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Liberare Afrin, Ocalan e il popolo curdo. Il corteo di Roma

19 anni fa veniva catturato Ocalan, cortei a Roma e Strasburgo ne rivendicano la liberazione e la fine dell’attacco a Afrin. Il ruolo di D’Alema in quella cattura

di Ercole Olmi, foto di Andrea Zennaro

Un grosso striscione – «Libertà per Ocalan» – ha aperto nel centro di Roma il corteo nazionale ‘#Defend Afrin’ indetto da Uiki Onlus, Comunità Curda in Italia, Rete Kurdistan Italia. I manifestanti hanno sfilato da piazza Esquilino fino a piazza Madonna di Loreto, attraversando via Cavour e via dei Fori Imperiali. «In occasione del 19mo anniversario dell’intrigo internazionale che consegnò il leader Ocalan nelle mani della Turchia, in contemporanea con la Marcia a Strasburgo, manifestiamo insieme alla comunità curda a Roma – hanno spiegato gli organizzatori – è l’occasione per mostrare ancora una volta al mondo quanto l’Italia sia vicina al popolo curdo e non dimentichi le responsabilità del governo italiano quando Ocalan giunse in Italia per chiedere asilo politico, soprattutto per rinnovare l’attenzione e l’impegno nella ricerca di una soluzione pacifica per quel popolo perseguitato».

Il popolo curdo sta attraversando una situazione drammatica. Dopo il presunto golpe, Erdogan ha riempito le galere di oppositori tra cui migliaia di curdi, compresi sindaci e deputati HDP anche i due co-presidenti Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ. Mentre continua l’escalation turca con l’aggressione militare al Cantone di Afrin in Siria. Intanto, di Ocalan, non si hanno più notizie da due anni.

A Strasburgo davanti la sede del Consiglio di Europa, è in corso da mesi un presidio del movimento curdo, che è culminato con una grande manifestazione a Strasburgo, in occasione del 19° anniversario dell’intrigo internazionale che consegnò il leader Ocalan nelle mani della Turchia.

Alla manifestazione hanno aderito molte organizzazioni, tra cui Potere al Popolo, i Comuni di Napoli e Palermo, l’ARCI, la FIOM, i movimenti NO TAV e NO TAP, i COBAS, la FLC CGIL, i Giuristi democratici e centinaia di altre organizzazioni e singoli come il collettivo di scrittori WU MING. Arrivati a Roma decine di pullman da molte città: Torino, Milano, Napoli, Bologna, Firenze, Bari, Catania, solo per citarne alcune. 

«Ocalan deve tornare libero, per contribuire a riaprire il dialogo di pace e realizzare una condizione giusta e duratura per il popolo curdo e per tutti i popoli della regione mediorientale», non si sono stancati di ripetere i portavoce della comunità.

Abdullah Ocalan, nato nel 1949 in una povera e numerosa famiglia di contadini nel villaggio di Omerli, nel Sudest della Turchia, al confine con la Siria, iniziò la sua militanza politica all’università di Ankara, dove studiava scienze politiche. Imprigionato per sette mesi nel 1972 per attività a favore dei curdi, Ocalan insieme a studenti suoi amici, fondò il 27 novembre 1978 il PKK, di ispirazione marxista-leninista. Dopo il colpo di stato dei militari turchi nel 1980, Ocalan fuggì all’estero. Il 15 agosto 1984 lanciò la campagna militare per la creazione di uno stato curdo indipendente.
La sua base ‘politica’ è stata da allora Damasco. Sempre in Siria e nella valle libanese della Bekaa, vi erano le basi operative del movimento. Le pressioni turche sulla Siria divennero negli anni ’90 sempre più forti e Ocalan fu costretto a chiudere alcune basi. Più volte, a partire dal 1993, tentò di aprire un dialogo con Ankara dichiarando tregue unilaterali (che caddero sempre nel vuoto). Nell’ottobre 1998 Ocalan è stato espulso dalla Siria di quel “galantuomo” di Assad e ha iniziato un lungo peregrinare che lo ha portato in Europa. Quattro mesi attraverso vari stati europei tra cui l’Italia, finché non fu consegnato al governo di Ankara, il 15 febbraio 1999 in Kenia, e trasferito in Turchia dove è tuttora incarcerato nel penitenziario di Imrali. E’ in questa isola-prigione generalmente riservata ai condannati a morte e dove furono, com’è noto, giustiziati nel 1960 l’ex primo ministro democratico Adnan Menderes e due suoi ministri, che è stato giudicato il dirigente del Partito dei lavoratori del Kurdistan.

“I kurdi non hanno amici”, recita un adagio di quel popolo. La tesi fu quella di un “complotto” turco-americano-israeliano, con la complicità dei governi greco e keniota. Il contesto è quello determinato dalla posizione chiave della Turchia nel Mediterraneo che la metteva in grado di minacciare ritorsioni economiche e politiche. Di quel paese s’è parlato a lungo come di una possibile ulteriore stellina dell’Ue. Il Kenia, dove materialmente avvenne il rapimento, era al limite del collasso finanziario e accusato di lassismo dagli Usa dopo l’attentato omicida commesso contro la loro ambasciata a Nairobi nell’agosto del 1998. Fu relativamente convincere quel governo. Scrisse Loris Brioschi  che «il ruolo che svolse Atene fu molto più complesso. L’opinione pubblica greca, per la maggior parte filo-kurda, fu sconvolta da questo “tradimento”. Le autorità greche non hanno ancora fornito una spiegazione soddisfacente sulle ragioni che le hanno portate, il 2 febbraio 1999, a mandare Ocalan in Kenia, paese noto per essere una base dei servizi di informazione israeliani e molto sensibile alle pressioni americane. Né hanno spiegato le ragioni per le quali i diplomatici greci hanno consegnato Ocalan alle autorità keniote. Secondo alcuni giornali turchi, Atene avrebbe accettato di consegnare Ocalan in cambio del nulla osta americano e turco per l’installazione a Creta dei missili SS-300, comprati alla Russia da Cipro. Gli Stati uniti, che dopo il clamoroso fallimento delle loro operazioni segrete in Iraq, nel 1996, cercano di sviluppare una nuova strategia per rovesciare il regime iracheno, hanno più che mai bisogno della cooperazione della Turchia, membro della Nato, per l’utilizzo della base di Incirlik. Per compiacere Ankara, Washington ha messo il PKK nella lista delle organizzazioni terroristiche, pur non avendo questo mai commesso attentati anti-americani». Israele afferma di non aver partecipato, direttamente, all’operazione contro Ocalan. Ciò nonostante, sono stati i suoi servizi segreti il Mossad a informare Ankara dell’arrivo del capo kurdo a Mosca, nell’ottobre 1998, e consiglieri israeliani addestrano le forze speciali turche in lotta contro il PKK.

Gli States ritenevano che il PKK fosse anche l’ostacolo maggiore all’applicazione degli accordi di pace del settembre del 1998 tra i due principali partiti kurdi iracheni sotto l’egida di Madeleine Albright, visto che Siria e Iran si servono del PKK per opporsi alla pax americana. Ocalan, dopo un processo farsa, fu condannato a morte per alto tradimento, in virtù dell’art. 125 del codice penale. La Turchia è uno stato l’intellettuale turco Ismail Besikçi è stato condannato a due secoli di galera per i suoi scritti sui kurdi. Nel 1994 alcuni deputati kurdi sono stati condannati ultimi a quindici anni per reati di opinione. Leggi e procedure di Ankara sono incompatibili con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La “sporca guerra” ha fatto dal 1984 più di 40mila morti nell’est del paese, cacciato dalle proprie case alcuni milioni di persone, accusate di avere simpatie per i ribelli, e distrutto più di 3000 villaggi.  Abdullah Ocalan ha fatto di tutto per togliersi di dosso l’etichetta di “terrorista”, che gli ha affibbiato lo stato turco e per essere riconosciuto il rappresentante non solo della sua corrente politica, ma di tutto il movimento autonomista kurdo. Nel dicembre 1998 ha condannato gli atti di “terrorismo” compiuti dai comandanti militari del PKK, ha cercato di isolare l’ala “dura” e dal carcere è riuscito a promuovere la svolta del confederalismo democratico.
Per allargare la sua rappresentatività, il capo del PKK aveva partecipato alla costituzione del Congresso nazionale kurdo, che ha riunito per la prima volta a Bruxelles, il 19 e il 20 dicembre 1998, una ventina di organizzazioni kurde di Iran, Iraq (ma non il partito di Barzani alleato con la Turchia), Siria e Turchia e un centinaio di personalità indipendenti. Un organismo che nelle intenzioni dovrebbe essere per i kurdi ciò che l’OLP è stato per i palestinesi. Il parlamento kurdo in esilio, che siede a Bruxelles e i cui membri provengono dalle quattro principali regioni del Kurdistan e dalla comunità kurda in Europa, ha sostenuto questo piano.

Scriveva Brioschi: «Il governo D’alema, nella vicenda Ocalan ha dato prova, della sua scarsa autonomia e della dipendenza dagli Usa. Dopo un incomprensibile balbettio dove non si capiva la sua vera posizione, ha tentato di “scaricare” Apo alla Germania, o ad un altro stato europeo. Non riuscendovi ha “invitato” il leader curdo a “lasciare volontariamente” il nostro paese.
Ironia della sorte, solo dopo molto tempo, e la sua cattura da parte dei turchi, la magistratura italiana accettava lo status di esiliato di Ocalan. Ma questo non è servito a niente, certo non a rifarsi la faccia perduta in questa vicenda. Se il governo italiano avesse concesso l’asilo politico a Ocalan quando era in Italia, il 25 novembre 1999, non sarebbe stata riconfermata la condanna a morte per impiccagione ed il nostro Paese avrebbe fatto fare un passo in avanti verso la soluzione della questione curda. Il governo D’Alema è quindi complice morale e politico del regime turco».

 

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