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Zerocalcare: l’eterna lotta fra il Panda e l’Armadillo

Macerie prime – sei mesi dopo (Bao Publishing). Zerocalcare fa i conti col successo e con il contesto. Se la resa è una soluzione individuale, il riscatto sarà decisione collettiva

L’importanza del gioco di squadra, il valore aggiunto di non esser soli quando si affrontano le difficoltà: è tornato nelle librerie Zerocalcare e l’ha fatto anche stavolta in maniera tutt’altro che banale. Macerie prime – sei mesi dopo (Bao Publishing, 2018, 192 pagg, 17 euro) è la prosecuzione di Macerie prime (uscito lo scorso autunno) che descriveva uno Zerocalcare nuovo, impegnato a trovare un modo compatibile di vivere il suo successo, e che contemporaneamente affrontava il distacco dai suoi amici di una vita, alle prese con le loro vite normali di chi non gira l’Italia per presentazioni di libri, ma si impegna per sbarcare il lunario attraverso impieghi sottopagati e la speranza in un bando regionale che potrebbe essere salvifico.

L’ultimo fumetto di Zerocalcare, al secolo Michele Rech, 34 anni, non smentisce il primo, correndo sugli stessi binari tracciati da Macerie prime. Convivono assieme tematiche collettive ed altre personali, osservazioni esteriori ed altre interiori. Il tutto col solito sfondo ironico, un po’ nostalgico e un po’ canzonatorio fatto di battute in romanesco, similitudini con esperienze più o meno serie d’infanzia, militanza politica e sociale.

Zerocalcare si conferma fumettista serio, attento e sensibile alla realtà che lo circonda. Raccontando le vite e le problematiche dei protagonisti che nei precedenti volumi sono comprimari – da Cinghiale a Secco, da Deprecabile a Sarah – il fumettista romano si addentra nel mai abbastanza affrontato tema della precarietà, proseguendo il viaggio iniziato nel volume precedente. Una precarietà che non è solo lavorativa perché precarie sono le stesse vite di tanti trentenni, immersi nel mondo del lavoro come in un girone infernale, vittime essi stessi di esistenze che pesano sempre di più sulle spalle e sullo stato d’animo di chi le vive. Un peso tanto grande da divenire a volte insopportabile.

Ci si barcamena tra ansie quotidiane e senso di fallimento, tra il rumore angosciante delle lancette dell’orologio biologico e la frustrazione avvilente di pesare ancora sui propri familiari. I trentenni d’oggi vivono dei veri e propri drammi esistenziali, ed il livellamento al ribasso non riguarda solo i salari e le forme contrattuali, ma anche le aspettative e gli stati d’animo.

E’ questo il filo conduttore del graphic novel che spazia, nel suo racconto, tra depressioni, le difficoltà della maternità, l’angoscia dell’attesa per la risposta di finanziamento del bando, l’esitazione a mettersi in gioco di chi preferisce le proprie poche e salvifiche quanto effimere certezze.

Zerocalcare guarda a tutto ciò dall’esterno, dal suo punto di osservazione di narratore che la precarietà se l’è messa alle spalle e di chi evita di addentrarsi troppo intimamente nelle vite altrui. Zero non manca di guardarsi dentro e di chiedersi quale debba essere il suo impegno verso gli altri, afflitto contemporaneamente dal suo bisogno di liberarsi dagli “accolli” quotidiani e dalla sua coscienza che gli impone di sentire dentro di sé i drammi e le richieste di mezzo mondo: lo scontro tra Panda e Armadillo, suoi alter ego rappresentanti delle due anime contrapposte del suo conflitto interiore, si farà ancor più acceso.

Ma nel suo interiore errare, il fumettista non smette di assecondare la sua indole e di stare dalla stessa parte, quella dei deboli e degli sfruttati, per cui parteggia. Il libro però non è un avvitamento sulla miseria della condizione umana dei giovani d’oggi. Lungi da analisi politiche o da soluzioni teoriche, Zerocalcare sa comunque andare oltre e dire che “sentirsi dei falliti” non è un destino fatale ed ineluttabile. E soprattutto che se la resa è una soluzione individuale, il riscatto dev’essere decisione collettiva, come collettivo dev’essere il modo di affrontare le difficoltà e di prendersi cura l’un dell’altro. Forse così si può sconfiggere la mortificante sensazione di vivere camminando in equilibrio precario su di un filo sottile.

 

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