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Migranti, in Yemen una tragedia nella tragedia

I sopravvissuti di un barcone di trafficanti di migranti presi in carico nel porto di Aden nel marzo del 2009 [© HCR/Rocco Nuri]

Mentre infuria la querra civile, un flusso ininterrotto di migliaia migranti dal Corno d’Africa sceglie il Paese della penisola arabica come destinazione di transito per raggiungere i ricchi paesi del golfo persico e sfuggire alla povertà. Incarcerazioni illegali, sfruttamento, torture, violenze e assassinii. La denuncia di Unhcr

Sono stati 100 mila, 7000 al mese nel solo 2017, i migranti in fuga dalla povertà che hanno raggiunto lo Yemen dal Corno d’Africa. Si tratta soprattutto di eritrei, etiopi e somali.

Il loro obiettivo è raggiungere i ricchi paesi del golfo persico dove sperano di trovare condizioni di vita migliori.

Invece rimangono impantanati nelle vicende della violenta guerra civile che insanguina il Paese della penisola arabica ormai in balia della crisi umanitaria più grave, in questo momento, nel mondo, che fa strage tra i civili non solo per le pallottole e le bombe, ma anche per fame e malattie.

Migranti come prede

I migranti diventano così preda dei trafficanti, della malavita, delle milizie. Estorsioni, incarcerazioni e rimpatri illegali, sfruttamento, maltrattamenti, violenze sessuali e omicidi. Se non di una vera e propria strage

Lo ha denunciato 3 settimane fa l’Unhcr, chiamando in causa il governo di Aden e lanciando un appello al rispetto delle regole sul diritto di asilo in Yemen che è caduto nel silenzio della comunità internazionale.

La posta in gioco

La guerra in Yemen è nel cortile di casa dell’Arabia Saudita che, con l’appoggio politico di altri stati della penisola arabica, è intervenuta manu militari, pesantissima, nel conflitto tra il governo ufficiale, che dalla capitale Sana’a si è ritirato ad Aden, ed i ribelli sciti Huthi. In mezzo anche al-Qāʿida nella Penisola Arabica (AQAP) e l’Isis Yemenita.

Quando ci sono di mezzo gli sciti, quindi l’Iran, si sa all’Arabia Saudita viene il sangue agli occhi. Come anche agli Usa che sono, poi, il vero motore immobile di tutto quanto si muova nel golfo. Anche al netto della recente uscita di Trump dall’accordo sul nucleare Iraniano. Il silenzio ed il laissez faire sulla vicenda, quindi, non devono sorprendere.

Parlano i testimoni

Jon* un rifugiato etiope di 30 anni, in attesa di essere operato ad una gamba in cancrena per le violenze subite, racconta la storia di come dopo essere sbarcato sia stato picchiato per 2 settimane.

“Era un mese che ero sbarcato in Yemen. Sono stato catturato da uomini armati che mi hanno custodito in prigionia per più di un mese. Mi hanno talmente picchiato che ho del tutto perduto la nozione di ciò che è accaduto”.

“La prosecuzione del conflitto e la mancanza di sicurezza minacciano le istituzioni dello Stato e indeboliscono lo stato di diritto – ha affermato William Spindler, portavoce di Unhcr – e stiamo registrando un numero crescente di tentativi d’estorsione, di tratta di esseri umani e di ritorni forzati”.

Non solo, però, una questione di legalità. È di umanità. Per quanto si continuerà a tacere di quanto accade in Yemen? O è solo il prodromo di quanto accadrà nel mondo, anche il nostro, quello del nostro cortile di casa, per quelli che scelgono di fuggire per sopravvivere ed è quindi meglio tacerlo?

 

 

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