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Ecuador: dal centro alla fine del mondo

La speranza dell’Ecuador sta nella dignità del suo popolo. Per essere all’altezza di questa dignità, la solidarietà internazionale deve essere inequivocabile

di Boaventura de Sousa Santos*

Dal 3 ottobre in Ecuador ci sono grandi proteste contro la decisione del presidente Lenín Moreno di revocare i decennali sussidi per il carburante. Giorno dopo giorno i manifestanti sono aumentati e le proteste si sono fatte più intense, con scontri con la polizia e centinaia di arresti. Moreno ha dichiarato uno stato di emergenza della durata di due mesi, ha imposto un coprifuoco in alcune aree del centro della capitale Quito e soprattutto ha deciso di spostare il governo da Quito alla città costiera di Guayaquil, dove per ora le proteste sono state meno intense. Il 14 ottobre il governo dell’Ecuador ha revocato lo stato d’emergenza e il successivo coprifuoco imposto il 12 ottobre a Quito. Lo ha annunciato il ministero della Difesa ecuadoriano. La decisione, ha precisato un portavoce ministeriale, è stata resa effettiva da un ordine impartito dal capo del comando congiunto delle Forze armate, generale Roque Moreira. Il bilancio degli incidenti in tutto il Paese, ha reso noto il 10 ottobre l’Ufficio dell’Ombudsman (Difendore del Popolo), è di almeno cinque morti, 554 feriti e 929 detenuti ma dall’Ecuador, una fonte di Popoff snocciola cifre drammaticamente diverse: 27 morti all’11 ottobre, 120 desaparecidos, meta dei quali bambini, 860 feriti gravi e 1430 meno gravi, 1800 detenuti. Il governo e i leader indigeni hanno raggiunto un accordo per mettere fine a dieci giorni di violente proteste di strada esplose per contestare le misure di austerity messe in atto da Quito per ottenere un prestito di 4,2 miliardi di dollari dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Il presidente dell’Ecuador, Lenin Moreno, ha infatti deciso di collaborare con i leader indigeni guidati da Jaime Vargas per elaborare un nuovo pacchetto di misure finalizzato a tagliare la spesa pubblica, aumentare le entrare e ridurre il deficit di bilancio e il debito pubblico. La prima misura decisa da Moreno prevede l’annullamento del decreto esecutivo che intendeva eliminare i sussidi per il carburante in vigore da 40 anni, accogliendo così la principale richiesta del Conaie, la Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador. [Ndt]

Come suggerisce il nome, l’Ecuador è geograficamente situato al centro del mondo. Tutto ci porta a credere che il neoliberismo abbia deciso di portare avanti la sua agenda di fine mondo in questo paese. Come è noto, il neoliberismo è la versione più antisociale del capitalismo globale perché è strettamente legato agli interessi del capitale finanziario. Non riconosce altra libertà se non quella economica, per cui è facile sacrificare tutte le altre.

A proposito, è positivo che i portoghesi lo sappiano sul partito dell’Iniziativa liberale, l’ultima versione del liberalismo sotto forma di fallimento. La specificità della libertà economica è che viene esercitata nella misura esatta del potere economico che si deve esercitare e, quindi, il suo esercizio implica sempre una forma di imposizione asimmetrica sui gruppi sociali che hanno meno potere e una forma di violenza brutale su coloro che non hanno potere, la stragrande maggioranza della popolazione impoverita del mondo. Tale imposizione e violenza si traduce sempre nel trasferimento di ricchezza dai poveri (tradotto nelle scarse politiche di protezione sociale dello Stato) ai ricchi e nel saccheggio delle risorse naturali, così come dei beni economici, dove esistono. Il Fondo Monetario Internazionale è l’agente incaricato di legalizzare il furto, che traduce le politiche di austerità imposte dal capitalismo finanziario.

Il furto è così evidente che l’ammontare dei prestiti è quasi sempre equivalente ai profitti pubblici offerti ai creditori internazionali e alle grandi multinazionali che si articolano con loro. I casi più recenti di questo processo vanno dalla Grecia al Portogallo (2011-2015), dall’Argentina al Brasile e molti paesi africani. Quello che sta accadendo in Ecuador rappresenta il parossismo, il momento di massima intensità della volontà distruttiva del neoliberalismo. Per salvaguardare il diritto alla rapina legale da parte di creditori e multinazionali, il paese è in fiamme socialmente, si dichiara rapidamente uno stato di emergenza, legittimato da una Corte Costituzionale complice, si mobilitano le Forze Armate addestrate dalla famigerata Escuela de las Américas (oggi con un nome diverso che cancella la storia per mantenere gli scopi) per esercitare la lotta contro i nemici interni, cioè le grandi maggioranze impoverite, si uccidono e feriscono i manifestanti e spariscono centinaia di bambini. E’ una strategia massimalista e da fine del mondo pronta a radere al suolo il paese per imporre la volontà degli imperialisti e delle élite locali al loro servizio.

La più tragica di tutte è che l’Ecuador è stato il paese della speranza nel primo decennio di questo secolo. Ho avuto il piacere di essere consulente nell’elaborazione di una delle costituzioni più progressiste del mondo, la Costituzione del 2008, la prima che nei suoi articoli ha sancito i diritti della natura e ha offerto un’alternativa allo sviluppo capitalistico. Un’alternativa che si basava sui principi di armonia con la natura e di reciprocità che i popoli indigeni hanno sempre praticato, un modello di vita che, essendo così strano per la logica occidentale, doveva consacrare nella sua versione originale, in lingua quechua, la suma Kawsay, tradotta imperfettamente come buen vivir. Gli anni successivi furono anni di sperimentazione innovativa e di grandi aspettative, soprattutto per le popolazioni indigene che, soprattutto dal 1990, avevano lottato per il riconoscimento dei loro diritti, il rispetto del loro stile di vita e la dignità della loro esistenza come sopravvissuti al grande genocidio coloniale moderno, perpetuato oggi dal nuovo colonialismo e razzismo che per decenni ha caratterizzato sia i partiti politici di destra che di sinistra.
La presidenza della Repubblica fu occupata da Rafael Correa, grande comunicatore, senza grandi radici nei movimenti sociali, con un discorso antimperialista, sempre controverso nelle sue posizioni e intollerante alle divergenze nel proprio campo politico. Nonostante ciò, ha svolto un notevole lavoro di rinegoziazione del debito estero e di ridistribuzione sociale, anche se errato e forse insostenibile per due ragioni principali. Da un lato, ha avuto difficoltà a riconoscere nelle popolazioni indigene, più che i poveri, i loro diritti collettivi, la cultura e la storia contavano a malapena; la ridistribuzione sociale implicava il centralismo statale e la liquidazione delle autonomie territoriali dell’autogoverno indigeno, garantito almeno dalla Costituzione del 1998; ha presto lavorato duramente per demonizzare i leader indigeni. D’altra parte, contro la Costituzione e invocando difficoltà finanziarie, ha adottato il modello neo-estrattivista di sviluppo capitalista (incentrato sull’estrazione di risorse naturali, in particolare di petrolio), pur dando la preferenza agli investitori cinesi a scapito degli investitori nordamericani tradizionalmente presenti. Negli ultimi anni, Correa è stato abbandonato da buona parte della sinistra ecuadoriana, non solo a causa del suo “desarrollismo”, ma anche a causa della sua virulenza contro i leader indigeni. Io stesso ho criticato Correa, ma non ho mai condiviso gli eccessi di una certa sinistra, influenzata dalla sinistra ecologista europea, che è arrivata a considerare Correa come un leader autoritario dell’estrema destra. Oggi devono fare un bagno di realtà su ciò che è veramente l’estrema destra in Ecuador e in tutto il subcontinente.

Rafael Correa è stato al potere tra il 2007 e il 2017 ed è stato sollevato dal suo vicepresidente per diversi anni, ora presidente, Lenín Moreno. Inizialmente, ha dato l’idea che quello che sarebbe cambiato sarebbe stato solo lo stile di governo, non la sostanza. Tuttavia, chiunque conoscesse il background di Moreno avrebbe dovuto essere più attento. Nessuno si rese conto che l’azione penale su Correa per presunta corruzione, che Moreno ha sponsorizzato, era solo un’altra versione della nuova strategia statunitense per neutralizzare i governanti che mettevano in pericolo gli interessi delle aziende statunitensi, soprattutto nel settore petrolifero: la presunta lotta contro la corruzione. Questo è stato il caso, tra gli altri, di Lula da Silva e Cristina Kirchner. A poco a poco, Moreno ha mostrato il suo vero scopo: riallineare l’Ecuador con gli interessi degli Stati Uniti. L’accordo con il Fmi è culminato con la celebrazione di questa alleanza. Il cosiddetto “paquetazo” decretato il 1° ottobre, il pacchetto di austerità, è estremamente feroce contro le famiglie a basso reddito, la stragrande maggioranza della popolazione ecuadoriana.

La tragica traiettoria delle prescrizioni del Fmi è ben nota. Non fanno mai altro che buoni affari per i loro investitori. Il risultato è sempre l’impoverimento delle grandi maggioranze. Ciononostante, o forse a causa di ciò, esse continuano ad essere applicate e, ogni volta che vengono applicate, vengono annunciate come unica alternativa per salvare il paese. Che il FMI sia indifferente alle disastrose conseguenze sociali delle sue ricette non sorprende, perché non si può pretendere che il capitalismo faccia altra filantropia oltre a quella che è nel suo stesso interesse (e quindi non la vera filantropia). Ciò che sorprende è che Lenín Moreno non sembra ricordare che la resistenza dei popoli indigeni, una resistenza appresa nel corso dei secoli, ha già rovesciato tre presidenti dal 1990, ed è molto probabile che lui stesso sarà il prossimo. La cosa più tragica per il popolo ecuadoriano è che i precedenti rovesciamenti presidenziali (1997, 2000, 2005) sono stati molto meno violenti di quanto annunciato per il prossimo. La timida dichiarazione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, la cui incapacità di difendere autonomamente i diritti umani è ben nota, è un segno dei tempi autoritari in cui ci troviamo. La speranza dell’Ecuador risiede nella dignità del suo popolo. Per essere all’altezza di questa dignità, la solidarietà dei democratici del mondo con il nobile popolo ecuadoriano deve essere inequivocabile e attiva.

*tradotto da OtherNews. De Sousa Santos è un accademico portoghese. Sociologo, professore alla Facoltà di Economia e direttore del Centro di studi sociali dell’Università di Coimbra (Portogallo), presso l’Università del Wisconsin-Madison (USA) e in varie istituzioni accademiche in tutto il mondo. E’ uno dei più importanti scienziati sociali e ricercatori al mondo nel campo della sociologia giuridica ed è uno dei principali promotori del World Social Forum.

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