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Lotta alla contraffazione, vince un liceo di Roma

 Il Liceo Giordano Bruno si aggiudica il primo premio per il Progetto educational “Lotta alla contraffazione” con il copione “Il mercante delle cose invisibili”

di Concetta Di Lunardo

Leggere, scrivere, fare teatro. Laboratori che fabbricano competenze. Il Liceo Giordano Bruno si aggiudica il primo premio per il Progetto educational “Lotta alla contraffazione” con il copione “Il mercante delle cose invisibili”.

“Lotta alla contraffazione” è il progetto educational promosso dal Ministero dello Sviluppo Economico e dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi a cui ha partecipato, insieme ad altre scuole, il Liceo Giordano Bruno di Roma.

L’obiettivo del progetto è la promozione di buone pratiche e attività finalizzate a sensibilizzare le nuove generazioni a perseguire comportamenti etici rispettosi dei diritti che riguardano il mondo del lavoro nonché la produzione di testi e articoli per darne la massima risonanza tra i giovani. Abbinato al progetto è stato proposto un concorso che chiedeva agli studenti di scrivere un corto teatrale che approfondisse appunto il tema della “lotta alla contraffazione”.

Le scuole selezionate da una giuria di qualità hanno portato in scena a Roma le loro rappresentazioni: una prima volta il 31 maggio, al Teatro dell’Angelo; successivamente, il 22 giugno al Teatro de’ Servi, nell’evento conclusivo che ha visto riconoscere al Liceo Giordano Bruno il primo premio con il copione “Il mercante delle cose invisibili”.

Ne parliamo con la professoressa Donatella Damiano, docente di Italiano e Storia presso il Liceo Giordano Bruno e referente didattica del liceo e con gli esperti dei laboratori il dottor Raffaele Di Pietro e il regista Paolo Pasquini per capire che tipo di lavoro è stato fatto sui ragazzi in termini motivazionali e di mole di lavoro per conseguire un risultato così importante.

In quanto referente didattica dei due laboratori teatrali lei ha accompagnato gli studenti nella preparazione e nell’allestimento della rappresentazione dal titolo “Il mercante delle cose invisibili”. Come nasce la partecipazione del vostro istituto a questo concorso?

Il laboratorio di lettura e scrittura e il Laboratorio teatrale in lingua italiana, attivati nel nostro istituto, hanno tra gli obiettivi fondanti la partecipazione a progetti, festival e concorsi sia sul territorio che a livello nazionale. Ma al di là degli aspetti puramente “competitivi” – legati a eventi che mettono di fronte diverse realtà scolastiche – a noi interessa soprattutto mettere alla prova e lavorare sulle “competenze” che gli studenti hanno acquisito nei vari indirizzi dei nostri percorsi formativi. In questo senso la funzione specifica svolta dalle attività laboratoriali è soprattutto finalizzata a supportare la didattica curricolare. Infatti, gli esperti che seguono i laboratori offrono agli studenti ulteriori strumenti espressivi, ideativi, creativi e artistici, per presentare-rappresentare se stessi e per essere autori-attori della propria vita, in tempi e luoghi-altri rispetto a quelli curricolari. I concorsi diventano così delle occasioni in cui i ragazzi possano varcare il cancello della scuola per raccogliere la sfida di una competizione che li porti a muovere passi più consapevoli su un palcoscenico che li vuole vedere più come protagonisti che come comparse”.

Dottor Di Pietro, lei cura il Laboratorio di lettura e scrittura, ci può raccontare come gli studenti hanno affrontato la sfida di scrivere un copione teatrale? Come partecipano i ragazzi alla scrittura in ambito laboratoriale rispetto a contesti più convenzionali come quello scolastico?

L’atto della scrittura è solo l’ultimo passaggio di un processo. E questo vale per la redazione di tutti i testi: dalla singola frase al discorso più articolato. La prima azione nasce quindi come ideazione. Ma, di fatto, bisogna anche constatare come il gesto stesso della scrittura sia tornato a essere una pratica che attraverso la digitazione sui dispositivi elettronici ha recuperato una modalità di comunicazione basata sull’immediatezza e su una spontaneità molto istintiva ed estremamente reattiva, istantanea. Nella messaggistica delle chat il pensiero diventa subito testo, immagini, icone, in una sequenza dialogica che ha tutti gli elementi di una scena teatrale. Da qui al copione, il passo è breve. Un altro aspetto che va considerato è quello che definisce il testo di un copione teatrale come “scrittura creativa”, ma di questa definizione vale la pena rivedere l’ordine dei termini: è l’aggettivo l’autentico motore della scrittura. L’aspetto della creatività precede ogni altra azione, è una dimensione che si accende quasi senza sforzo e che confluisce nella scrittura in modo molto naturale. Ecco, forse è proprio la “mancanza” di questa naturalità nella produzione di testi a far soffrire gli studenti in ambito scolastico. Si sviluppa una contraddizione da “doppio legame”, dove la richiesta di svolgimento di un compito entra in conflitto con la sfera emozionale dello studente sempre più abituata all’“instant messaging”. La scrittura messa in atto in un laboratorio aiuta a superare queste situazioni di stallo e a sciogliere molti nodi che impediscono ai ragazzi di esprimersi, in qualsiasi contesto siano messi alla prova.

Dottor Pasquini che cosa succede tecnicamente a un testo scritto quando diventa teatro? I ragazzi come vivono questo passaggio che è anche una trasformazione del testo?

Il testo diventa invisibile, ma non scompare. Più che di trasformazione, parlerei di traduzione. Le descrizioni della scena e dei personaggi, le didascalie, tutte le indicazioni riportate sul copione, da parola scritta diventano immagini parlanti. Questo vale per la scenografia come per tutti gli elementi tecnici che hanno la funzione di creare sullo spazio scenico l’ambientazione della storia che verrà rappresentata. Anche le battute subiscono una mutazione. Se la voce si fa interprete delle parole, a recitare è chiamata tutta la fisicità del protagonista. Tra una parola e l’altra, persino in una singola parola, viene innescato un insieme complesso di meccanismi, fatti di intenzioni, silenzi, pause, esitazioni, modulazioni e variazioni praticamente infinite che un testo scritto suggerisce e che poi tutto il corpo deve tradurre in teatro destinato a un pubblico. È vero che i ragazzi hanno bisogno del copione. Per loro è un oggetto che identifica materialmente un supporto della memoria e che per questo dà anche sicurezza. Ma finché non si liberano da questa dipendenza, è anche altrettanto vero che non possiamo parlare di teatro. Sono tutti questi passaggi, ideazione, scrittura, memoria, recitazione, a far sì che sulla scena s’instauri un patto col pubblico. Alla fine della nostra rappresentazione, il mercante ripete queste parole: «Sulla scena, gli attori fingono una realtà, ma nella vita ci sono realtà che diventano finzione e contraffazione. Ma nessuna maschera può nascondere la verità per sempre!». Ecco, in teatro deve essere vera solo la finzione. Nei nostri laboratori i ragazzi imparano ad avvicinarsi alla realtà con uno sguardo aperto, dove l’errore anche se invisibile rappresenta un rischio che si è disposti a correre.

 

 

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