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Togliatti, l’iper-realista

Togliatti, il realismo della politica. Una biografia (Carocci 2018), di Gianluca Fiocco

di Carlo Scognamiglio

 

A volte basta poco per recensire un libro. Per Togliatti, il realismo della politica. Una biografia (Carocci 2018), di Gianluca Fiocco, può essere sufficiente una facile sintesi: è un libro bellissimo.

Il volume racconta con stile piacevole, pulito, elegante – e con riflessioni intense – gli anni di vita di uno dei protagonisti della storia italiana del Novecento. Affezionato evidentemente al proprio oggetto di ricerca, Fiocco riesce a trovare una forte sintonia con le dinamiche emotive e con le connessioni logiche che dovettero accompagnare molte delle decisioni assunte dal segretario del PCI. Il titolo del libro tradisce il cuore del ragionamento storico qui sviluppato: il realismo di Togliatti. A torto o a ragione, il protagonista della svolta di Salerno è stato infatti amato o aspramente criticato per quello che è parso ad alcuni come un eccesso di cinismo, o di forzato uso del realismo politico, specialmente nei suoi rapporti con lo stalinismo.

Senza esprimere giudizi di valore, Gianluca Fiocco ricostruisce con la documentata perizia dello storico i momenti decisivi della vita di Togliatti: siamo naturalmente di fronte a una biografia quasi esclusivamente politica, oltre che intellettuale. Uomo di partito fin da giovanissimo, il leader comunista non ha mai smesso di dedicare tutte le sue ore all’attività di organizzazione, azione e discussione politica.

Fondamentale il rapporto con Gramsci, tra luci e ombre (com’è noto), con la perpetua ricerca di una chiave politica per costruire nel secondo dopoguerra, attraverso le attività di ricerca e analisi degli scritti gramsciani, un’elaborazione teorica che caratterizzasse la specificità del comunismo italiano.

Importanti gli anni della Costituente, la sua fiducia assoluta nella necessità di costruire una repubblica democratica solida, cui ancorare la vita di un partito di massa, non più d’avanguardia. Fiocco mostra bene anche l’antagonismo e la reciproca considerazione che connetteva Togliatti e De Gasperi. Dedica inoltre pagine importanti alla ricostruzione dei suoi rapporti con Stalin, sottolineando la diffidenza di porzioni di alcuni vertici del partito sovietico nei confronti del comunismo italiano, per poi giungere alle fatiche della Guerra Fredda e all’instancabile attività giornalistica ed editoriale.

L’attivismo e la lucidità di Togliatti paiono non venire mai meno, neanche nell’attimo stesso in cui fu vittima di un drammatico attentato alla propria vita. Occorre precisare che questa di Fiocco non è un’agiografia. Le sue pagine non si schiacciano su una sterile difesa di Togliatti dalle critiche che contemporanei e posteri gli mossero. Ma Fiocco replica col suo lavoro a ogni atteggiamento liquidatorio. Contestualizza storicamente scelta dopo scelta, e lo fa molto bene, restituendoci l’immagine di un uomo che commise certamente degli errori, ma che fu costantemente alla ricerca di soluzioni e strategie innovative, e che capì – in conflitto con i comunisti cinesi e con molti altri tra i suoi contemporanei – l’importanza dell’equilibrio mondiale e della demilitarizzazione, nell’epoca della proliferazione delle armi nucleari.

In cosa consisteva, dunque, questo realismo, l’attitudine al compromesso, che da molti dei suoi stessi compagni fu poi rinnegato? La verità è che Togliatti, fin da ragazzo, comprendeva la complessità radicale dell’essere. Non esistono semplificazioni in nessun campo d’azione. Nessun settarismo o purismo di sorta trova scampo o successo nell’assoluta confusione che caratterizza la ricchezza del reale. Un reale sempre paradossale e contraddittorio. La guida politica consiste proprio nell’indicare la strada per muoversi dentro le ambigue pieghe del mondo, anche attraverso dei compromessi, per non esserne travolti e per uscirne vincitori. Un esempio emblematico può essere rintracciato nell’atteggiamento assunto da Togliatti negli anni di costituzione dei Fronti popolari. Tra il 1935 e il 1936 il fascismo in Italia godeva di ampio consenso. Come costruire, dunque, un’efficace e credibile opposizione antifascista? Togliatti capì subito che bisognava sottrarre quel consenso al fascismo, in modo non semplice né lineare, perché ci si confrontava con un’ampia parte di popolazione che politicamente aveva conosciuto solo il fascismo, e nulla sapeva o capiva del pluralismo politico, e che era stata sostanzialmente educata nell’immaginario simbolico del regime. Togliatti allora nel 1935 scriveva una lettera alla segreteria del proprio partito utilizzando questo tono: “Se oggi ci presentiamo a dei fascisti (veri) che sono malcontenti, sdegnati o vorrebbero qualcosa di nuovo e parliamo loro di […] Matteotti, ci piglieranno a bastonate. Esiste un modo diverso di presentarsi a loro, che non li respinga ma agevoli l’unione politica delle nostre forze con le loro allo scopo di provocare una prima modificazione politica della situazione del paese, che li aiuti a trovare la strada dell’antifascismo aperto? Certamente esiste. È compito del nostro partito di trovarlo” (p. 120).

 

 

 

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