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Macerata, l’abbraccio antifascista alla città impaurita

Macerata è una città chiusa dal sindaco, spaventata, e “circondata” da migliaia di antifascisti. Immagini dal corteo

di Checchino Antonini

LE FOTO DA MACERATA DI SARA SCHIARIZZA

 

Sono alcune migliaia le persone ai giardini Diaz confluite a Macerata per la manifestazione di indignazione per la strage del 3 febbraio quando un fascio-leghista ha terrorizzato la città per alcune ore sparando su immigrati con la pelle nera. Intorno alle 15 gli spezzoni si sono schierati per la partenza. Ad aprire lo striscione «Movimenti contro ogni fascismo e razzismo».

Molta gente, poche bandiere visto che l’invito era a non portarne (prima o poi bisognerà discutere sul perché uno spazio pubblico – quale è un corteo – debba pretendere una sorta di “dress-code” come un locale privato o come una sagra religiosa). Ma dalle bandiere che ci sono si capisce che è tornato in piazza quel popolo della pace, dell’antifascismo, della cittadinanza solidale giunto soprattutto dal versante adriatico e dalle regioni dell’Italia di mezzo. Visibile la partecipazione di Potere al Popolo! e della ragnatela di centri sociali.

Negozi chiusi, posti di blocco, elicotteri fare da rumore di fondo: dentro le mura la città è off limit. Il primo cittadino ha chiuso scuole, musei, teatri. Sospesi anche i trasporti pubblici. I preti hanno interrotto anche messe e catechismo. Il corteo si muove dai giardini di piazza Diaz, farà il giro delle mura e tornerà ai giardini, senza entrare in centro storico. Ma il successo di questo corteo è un boomerang sul Pd, segno di una mobilitazione difficile ma incomprimibile (al punto da trascinare anche improbabili antifascisti dell’ultima ora, come +Europa di Bonino, attirati dalle telecamere come le falene). Una manifestazione (fiancheggiata da decine di appuntamenti del genere in città lontane) che non s’è fermata di fronte allo scandaloso invito del sindaco Pd di Macerata a non manifestare, alle feroci minacce del ministro Pd dell’Interno, Minniti, di vietare i cortei e alla sconcertante “scioglievolezza” di Anpi, Arci, Libera e Cgil, di fronte all’equiparazione tra razzisti e antirazzisti, tra fascisti e antifascisti compiuta dal primo cittadino della città marchigiana. Dentro le organizzazioni coinvolte i dissensi sono evidenti, molti circoli e attivisti dell’Anpi e dell’Arci hanno aderito al corteo e anche don Ciotti, fondatore di Libera, ha accettato che si andasse alla marcia maceratese.

Solo in serata di venerdì la notizia dell’autorizzazione. Il divieto di manifestare (che ha scandalizzato anche le quattro sorelle “timide”, Anpi-Arci-Libera-Cgil) sarebbe stato «una evidente sospensione della democrazia nel nostro Paese – hanno detto alla vigilia i promotori di Sisma, centro sociale di Macerata – della brusca materializzazione di un fascismo che nelle strade si esprime con le pistole e nelle istituzioni con l’imposizione autoritaria del silenzio. Il divieto dopo una tentata strage fascista di esprimere liberamente e pacificamente la propria indignazione, è un atto che non ha precedenti nella storia della Repubblica. Questo divieto è inaccettabile. L’equiparazione fascismo e antifascismo, razzismo e antirazzismo è inaccettabile».

FOTO DI ELIANA COMO

Quanto alla Cgil, la sua area di opposizione interna non ci ha pensato un istante a accondiscendere alla resa proclamata da Camusso (che ha buttato il pallone fuori campo rinviando tutto a un corteo romano il prossimo 24 febbraio): «Scelta irresponsabile dettata solo dal fatto che, ogni volta che il Pd, chiama loro rispondono – spiega a Popoff, Eliana Como, coordinatrice de Il Sindacato è un’altra cosa – la Cgil deve avere un ruolo importante nella lotta contro il fascismo perché il fascismo, storicamente, serve ad attaccare il movimento operaio. Va bene raccogliere le firme, abbiamo firmato anche noi, per escludere dalle elezioni Casapound e Forza Nuova, ma l’antifascismo è militante e deve stare in piazza non solo contro l’attentato ma contro la bieca strumentalizzazione del femminicidio di Pamela. Fascismo e sessismo, si sa, vanno a braccetto. Chi manca, oggi, sono i vertici, come sempre, per qui di Cgil ce n’è tanta. E Macerata, oggi è una città in pace, è stata in guerra solo quando quel fascista è andato a sparare ai migranti».

«Essere oggi qui è la risposta giusta». Così il fondatore di Emergency, Gino Strada, ha motivato la sua presenza al corteo di Macerata. «Quello che è successo è un atto di terrorismo- ha aggiunto – ho sentito che c’era chi invitava a non manifestare e credo che da parte di questo qualcuno – ha concluso Strada con riferimento implicito al Pd – ci sia un affievolimento dell’antifascismo».

«Il corteo di oggi è bellissimo – dice Viola Carofalo, portavoce di Potere al popolo – e lo dobbiamo agli organizzatori, ai centri sociali e a quelli come noi che non si sono turbati un secondo davanti le minacce di Minniti, non hanno fatto un passo indietro e hanno così permesso a tutti di manifestare, evitando ogni ridicola e dannosa comparazione fra fascismo e antifascismo.  Spiace però aprire i giornali e vedere che non dedicano una riga a potere al popolo o agli organizzatori. Addirittura si parla di “Liberi e uguali” in piazza quando per giorni si sono finti morti… Quando c’era rischio di scontri (a causa della tensione di Minniti) era il corteo di Pap e dei centri sociali, di cui si stava preparando la criminalizzazione. Ora che si è capito che la situazione non è “compromettente” si può fare passerella elettorale, tutti in piazza a farsi vedere dalle telecamere… Ma l’antifascismo non è una merce di scambio. Non è nemmeno solo un principio. È una pratica quotidiana, è un valore da difendere sempre e comunque. Oggi a Macerata si stringe un nuovo patto sociale dal basso, ritroveremo un popolo degno e torneremo a casa più convinti che mai che il fascismo si distrugge evitando la guerra fra poveri, stando a fianco degli ultimi, con il mutualismo, la lotta sindacale, la solidarietà, i presidi culturali nelle scuole e nelle strade. Il potere nelle mani del popolo: questo è ciò che distrugge il fascismo!». 

«Non ero e continuo a non essere d’accordo con la necessità di manifestare a pochi giorni da queste tragedie che ci hanno colpito, ma sarò presente con il cuore accanto a ogni forza democratica che sfilerà per la città», insiste a dire il sindaco di Macerata, Romano Carancini, che sarà alla manifestazione indetta per il 18 febbraio, al quale parteciperà anche il Pd. Apparire di parte? «Oggi prevedo che larga parte della città non sarà presente perché non è ancora pronta. Il nostro sarà un cammino più lento e più profondo. L’ho provato a spiegare a Grasso dicendogli che Macerata non è Roma, qui bisogna arrivare fin dentro l’anima delle persone non volando». Invece di maceratesi ce ne sono più di quelli che avrebbe desiderato il sindaco: aprono il corteo e sono disseminati lungo tutto il percorso. Il paesaggio è quello che siamo stati abituati a vedere a Taormina per il G7, a Genova per il G8, negozi sbarrati con tavole e spranghe, città spettrali senza alcuna ragione concreta.

Scriveva alla vigilia Matteo Guidelli dell’Ansa:

L’aria che tira, il sentimento vero della gente, te lo racconta Luigi, il pizzaiolo lungo corso della Repubblica. «In questa settimana è successa qualunque cosa. Fino a dieci giorni fa, se dicevi che eri di Macerata, ti chiedevano ‘provincia di?’. Oggi Macerata la conoscono in tutto il mondo. Ma forse era molto meglio quando non la conosceva nessuno». Prima la morte orrenda di Pamela, poi la caccia al nero del fascio-leghista Traini, ora la manifestazione con migliaia di persone in arrivo da tutta Italia: la città ha paura davvero. Perché quel che è stato non si può certo cancellare e allora l’unica cosa da fare è sperare che tutto finisca il più presto possibile. «Macerata città della pace» dice il cartello all’ingresso. Ma a piazza della Libertà la parola più pronunciata tra la gente è l’esatto contrario: «guerra». Anzi, guerriglia. Come quella del G8 di Genova. Nei capannelli circola ogni tipo di voce, compresa quella che vorrebbe ragazzi in giro per i centri commerciali a comprare felpe nere con cappuccio e nessuna scritta. «Me lo ha detto mia cugina – giura Augusto – lei lavora in uno dei negozi del ‘Valdichienti’». Ma li ha visti? «Glielo ha detto una sua amica». Quando esce dalla prefettura dopo l’incontro che ha sbloccato l’empasse, chiediamo al sindaco Romano Carancini se tutta questa paura non sia un pò troppo esagerata. «Perché non è così?, non c’è questo rischio?». Il primo cittadino ha chiuso scuole, musei, teatri. Sospeso anche i trasporti pubblici. La situazione, dice, «impone la necessità per l’amministrazione di fare propria la preoccupazione di tutte le famiglie». Solo nelle ultime ore la situazione si è sbloccata. Al Viminale, d’altronde, non avevano potuto far altro che raccogliere il senso di disagio e di paura della città, rappresentato dal sindaco nei giorni scorsi. E dunque l’input era quello di bloccare ogni tipo d’iniziativa. La scelta di un percorso ‘condiviso’ e la volontà di manifestare comunque di pezzi importanti della società italiana, hanno però consentito di dare il via libera. Che è arrivato con un comunicato ufficiale della Prefettura in cui si parla di un «sereno e responsabile confronto» con i promotori, che si sono impegnati «a garantire il carattere pacifico» del corteo. Dunque «non sussistono ragioni di ordine e sicurezza pubblica per un provvedimento di divieto» in quanto è stato concordato «un percorso che, pur non limitando il diritto di manifestare liberamente, non arreca grave disagio alla città già colpita dai recenti fatti di cronaca e dalle conseguenti polemiche».  (…)

I primi a capire la paura della città sono stati proprio i promotori della manifestazione, i ragazzi dei movimenti antifascisti e antirazzisti e del centro sociale ‘Sisma’. Per tutto il giorno sono andati in giro per la città a parlare con i negozianti, con la gente. Chiedendogli di non tirare giù le saracinesche, domani. E, anzi, di scendere in piazza. «L’appello che facciamo a tutti è quello di venire a manifestare – dice Marco – non devono aver paura, non siamo noi quelli che fanno paura». «Il nostro intento – aggiunge Daniele Ciaffaroni, uno di quelli che ha partecipato alla riunione con il prefetto e le forze di polizia – era di fare una manifestazione pacifica per ribadire i valori dell’antifascismo e dell’antirazzismo. E così sarà. È stato difficile ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Sono state dette molte cose che non dovevano essere dette in questa settimana, hanno voluto in tutti i modi far passare l’idea che fossimo dei violenti. Ma noi abbiamo dialogato con tutte le realtà nazionali di movimento e l’intenzione di tutti è quella di fare un corteo pacifico e antifascista. Su questo siamo stati sempre molto chiari». All’ora dell’aperitivo, bar e negozi si riempiono. Il tema dei discorsi è cambiato leggermente: prima era il corteo non autorizzato, ora è il corteo autorizzato. «La paura è tanta, inutile negarlo – dicono da ‘Talmone dal 1920’, un negozio di ceramiche su corso della Repubblica – domani saremo chiusi». E non saranno i soli. Persino le messe e il catechismo sono stati sospesi. «Ci auguriamo che tutti coloro che arriveranno in città – dicono dalla diocesi del vescovo Nazareno Marconi – siano animati da sentimenti autenticamente democratici e da intenzioni pacifiche dando voce a una protesta civile e senza mettere in alcun modo a repentaglio l’incolumità delle persone e l’integrità di cose ed edifici».

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