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Il St.Pauli licenzia il giocatore turco che tifa per la guerra di Erdogan

Il St.Pauli ha “liberato” il centrocampista «incompatibile coi valori della società». Anche in Italia giocano tre “soldatini” di Erdogan

Il St Pauli ha licenziato il centrocampista turco Cenk Sahin per aver postato sui social un messaggio di appoggio alle attività dell’esercito turco in Siria. La società tedesca ha definito «incompatibile con i valori della società» il commento del giocatore 25enne sospeso da allenamenti e attività della squadra, il contratto di Sahin rimane valido ma è ora libero di trovarsi un’altra squadra nella prossima sessione di mercato di gennaio. «Siamo dalla parte dell’eroico esercito e dei soldati. Le nostre preghiere sono per voi», il contenuto integrale del messaggio postato su Instagram. Prima di prendere la decisione il St Pauli, che milita nella seconda divisione tedesca, ha convocato il giocatore discutendo con lui la questione.


Il Fußball-Club Sankt Pauli, fondata nel 1910 e posseduta al 51% dai tifosi, diventa una squadra cult negli anni ’80 ad Amburgo, in un periodo di poderose lotte operaie, vittoriose, contro gli sfratti delle case popolari dei portuali proprio nel quartiere di Sankt Pauli, destinato alla gentrification. Sebbene sia un club che naviga nelle acque del centroclassifica della seconda divisione, il Sankt Pauli trascina al Millerntor Stadion 30mila persone ogni domenica per via di una tifoseria antifascista, pacifista, pro Lgbt (è la prima squadra di calcio tedesca ad aver avuto un presidente dichiaratamente omosessuale) e antagonista, e che va ben oltre i confini di questo quartiere e della stessa Germania, si veda, solo per fare un esempio, St. Pauli Club Zena di Genova. Il simbolo della tifoseria è il Jolly Roger, la bandiera dei pirati, portata in curva per la prima volta da un tifoso punk, Doc Mabuse nell’estate del 1987. Nello stadio la pubblicità è meno pervasiva che in altri luoghi del genere e quando fu installata una pedana da lapdance per festeggiare i gol con uno spogliarello, una rivolta di tifosi ne causò lo smantellamento immediato.

Il Guardian gli ha dedicato un video dal titolo esplicativo: “FC St Pauli: a socialist football club in Hamburg’s Red Light District” anche se rimanere fedeli al mito non è semplice e c’è chi, come l’ex portiere Volker Ippig, anarchico, squatter e cresciuto nel quartiere la sua storia) crede che «oggi il Sankt Pauli è qualcosa di orchestrato, artificiale. Rimane solo il mito. È tutto un mare di nebbia»  Sarà ma quello che succede ad Amburgo è diametralmente opposto a quello che accade sugli spalti degli stadi italiani dove, ad esempio, la tifoseria della Roma sempre più infiltrata da elementi della destra estrema non trova da ridire nulla sui saluti militari del suo calciatore turco Under in omaggio al macellaio che governa il suo Paese e muove la guerra al popolo kurdo dentro e fuori le frontiere di quello stato.

Nel 2005/6, la squadra di Amburgo era in terza serie ma riesce ad arrivare alla semifinale della Coppa di Germania battendo il Werder Brema 3-1 (un milione di incasso che permette di sistemare i conti). Il 16 febbraio 2011, con un gol di Gerald Asamoah, ghanese naturalizzato tedesco, il Sankt Pauli batte gli odiati borghesi dell’ Hamburger Sport-Verein, o Amburgo Sv al Volksparkstadion. E’ la seconda volta nella storia anche se proprio quell’anno sarà l’ultimo, per ora, nella Bundesliga.

In Italia il legame calcio-nazionalismo sembra difficilmente superabile come in altre parti del mondo, si pensi ai cori razzisti dei bulgari nel match con l’Inghilterra. Anche Hakan Calhanoglu e Merih Demiral, acquisti turchi di Milan e Juve, nel match di ieri contro la Francia si sono esibiti nel saluto militare di tutta la squadra che già aveva scatenato polemiche dopo la partita con l’Albania. Poi, tra dichiarazioni post-gara e messaggi sui social, hanno gettato ulteriore benzina sul fuoco. «Gioco per la nazionale e quando lo faccio la politica è da un’altra parte. Noi giochiamo a pallone, ma siamo al 100% con la nostra nazione. Anche se comunque non sempre è tutto bello», ha detto il rossonero Calhanoglu. Demiral invece ha scelto ancora una volta twitter per esprimere il suo appoggio al presidente Erdogan e all’offensiva della Turchia nel nord della Siria. «Ne mutlu Turkum diyene», ha scritto il difensore bianconero citando una celebre frase di Mustafa Kemal Ataturk che tradotta significa: «Felice è colui che si chiama turco».

Ora sui social spopolano gli hashtag dei due giocatori e in tanti esortano i due club italiani a cederli. «Ma un #demiralout non ci starebbe? Giocatore di medio livello, arrogante nazionalista che manda messaggi indegni…secondo me la Juventus merita molto di meglio», «Vattene via dalla Juve», «Cara Juventus, temo che giocatori come Merih Demiral, che infangano lo sport con i messaggi di guerra di un dittatore assassino, non meritino di giocare in Italia, né a Torino, né altrove. Le chiedo, da tifoso, di lanciare un messaggio forte», scrivono alcuni tifosi bianconeri. «Onore al St.Pauli società e tifoseria unite per cacciare un loro dipendente che ha osato prendere posizione verso un genocidio. Prendete esempio per Calhanoglu, Demiral e Under», si legge sempre su twitter in un discorso allargato anche al romanista Under. Posizioni nette anche da molti tifosi rossoneri: «Se è al 100% con la sua Nazione se ne vada fuori dai coglioni al più presto, magari proprio in Turchia, nel frattempo togliti la 10 che sei uno scandalo», «Milan tutto ok con le dichiarazioni di Calhanoglu dopo l’esultanza con saluto militare in sostegno alla guerra della Turchia in Siria?», «Mi aspetto una pioggia di fischi a San Siro, se non vieni mandato via a calci nel culo dalla società. Indegno di vestire quella maglia, come calciatore e come uomo, sparisci», sono solo alcuni messaggi che prendono di mira il centrocampista rossonero.

 

 

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