchè glielo hanno imposto Verdini e Alfano, ma perchè lo ha voluto lui. Serve senz’altro lavorare da subito alla riorganizzazione di un campo progressista di governo che, nella migliore ispirazione originaria dell’Ulivo, sappia unire culture politiche diverse e abbia come bussola la Costituzione. Questo campo progressista non può però essere certo la stampella del renzismo declinante, ma deve esserne limpidamente alternativo, con la capacità di correggere la rotta anche rispetto agli errori passati del centrosinistra che hanno aperto la strada a Renzi e agli altri populismi». D’Attorre, transfuga dal Pd, è uno degli aspiranti alla leadership di Sinistra Italiana, quella Sel 2.0 che stenta a decollare proprio per via dell’ambiguo rapporto col Pd e delle incertezze della legge elettorale.

Infatti, giusto una settimana prima della reunion dei campisti progressisti, è in programma “Ricominciamo dal No(i)”, appuntamento convocato da quel pezzo di Sel più scettico nei confronti del matrimonio col Pd, e dalle esperienze di liste civiche di sinistra. I primi firmatari sono Giorgio Airaudo, Fabio Alberti, Maria Luisa Boccia, Stefano Fassina, Adriano Labbucci, Giulio Marcon, Sandro Medici: «Sentiamo quindi l’esigenza di mettere a disposizione un’occasione d’incontro collettivo, dove poter valorizzare il protagonismo di tanti e tante che hanno partecipato alla battaglia referendaria, chiamando tutti noi a riflettere, discutere, ragionare, progettare il nostro futuro. Al di là dell’esito del referendum riteniamo comunque necessario un confronto politico che raccolga le nostre energie e le nostre intelligenze, per provare a delineare nuovi percorsi da condividere. Abbiamo contribuito alla battaglia referendaria raccogliendo la disponibilità di centinaia di amministratori locali e di associazioni, movimenti ed esperienze sociali. Con lo stesso sentimento unitario, vi proponiamo di incontrarci l’11 dicembre a Roma, in un’assemblea che vorremmo ancora più inclusiva e partecipata. Con la speranza che tutti i nostri No possano trasformarsi in una “politica in comune”».

«Senza pretendere di essere depositari di verità irrefutabili – scrive la segreteria di Rifondazione – possiamo affermare che se le nostre proposte per unire in forme democratiche la sinistra sociale e politica in una soggettività alternativa al PD avessero incontrato maggiore ascolto oggi saremmo nelle condizioni anche in Italia di proporre a milioni di persone che hanno espresso un NO democratico, popolare, di sinistra un progetto su cui ritrovarsi. La vittoria del NO dimostra che questo paese non è normalizzato e che il nostro progetto politico deve essere riproposto con rinnovata determinazione. Per le comuniste e i comunisti c’è un gran lavoro da fare in questa direzione, a partire dall’assemblea che a Roma si terrà domenica 11 ed a cui dobbiamo partecipare attivamente».

Sullo sfondo, fra aspirazioni di rinnovamento e coazioni a ripetere, il lungo processo di scioglimento di Sel, il congresso fondativo di Sinistra Italiana e quello di Rifondazione comunista.

Il Pd fa i conti col renzismo

E, all’indomani della pesante sconfitta del sì la sfida a Matteo Renzi arriva anche dai territori. Da quei governatori o sindaci che il premier avrebbe voluto vedere seduti nel nuovo Senato delle autonomie, ormai andato in fumo con il trionfo del no. Non ha dubbi il presidente della Toscana Enrico Rossi, già in campo come candidato alla segreteria nazionale democrat: «Il tempo e le sfide richiedono un Pd diverso e una leadership diversa da quella attuale. Abbiamo perso nonostante la riforma contenesse buone ragioni di merito. Serve un Pd più aperto ai drammi della società, più forte, più organizzato e più radicato tra i ceti deboli, con un netto profilo di sinistra (ma lui era schieratissimo per il Sì, ndr). Una sconfitta così forte richiede un ripensamento dell’intero asse strategico del Partito, che chiama in causa il governo, il cui riformismo si è rivelato insufficiente e troppo debole». Esulta il governatore della Puglia, Michele Emiliano, da mesi in polemica con il premier e tra i principali sostenitori del referendum no trivelle contro lo Sblocca Italia, che ad aprile scorso non raggiunse il quorum ma portò alle urne oltre 15 milioni di elettori, Emiliano è l’unico presidente di Regione del Pd ad essersi schierato apertamente per il no alla riforma. «La storia che la Costituzione non funziona finisce qui», avverte su fb. A Bologna il sindaco Virginio Merola, anch’egli schierato per il sì, lancia un’iniziativa politica, per il 19 dicembre nella sua città, con l’obiettivo di riunire personalità diverse, compresi esponenti del cosiddetto movimento dei sindaci arancioni, con l’obiettivo di ricostituire un centrosinistra unito. Serve ad «affermare il fatto che una nuova prospettiva ha bisogno di un nuovo gruppo dirigente di cui io non farò parte, ma che io, insieme ad altri, voglio contribuire ad affermare. Che ci sia Pisapia, che ci sia Zedda, Cuperlo, Decaro, Gozi, è aperta a chiunque voglia intervenire ma con questo spirito di ricostruire un campo democratico di centrosinistra unito, capace di risaldare il rapporto con i ceti popolari e un adeguato programma di riforme non calato dall’alto». Ci si chiede che ruolo gli amministratori locali democrat di peso potranno giocare in questa difficile fase per il partito. Dopo i ballottaggi alle amministrative, da cui i dem uscirono con le ossa rotte, si rincorsero voci su una possibile apertura della segreteria a personalità meno ‘renziane’, come Rossi o il presidente del Lazio Nicola Zingaretti. Quest’ultimo ha indicato la strada da percorrere: «Lavorare sulla ricostruzione di un forte partito unitario e, questo l’ho sempre detto, capire come rigenerare un campo di forze. L’isolamento alla fine si paga, e tutto questo lo abbiamo visto». Che ruolo ha intenzione di giocare Zingaretti nella ricostruzione del partito? «C’è molto da lavorare e lo faremo – risponde – ognuno portando il proprio contributo. Da parte nostra, noi governando bene, lo ripeto, perché mi sembra sia la vera domanda che viene dal Paese».

 

1 COMMENTO

  1. Non è da oggi che la situazione italiana è complessa e complicata ma non potrà sottrarsi al vaglio degli scenari internazionali la cui pressione esigerà in parte l’accantonamento dei personalismi. E’ però un fatto che l’area del NO è composta più di antipatia personale che di coscienza politica perchè ritenere che tutti i NO siano stati trainati dalla conservazione dei privilegi di casta e dall’inefficienza bicamerale significherebbe non solo che gli italiani sono analfabeti politici ma sopratutto che non vi sia più alcuno spazio politico progressista per future coalizioni perchè se tutti vogliono tutto il consenso politico la democrazia è impossibile.

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