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Francia: c’è la Nutella in offerta, botte da orbi al supermercato

Risse in alcuni supermercati francesi per accaparrarsi la Nutella scontata al 70%. I rapporti difficili tra Parigi e la famosa crema. Perché boicottarla

di Ercole Olmi

Scene da sommossa, con risse e accapigliamenti, quelle che si sono viste questa mattina in diversi supermercati della catena Intermarché della Loira. Una vera e propria «catastrofe», l’hanno descritta i dipendenti dei negozi presi d’assalto. Motivo di tanta agitazione: vasetti di Nutella da 950 grammi a solo 1 euro e 41 centesimi, con quasi il 70% di sconto. Nel negozio L’Horme – come racconta il sito de ‘Le Progress’ – tutta la merce in offerta è sparita in un quarto d’ora. «Cercavamo di metterci anche noi in fila tra i clienti ma ci spingevano e spintonavano», lamenta un dipendente, raccontando che un cliente ha riportato un occhio nero nella rissa tra la folla. Stessa cosa per il punto vendita di Saint-Chamond. «È stata una battaglia. Abbiamo venduto quantitativi che vendiamo in tre mesi. Sui banconi delle casse c’era solo Nutella», testimonia un altro dipendente, che assicura di non aver mai visto scene del genere in sedici anni di lavoro.

A rive-de-Gier, molti clienti, fuori dal supermercato hanno ripreso le scene con i loro telefoni cellulari: «Sembravano animali feroci. Una donna è stata strattonata per i capelli, mentre una signora anziana è stata colpita alla testa con un’intera confezione di barattoli, un altro aveva sangue su una mano. È stato orribile», testimonia un cliente che ha assistito alla scena. «Alcuni si sono messi in fila molte ore prima, nella notte, per accaparrarsi un quantitativo di vasetti diNutella», dice Jean-Marie Daragon dell’Intermarché di Montbrison. Il direttore è stato costretto a ‘contingentarè a tre il numero di barattoli a persona, ma invano. La gente continuava a spingere e correre avanti e indietro. Nonostante tutto questo, l’operazione di maxisconti continuerà domani e sabato.

Francia-Nutella, la relazione complicata

Rapporti complicati, però, quelli tra Francia e Nutella. Di recente la Nutella, la crema spalmabile alle nocciole più famosa al mondo, ha cambiato ricetta nelle confezioni in vendita solo in Germania e in Francia. Più zucchero e latte in polvere e meno nocciole e cacao. Un’associazione di consumatori tedesca, la Verbraucherzentrale Hamburg ne ha fatto  analizzare un campione, dopo che alcuni associati particolarmente ghiotti si erano insospettiti dal colore più chiaro. La quota del latte scremato in polvere è passata dal 7,5% all’8,7%. Il contenuto di zucchero della diffusione va dal 55,9% al 56,3% e, per ovvia conseguenza – secondo i tedeschi – a diminuire in percentuale sono il cacao e le nocciole. Grassi passati da 31,8 a 30,9%.  Secondo quanto raccontato dall’azienda di Alba alla rivista francese “Les Echos”, il motivo della nuova ricetta è legato alla volontà di andare incontro ai gusti dei consumatori di tutto il mondo. Poi ha specificato che il cambiamento cromatico è dovuto alla sostituzione del siero di latte con una maggiore quantità di latte in polvere, senza alcune modifiche dal punto di vista qualitativo e organolettico. Ma per l’associazione tedesca, la verità è un’altra: la società ha aumentato la percentuale degli ingredienti più economici a discapito della qualità.

Prima ancora, nel 2012,la commissione Affari Sociali del Senato francese aveva votato il cosiddetto emendamento Nutella, più 300% nella tassazione dell’olio di palma per uso alimentare, da 100 a 400 euro alla tonnellata. per combattere l’obesità e la cattiva alimentazione. I Senato francese prima lo approvava con 212 voti a favore e 133 contro e poi lo annullava e la querelle finiva lì. Tre anni dopo Ségolène Royal, all’epoca ministra per l’ecologia, ha riaperto il fronte invitando i francesi a non mangiare Nutella per salvare il pianeta. Il riferimento era alla deforestazione massiccia causata dalle piantagioni di olio di palma.  La polemica è durata 24 ore appena, perché mercoledì la Royal si è scusata su Twitter. “Mille scuse per la polemica sulla Nutella. D’accordo nel sottolineare i passi avanti”. Nel frattempo il colosso delle merendine ha ribadito di usare solo olio di palma certificato sostenibile per i suoi prodotti confezionati a Villers-Ecalles. E, al di qua delle Alpi, il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e poi Confindustria l’hanno presa male: “Segolene Royal sconcertante: lasci stare i prodotti italiani. Stasera per cena… pane e Nutella”. Anche IlSole24Ore: “L’olio di palma per la sua versatilità e per il suo sapore finemente neutrale – si legge in un editoriale in prima pagina il 17 giugno – è il grasso alimentare forse più usato dall’industria. (…) Ma boicottando la Nutella non si rallentano i consumi di olio di palma né si restituisce la foresta pluviale. Se non esistesse la crema al gianduia, la coltura di palma non perderebbe un ettaro e le navi cisterna cariche di olio viaggerebbero sulle stesse identiche rotte. (…) Se tutto il mondo smettesse di usare olio di palma in migliaia di prodotti, e se le piantagioni di palma venisseo sostituite da colture di arachidi da burro, cotone per tessuti o asparagi, l’ambiente non migliorerebbe di un grammo». Vero, almeno finché l’economia seguirà le logiche di Ferrero e Confindustria. A onor del vero anche Greenpeace e Wwf giurano sulla bontà della filiera dell’olio di palma (adottata solo dopo le ripetute denunce di deforestazione).

Il lato oscuro del cioccolato

Ma non è solo questione di olio di palma, di deforestazione e diffusione dell’obesità fra i bambini. Esistono anche un lato oscuro del cioccolato e uno delle sorpresine come documentò un’inchiesta di Stella in Romania. Nel 2011 i ribelli siriani lanciarono una campagna di boicottaggio (“Nutella chocolate – one percent chocolate and 99 percent humiliation”) perché l’importatore, Habib Betinjaneh, era un sostenitore di Assad assieme ai suoi figli Tony e Iyad, Inoltre, non essendo scritto in etichetta del barattolo la provenienza del cacao, Fabio Pipinato di Unimondo provò a telefonare al servizio consumatori Nutella per verificare se arriva dalla Costa d’Avorio o dal Ghana. Gli fu risposto: “Non abbiamo questo tipo di informazioni, ci lasci il suo indirizzo e le spediremo le informazioni richieste”. Pipinato, nel 2011, ha intervistato Miki Mistrati, un giornalista danese che si occupa di responsabilità sociale d’impresa. Per il suo film The dark side of chocolate, Mistrati ha monitorato in Costa d’Avorio la presenza di bambini lavoratori nelle piantagioni di cacao di un paese che è il maggior produttore di Cacao al mondo, 42%  e 18% nel vicino Ghana, «due stati ad’alta concentrazione di bambini che lavorano nelle farm di cacao. Un’infinità di ragazzini alle prese con machete e pesticidi in sterminate piantagioni di cacao. Le stesse multinazionali (ADM, Barry Callebaut, Cargill, Ferrero, The Hershey Company, Kraft Foods, Mars, Incorporated e Nestlé) lo conoscono molto bene anche se non sembran voler affrontarlo in modo definitivo. Dopo la denuncia dei democratici USA Harkin/Hengel sono “state costrette”, in sede ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro – Agenzia delle Nazioni Unite) nel 2001 a trovare un accordo che li avrebbe impegnati a metter fine a questo sfruttamento denunciato da molte Ong (organizzazioni non governative). Ma, a parte qualche attività con le ong all’interno dell’ICI (International Cocoa Initiative) per sensibilizzare le comunità locali sul problema, il nodo rimane in tutta la sua gravità. Nel 2011 le holding hanno sottoscritto un nuovo accordo per impiegare un plafond di soli 2 milioni di dollari USA all’anno (200.000 a testa che corrispondono nemmeno a 150.000 euro) per combattere il lavoro minorile e schiavo sia in Ghana che in Costa d’Avorio. Trattasi di un quinto della somma stanziata nel 2001. Figuratevi che la sola Nestlè guadagna 12 miliardi di euro anno. Nel 2001 si erano dati come data limite per debellare il lavoro minorile il 2005. Ma il problema rimane lì nelle sue dimensioni: 250.000 bambini sfruttati. In effetti, come è scritto nel comunicato ILO, in Ghana e Costa d’Avorio sono in atto inaccettabili pratiche di lavoro nelle industrie di cacao che utilizzano un ampio numero di bambini togliendo loro la possibilità di andare a scuola. Le multinazionali non cooperano tra loro. Sono in competizione nel mercato e lo restano anche in sede di trattativa per sconfiggere il lavoro minorile. Si. Certo. L’ILO li fa sedere attorno ad un tavolo e lì le holding interloquiscono con un portavoce unico (Ron Graf, chair of the industry coalition) ma in realtà sono divisi su tutto ed hanno investito poco allora (10 milioni $USD/anno) e stanno investendo meno ora (2 milioni $USD/anno). La volontà di debellare la schiavitù entro il 2005 è stata prorogata al 2008. Il mio film è stato girato nel 2010. Nel protocollo vi sono più di dieci multinazionali. Io ho chiesto appuntamento a tutte. Tutte hanno risposto solo attraverso il loro portavoce ma una sola non mi ha mai risposto. Non sono mai riuscito ad avere un appuntamento con la Ferrero. Ferrero si gloria di combattere la schiavitù infantile ma non dice quanto investe per combatterla, quali codici di condotta fa sottoscrivere al proprio personale sia in Ghana che in Costa d’Avorio, quali sanzioni prevede per eventuali violazioni e quali politiche mette in atto a prevenzione dell’utilizzo di manodopera minorile straniera.  

Ovviamente Ferrero ha ribattuto per filo e per segno giurando che «Il nostro obiettivo è quello di approvvigionarci, entro il 2020, di cacao sostenibile per il 100% del fabbisogno del Gruppo, avendo sempre la massima cura per i requisiti di qualità, nel rispetto delle aspettative dei nostri consumatori». Qui la risposta integrale dell’epoca a Unimondo.

 

 

 

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