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Tutta Roma, tranne una strada: il pasticciaccio brutto della Piccola Londra

Una “gated community” nel cuore della Capitale, in secessione dal quartiere e dal resto della città grazie a norme d’incerta interpretazione, cavilli e probabilmente il solito laissez faire

di Irene Ranaldi*

Uno scorcio di via Bernardo Celentano a Roma, la Piccola Londra [Raffaele Birnardo via flikr.com CC BY-NC-SA 2.0]
La Brexit è arrivata anche a Roma, più esattamente nel quartiere Flaminio nella piccolissima strada lunga 160 metri nota come “Piccola Londra”.
Si tratta di una bellissima strada, progettata negli anni ’10 dello scorso secolo da Quadrio Pirani, architetto di Jesi, come esempio sperimentale di “architettura sociale”. Pirani, noto a Roma per aver realizzato, tra le altre cose, quasi per intero, il rione San SabaMontesacro, concepì questo spazio, unico a Roma, come due file di edifici contrapposti di due o tre piani, separati da una strada, tutti lotti con il loro giardino protetto da inferriate e una scala d’accesso in pietra all’ingresso principale. In perfetto english old style come un pezzo del centro di Londra fosse stato spostato direttamente dalle sponde del Tamigi alle rive del Tevere.

Marco Lodoli nelle sue celebri “Isole” scritte per “La Repubblica” dedicò un articolo a questa piccola enclave londinese “quasi” nel cuore della Capitale:

“Si sa com’è Londra per noi: una città impossibile da frequentare se non si ha il portafoglio straboccante di sterline. Una cena costa un occhio della testa, per un caffè servono più o meno tre euro, per un cinema quattordici e cosi via. I voli aerei sono economici, le compagnie fanno a gara ad abbassare i prezzi, ma una volta atterrati comincia il massacro. E poi c’è l’annoso problema della lingua: fin da piccoli abbiamo studiato la grammatica inglese da capo a fondo e tradotto le loro canzoni più belle, ormai riusciamo a comporre alcune frasette come si deve, ma quando ci troviamo davanti a un londinese che parla speditamente non capiamo più nulla e ci assale la frustrazione.

Che inventarsi, allora, se d’improvviso ci viene voglia di fare quattro passi per le vie di quella città che oggi è il centro della musica, del teatro, della letteratura e di tante altre cose? Vi propongo un ripiego modesto ma simpatico. Tesa tra via Flaminia e via del Vignola c’è una stradina che i romani chiamano Little London [ndr: il nome della strada è via Celentano]. Due grandi cancelli impediscono il flusso delle macchine, ma a piedi si può passare tranquillamente e snap! in un attimo siamo in una traversa di Sloane Street o di Belgrave Square, e Roma è un ricordo lontano”

Da dove nasce l’idea di una strada stile londinese a Roma? Da intenti probabilmente di matrice classista, visto che fu realizzata espressamente per ospitare gli impiegati di alto livello e i burocrati delle varie sedi politiche e amministrative della nuova Capitale d’Italia. Quando il complesso fu edificato, tra il 1907 e il 1913, sindaco di Roma era Ernesto Nathan, un repubblicano mazziniano di origine anglo-italiana, cosmopolita di vedute laiche e moderne. Fu proprio Nathan ad inaugurare una nuova stagione dell’urbanizzazione romana, con il varo di un piano regolatore per costruire quartieri al di fuori delle mura, opponendosi al monopolio e alla speculazione di pochi grandi proprietari e cercando di costruire una immagine di Roma nel panorama delle nuove metropoli europee, e l’intento di modernizzarla anche dal punto di vista del tessuto urbano. Questo è dunque il contesto storico, urbanistico e sociale in cui prende forma l’idea di Pirani.

La stradina, oggi privata (un cartello recita “proprietà privata” e interdice il traffico alle auto), si chiama via Bernardo Celentano e collega Via Flaminia a Viale del Vignola, uno degli assi del tridente che parte da piazza Gentile da Fabriano e rappresenta il sistema viario principale del quartiere.

Se si volesse, si potrebbe entrare a piedi, il cancello è aperto. Non è però così. Non si può entrare, come recita un altro cartello, più piccolo, appeso in corrispondenza di un cancello pedonale, che vieta l’ingresso agli “estranei”. Infatti, alcuni residenti contestano addirittura il fatto che la via abbia un nome. Asseriscono che la toponomastica comunale è sbagliata e accampano la tesi che, in realtà, quella che in tutte le mappe, Google map inclusa, è indicata come una via, sia il loro cortile di casa!

Ohibò, una differenza non da poco! Infatti una strada privata può essere gravata da una servitù pubblica, nell’interesse della comunità, ad esempio se è la via più breve per raggiungere la scuola, o la chiesa o l’ospedale, e, comunque, difficilmente può essere negato il passaggio pedonale. Mentre un cortile è invece una pertinenza del condominio, una proprietà privata, e lì, davvero, non si può entrare senza permesso.

I residenti dicono che la questione della toponomastica, e quindi della natura giuridica della strada, è oggetto di un contenzioso con il Comune per cancellare la via e restituire piena dignità di proprietà privata all’ambito cortile di casa. Anche se, poi, quando vuoi approfondire con loro la questione per capire a che punto sia il contenzioso e se effettivamente possano impedire legalmente l’ingresso agli estranei, gli stessi glissano sui particolari della vicenda legale come fosse roba che scotta. No comment, insomma. Il paradosso, infatti, è che l’ingresso della strada su Viale del Vignola – aperto –  e quello su Via Flaminia – sbarrato – hanno un numero civico, esattamente come un’abitazione o un condominio. In mezzo ai due numeri civici, però, ecco, nella toponomastica Comunale e nelle mappe, Via Bernardo Celentano. Almeno per l’amministrazione capitolina. Il bello è che, in effetti, risulta che la posta che ha per destinatari i residenti di Via Celentano è indirizzata proprio ai due numeri civici su Viale del Vignola e sulla Flaminia e non ai civici della “meta-via” su cui si affacciano le loro abitazioni. Davvero una questione di lana caprina che probabilmente è inutile approfondire, tanto che gli “altri” abitanti del quartiere Flaminio guardano ai residenti della Piccola Londra come a degli alieni e confessano, ammiccanti, “Ma che? Qui ce so’ nato e da lì ce so’ sempre passato…”. Aldilà della questione giuridica si tratta però di uno spunto utile per ragionare di fenomeni socio-antropologici metropolitani emergenti.


Leggendo sui citofoni, infatti, si può individuare, all’interno di questa enclave imperfetta, la presenza di bed and breakfast esclusivi e di molti studi professionali, in particolare di architettura, particolare che non sorprende visto il contesto peculiare. Il dato è inoltre confermato dal gran via vai di professionisti e di turisti, evidentemente in grado di permettersi il lusso di avere l’ufficio o di alloggiare qui. Viene il dubbio che gli accessi siano consentiti solo a gente diversamente appartenente all’upper class.

Ci troviamo probabilmente di fronte al fenomeno delle cosiddette gated community che, nellla definizione della Treccani, sono:

”Comunità residenziali chiuse rispetto all’esterno (da gate, «cancello, barriera»), che si configurano spazialmente come enclave, aree avente caratteristiche peculiari e differenti rispetto a quanto le circonda”

Infatti, alcuni residenti della strada non consentono ai tanti “turisti locali” o a casuali flâneur di entrare per godere della vista di questo gioiellino architettonico o di scattare qualche foto. Le persone “normali” si devono limitare, passando su via del Vignola, a sbirciare di soppiatto dal cancello sperando di non essere redarguiti per potenziale invasione della dorata enclave cittadina. Se però sei omogeneo, anche se estraneo, alla comunità sei evidentemente accolto a braccia aperte, purché ospite pagante, in termini di affitto, o di ospitalità, a pagamento in territorio “neutrale” rispetto alla città che ti circonda, per le tue vacanze.

Le persone che semplicemente vorrebbero godere del diritto alla città, tanto declamato da Lefebvre, per poterci camminare ed ammirare un contesto ed un’architettura che dovrebbero essere bene comune, sono invece escluse. Alcuni residenti della Piccola Londra – perché sembra che questa posizione di chiusura all’estraneo non sia unanimemente condivisa, ma imposta da una “minoranza qualificata” che dell’ostracismo sciovinistico di questa piccola comunità ha fatto la sua personale “madre di tutte le guerre” – probabilmente non capiscono che la valorizzazione del turismo locale, oltre a costruire una economia delle relazioni, contribuirebbe anche ad innalzare il valore del loro immobile. Gli altri, come spesso accade nei condomini, lasciano correre. Forse questo ragionamento, meramente economico, invece lo capirebbero, e si guarderebbero bene dal lasciare fuori tutta la città.

Forse è comunque bene che i “liberi cittadini di Piccola Londra” restino nel loro recinto, osservati solo da fuori come un caso di specie, perché comportamenti come il loro, contagiosi, sono un ulteriore indicatore di un pericoloso clima sociale che, dal piccolo al grande, dal privato al politico, volge sempre più verso i sacchi di sabbia alle finestre, all’individualismo e alla paura dell’altro piuttosto che al bene della comunità e alla costruzione, in un ottica di sostenibilità, di una società aperta ed inclusiva.

Irene Ranaldi, sociologa urbana, è autrice di saggi ed articoli dedicati alla sociologia delle metropoli e alla rigenerazione urbana tra cui “Gentrification in parallello – Quartieri tra Roma e New York“, (aracne editrice, 2014);

opertina Gentrification in paralleo - quartieri tra Roma e New York (Irene Ranaldi, Aracne editice, 2014)
Gentrification in paralleo – quartieri tra Roma e New York (Irene Ranaldi, Aracne editice, 2014)

*Ha collaborato Sergio Braga

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