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Trotskij: la Rivoluzione d’Ottobre iniziò di gennaio

L’episodio descritto da Trotskij  è importante per liquidare le tesi che riducono la rivoluzione a un breve momento utilizzato da una piccola setta di fanatici. La rivoluzione maturava ovunque

di Lev Trotskij

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In questo anno di celebrazioni del centenario ho riletto, tra i tanti libri dedicati alla rivoluzione russa nel corso di un secolo, il capolavoro di Lev Trotskij, che mi sembra tuttora insuperato. È una vera miniera di osservazioni preziose sui mutamenti molecolari dello stato d’animo delle masse; non c’è che da augurarsi che possa presto tornare in circolazione.

Mi hanno colpito molto le pagina dedicate a un episodio di insubordinazione delle truppe russe in Francia iniziata prima della rivoluzione di febbraio, che avevo a suo tempo trovato interessante ma che ho capito meglio ora, dopo aver approfondito la conoscenza della “Grande Guerra” mentre scrivevo il libro La madre di tutte le guerre. Primo conflitto mondiale 1914-1918, (La.Co.Ri., Torino,2014). Avevo riflettuto soprattutto su quel che era mancato in tanti paesi europei dove pure si erano avuti sintomi importanti di scollamento tra le classi dominanti e la massa dei soldati mandati al macello. Mancava un partito capace di interpretare e guidare la rivolta spontanea che esplodeva a tratti con l’abbandono delle armi e delle trincee (i casi più noti in Italia a Caporetto nell’ottobre 1917, in Francia pochi mesi prima, ma fenomeni analoghi si riscontravano tra le truppe degli Imperi Centrali) e che si dissolveva però presto come neve al sole sotto i colpi di una repressione durissima, tanto più efficace per la mancanza di appoggi esterni, politici e morali ai soldati che rifiutavano la guerra.[i]

L’episodio descritto da Trotskij, che riproduco integralmente qui di seguito, è importante per liquidare le tesi che riducono la rivoluzione a un breve momento utilizzato da una piccola setta di fanatici. La rivoluzione in realtà maturava da ogni parte, non per l’opera di «sobillazione di qualche bolscevico, ma come reazione naturale a una guerra insensata e contro natura. (antonio moscato)

[…]

Nel frattempo, assai lontano dai confini della Russia, in territorio francese, al di fuori dell’influenza dei bolscevichi e quindi in condizioni tanto più significative, veniva compiuto un esperimento da laboratorio per far «risorgere» le truppe russe. Durante l’estate e durante l’autunno filtrarono nella stampa russa, passando però quasi inosservate nel vortice degli avvenimenti, notizie sulla rivolta armata che era scoppiata tra le truppe russe in Francia. Secondo l’ufficiale Lissovsky i soldati delle due brigate russe che si trovavano in quel paese, sin dal gennaio 1917 e quindi prima della rivoluzione, «erano fermamente convinti di essere stati tutti venduti alla Francia in cambio di munizioni». I soldati non si sbagliavano di molto. Per i padroni alleati non nutrivano «la minima simpatia» e non avevano la minima fiducia negli ufficiali.

La notizia della rivoluzione trovò le brigate di esportazione, per dir così, politicamente preparate, e tuttavia le colse alla sprovvista. Non era il caso di attendersi una spiegazione sull’insurrezione da parte degli ufficiali: quanto più erano elevati in grado, tanto più avevano perduto la testa. Nei campi comparvero patrioti democratici, provenienti dagli ambienti dell’emigrazione. «Più di una volta si potevano vedere certi diplomatici e certi ufficiali dei reggimenti della guardia… offrire amichevolmente una sedia a vecchi emigrati» scrive Lissovsky. Nei reggimenti sorgevano organismi elettivi e alla testa del Comitato fu designato un soldato lettone che ben presto si distinse. Anche qui, dunque, avevano trovato il loro «allogeno». Il 1° reggimento che era stato formato a Mosca ed era composto quasi esclusivamente di operai, di commessi e di impiegati di negozio, in genere di elementi proletari e semiproletari, era giunto per primo in terra di Francia un anno prima e durante l’inverno aveva combattuto sul fronte della Champagne. Ma «il morbo della disgregazione cominciò col colpire proprio questo reggimento». Il 2° reggimento, che aveva nelle sue file una forte percentuale di contadini, rimase tranquillo per un periodo più lungo. La 2a brigata, composta quasi interamente da contadini siberiani, sembrava del tutto sicura. Poco dopo l’insurrezione di febbraio, la 2a brigata era in stato di insubordinazione. Non voleva combattere né per l’Alsazia né per la Lorena. Non voleva morire per la bella Francia. Voleva cercare di vivere nella nuova Russia. La brigata fu ricondotta nelle retrovie e accantonata al centro della Francia, nel campo di La Courtine.

«Tra pacifici villaggi borghesi, in un immenso campo» racconta Lissovsky «cominciarono a vivere in condizioni del tutto particolari, inconsuete, circa diecimila soldati russi ammutinati e armati, che non avevano con sé gli ufficiali e si rifiutavano decisamente di sottomettersi a chicchessia». Kornilov aveva un’occasione straordinaria per applicare i suoi metodi di risanamento con il concorso di Poincaré e di Ribot, che avevano tanta simpatia per lui. Il generalissimo ordinò telegraficamente di ridurre «alla ragione gli uomini di La Courtine» e di spedirli a Salonicco [dove erano state concentrate le truppe serbe sfuggite all’avanzata austriaca e quelle dell’Intesa ritirate dai Dardanelli. NdR] Ma gli ammutinati non cedevano. Verso il 1° settembre si fece avanzare l’artiglieria pesante e si affissero all’interno del campo degli avvisi con il minaccioso telegramma di Kornilov. Ma proprio in quel momento sopraggiunse una nuova complicazione nel corso degli avvenimenti: i giornali francesi pubblicavano la notizia che lo stesso Kornilov era stato dichiarato traditore e controrivoluzionario. I soldati ammutinati si convinsero definitivamente che non c’era nessuna ragione di andare a morire a Salonicco, per di più per ordine di un generale traditore. Venduti in cambio di munizioni, gli operai e i contadini decisero di resistere. Si rifiutarono di negoziare con qualsiasi persona proveniente dall’esterno. Nessun soldato usciva più dal campo.

La 2a brigata fu fatta avanzare contro la 1a. L’artiglieria prese posizione sulle pendici delle colline vicine: secondo tutte le regole d’arte del genio, la fanteria scavò trincee e camminamenti in direzione di La Courtine. I dintorni furono completamente circondati dai cacciatori delle Alpi perché nessun francese penetrasse nel teatro di una guerra tra due brigate russe. Così le autorità militari francesi mettevano in scena sul loro territorio una guerra civile tra russi, dopo aver avuto le precauzione di circondarla con una barriera di baionette. Era una prova generale. Più tardi, le classi dirigenti francesi organizzarono la guerra civile sul territorio della Russia stessa, circondandola con i fili spinati del blocco.

«Contro il campo venne iniziato un cannoneggiamento in piena regola in modo sistematico». Dal campo uscì un centinaio di soldati, disposti ad arrendersi. Furono accolti e l’artiglieria ricominciò subito il fuoco. Tutto ciò durò quattro giorni e quattro notti. Gli uomini di La Courtine si arrendevano a piccoli gruppi. Il 6 settembre non restavano che circa 200 uomini che avevano deciso di non consegnarsi vivi. Avevano alla testa un ucraino di nome Globa, un battista fanatico: in Russia lo avrebbero chiamato bolscevico. Sotto il fuoco di sbarramento dei cannoni, delle mitragliatrici e dei fucili, che si confondeva in un solo tuono, fu sferrato un vero e proprio assalto. Alla fine, gli ammutinati furono schiacciati. Non si seppe il numero delle vittime: l’ordine fu, comunque, ristabilito. Ma già alcune settimane dopo, la 2a brigata, che aveva sparato sulla prima, veniva colpita dallo stesso morbo…

I soldati russi avevano portato un terribile contagio al di là dei mari, nei loro sacchi di tela, nelle pieghe dei loro pastrani e nel segreto delle loro anime. Per questo è notevole questo drammatico episodio di La Courtine che costituisce, in un certo modo, un esperimento ideale, deliberatamente preparato, sotto una campana di vetro, per studiare i processi interni preparati nell’esercito russo da tutto il passato del paese.

Lev Trotskij, pp- 812-814 da Storia della Rivoluzione russa, vol. II

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