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La fiction sul Veneto va di traverso a Libero

“Di padre in figlia” (Raiuno) è andata di traverso a Libero. Dice che umilia il Veneto. Ma il Veneto è umiliato da ben altro: per esempio i governatori corrotti, il Mose, ecc…

di Enrico Baldin

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La serie televisiva Di padre in figlia trasmessa da Raiuno è andata di traverso a Libero. In un pezzo della settimana scorsa firmato Gianluca Veneziani, si contesta con una certa asprezza l’immaginario di Veneto medio che scaturirebbe dalla visione della miniserie televisiva ambientata a Bassano del Grappa.

Senza attendere la fine della serie (giunta martedì), Veneziani ha espresso le sue sentenze: la fiction trasmette un’idea offensiva dei cardini dell’essenza dei Veneti, destituiti dalla fiction con colpevole responsabilità della Rai: la famiglia ne esce distrutta e esaltata nei suoi lati peggiori, l’impresa verrebbe descritta come veicolo di affari loschi e implacabile fonte di profitto, l’individuo infine sarebbe la somma di istinti ed egoismi. Insomma, in Di padre in figlia non si salva proprio niente; del resto le vicende della famiglia Franza arricchita grazie alla distilleria  di famiglia, mettono in luce – salvo il finale di fiction in cui trova spazio un certo riscatto – malcostumi, ipocrisie e una deprecabile sudditanza femminile al maschio che tutto può. Per Veneziani una narrazione che raccoglie i peggiori cliché del Veneto, che con questa serie televisiva avrebbe una ragione in più per votare per il referendum sull’autonomia proposto da Zaia.

Innanzitutto farebbe bene alla serenità del giornalista di Libero sapere che, per quanto vi fosse una ispirazione a riferimenti reali, questa era solo una fiction, e quindi una libera idea dell’autore. In secondo luogo farebbe bene ricordare che l’ambientazione è il Veneto degli anni ‘70 ed ‘80: il “padre padrone” che impone la sua legge all’interno della famiglia non è certo una invenzione, ma tendenza diffusa nel Veneto di quegli anni. Esula dalle statistiche, ma chi in Veneto vive (non è il caso di Veneziani che Veneto non è) ricorda bene che spesso i “capifamiglia” prediligevano i figli maschi rispetto alle femmine per molte scelte importanti: la destinazione dell’eredità o la possibilità di affrontare gli studi per esempio. Da contraltare al ruolo maschile di “capofamiglia” vi era il ruolo cardine delle madri nelle famiglie venete, particolarmente impegnate nell’educazione a fronte dell’assenza di padri troppo impegnati a spaccarsi la schiena di lavoro. Ma, sebbene molto e in bene sia cambiato in pochi decenni, il maschilismo non è solo un fenomeno del passato: basti pensare che a tutt’oggi le donne venete sono le meno pagate d’Italia e la differenza salariale all’ingiù rispetto agli uomini è la più grave di tutta la penisola.

Veneziani contesta anche che nel film compaiono certi vizietti, specie quello della droga, in cui cadono due figli del signor Franza ed un genero. Non sfuggirà che quello degli anni ‘80 fu per il Veneto un periodo particolare: la mala del Brenta, approfittando delle crescenti disponibilità economiche delle famiglie venete, aveva sdoganato le sostanze stupefacenti anche nel nordest. A Mestre, a metà degli anni ‘80, i tossicodipendenti erano più che quintuplicati rispetto a dieci anni prima, e analogo discorso valeva per i piccoli paesini della campagna veneta non più un miraggio per lo spaccio: la droga era facilmente reperibile e intere compagnie di ragazzi vennero distrutte dall’overdose o dall’agonizzante erosione fisica dall’eroina. Certo, i tossicodipendenti rimanevano una minoranza, ma gli anni ’80 segnarono un cambio di passo. Se la droga è fonte di emarginazione sociale, l’alcool invece godeva di maggiore tolleranza e di più capillare diffusione. E il Veneto che è terra di vini pregiati, non manca di dare cittadinanza a persone che con il vino non hanno un rapporto equilibrato. In molti si sentirono presi in giro dall’epiteto che pochi anni fa il fotografo Toscani diede dei Veneti definiti «ubriaconi atavici». Una generalizzazione senz’altro ingenerosa. Del resto a non offrire una rappresentazione migliore è l’ultimo rapporto Istat sul consumo di alcolici: a nordest ci si posiziona indiscutibilmente al vertice della classifica italiana per consumo di alcol.

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La vocazione per la laboriosità e la ricerca della massimizzazione del profitto hanno portato il Veneto, negli anni del boom economico, a una proliferazione di micro-imprese in cui l’armonia familiare era spesso subordinata all’armonia imprenditoriale. Non di rado accade che famiglie si distruggano per divisioni sulla conduzione della ditta di famiglia. Del resto quel carico di lavoro che nel secondo dopoguerra si sobbarcavano i Veneti per sfamare famiglie numerose anche con 8 o 10 figli, in seguito, divenne quasi patologico: 12 ore al giorno e straordinario fuori busta per i mastro don Gesualdo in salsa veneta. Vivere per lavorare e non lavorare per vivere, e chi più guadagna meglio sta, o almeno questa è l’illusione.

Ma a che servono tutti quei schei? Secondo i nonni sarebbero serviti se fosse arrivata un’altra guerra o una carestia, secondo la generazione successiva bisognava metterli da parte per costruire le case ai figli. I Veneti d’oggi – quando il lavoro c’è – fanno anche straordinari  per cambiare macchina, pagarne le rate, e adeguarsi ai moderni canoni del consumismo. Schei come valore di riconoscimento sociale, schei a tutti i costi in un territorio cattolicissimo in cui i fedeli si autoconcedono la deroga al dettame di Gesù: possono servire Dio, ma anche mammona. E se serve si può anche prendere qualche scorciatoia. Non per niente la stessa Guardia di Finanza certificava che è proprio il Veneto la regione d’Italia a più alto tasso di evasione: nel 2011 sottraeva all’erario il 22,4% della sua ricchezza. Una statistica che si traduce nel consueto «Ti serve la fattura?» che artigiani e imprenditori sottopongono ai clienti, come se fatturare fosse una possibilità come un’altra.

La si può vedere come si vuole, di certo ognuno può guardare il Veneto dal suo punto di osservazione. Per esempio in questa regione associazionismo e volontariato sono a dir poco capillari e diffusi, con una mole di persone enorme impegnate a dedicare il proprio tempo libero in favore del prossimo, spesso più sfortunato. Se il lavoro ha dei visibili effetti collaterali, non si può negare che ingegno e dedizione sono caratteristiche comuni per i Veneti, e questo ha favorito lo sviluppo di molte attività commerciali anche di export. Non tutto è nero, insomma, e nulla è generalizzabile: in questo lembo di terra che si estende dalla laguna alle Dolomiti c’è molto di cui essere orgogliosi.

Secondo Veneziani Di padre in figlia ha umiliato il popolo veneto. Il Veneto è umiliato da ben altro: per esempio da tre presidenti di Regione (che assieme l’han governata per 27 anni) arrestati per mazzette, dallo scandalo Mose che per mole di denaro sottratta è la più grande ruberia della storia italiana, dai rifiuti tossici versati sotto al manto stradale della Valdastico sud, dalle cave che hanno reso questa regione un groviera, dai morti del petrolchimico di Marghera, dall’appetibile business di cemento ed asfalto che imbruttiscono una terra stupenda. E ancora dai passanti che deridono il profugo mentre si suicidava nelle acque del canal Grande, dalla decina di incendi appiccati negli ultimi anni ai danni di centri di accoglienza per richiedenti asilo, dagli episodi e le affermazioni di intolleranza uscite anche dalla bocca di uomini delle istituzioni. Il Veneto ha parecchi scheletri nell’armadio, alcuni più visibili altri meno: non è certo rimuovendoli che offre una immagine migliore di sé.

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