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Il carcere uccide più del virus: 12 detenuti morti in 48 ore

Carceri in rivolta. Altri tre morti durante le rivolte per indulto, amnistia e misure alternative dopo la sospensione dei colloqui

Dodici morti in 48 ore tra i detenuti delle carceri italiane (qui una panoramica). Per comprendere le ragioni cominciamo con le parole di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa – e le proposte di Antigone perché nei lanci di agenzia, che ricalcano le veline del Dap, c’è solo l’ossessione per la l’auto-stima dei danni e per l’ipotesi che ci sia stata una regia dietro il divampare delle rivolte. «Negli ultimi giorni – spiega un comunicato di Acad – in pieno allarme Corona Virus, l’istituzione carceraria italiana ha deciso di prendere come provvedimenti anti-contagio il taglio dei colloqui tra detenuti e familiari, la riduzione al minimo indispensabile di tutto il personale (volontari, psicologi, bibliotecari), la revoca delle ore d’aria e la riduzione, presso alcune strutture, della possibilità di usufruire delle docce. Non stiamo parlando di restrizioni banali, stiamo parlando delle uniche, importantissime cose che tengono il detenuto ancora in contatto con la società esterna, dei legami con la vita al di fuori del carcere, ma non solo, anche di quei pochi aiuti e punti di riferimento che permettono di portare avanti dei percorsi atti a migliorare le condizioni di vita dei detenuti all’interno dell’area carcere. Tutta questa serie di provvedimenti è stata presa informando malamente e sommariamente la popolazione detenuta sui rischi e sulle procedure da adottare accrescendo la preoccupazione dei contagi interni, così facendo si è generata la protesta di chi sta “dentro” e rivendica il legittimo dritto alla vita come chi sta “fuori”, ma anche all’esterno la protesta di amici familiari e attivisti è viva e si fa sentire, così come la repressione ai loro danni.
Indulto, amnistia, domiciliari, misure alternative al carcere: queste le grida di rivendicazione nelle rivolte di questi giorni.
Delle persone decedute si sa poco e niente, ad ora si conoscono solamente 3 dei nomi fra coloro che hanno perso la vita durante fatti, ancora tutti da chiarire, ancora una volta il carcere si conferma l’emblema di ogni repressione, abuso e sopruso. “Sarebbero tutti tunisini, tossicodipendenti, che hanno approfittato della rivolta per assaltare l’infermeria e fare razzia di farmaci assumendo dosi letali di metadone”, questa la versione ufficiale, che non possiamo assolutamente accettare alla luce dei decessi sospetti e dei tentati suicidi che ogni giorno caratterizzano la realtà carceraria». Riepilogando 2 morti dichiarati per overdose di metadone, 1 per overdose di benzodiazepine, 1 per infarto, gli altri detenuti sono morti durante il trasferimento ad Alessandria, Verona, Parma e Ascoli, infine altri tre detenuti sono morti in circostanze ancora da accertare durante la rivolta nel carcere di Rieti.

Si aprono intanto i fascicoli di indagine, Milano e Trani sono i primi uffici a metterci mano insieme a Bologna che ha già individuato un gruppetto leader di 15 detenuti. Mentre rimangono piccoli focolai di protesta a Trapani, Trieste e Rieti, il Dap ritiene che il peggio sia passato. Un primo bilancio ufficiale registra dodici morti e la distruzione di 600 posti letto, danni alle strutture autostimati per almeno 35 milioni di euro, sottratti psicofarmaci per 150mila euro, 41 poliziotti feriti. Oggi altri tre morti per overdose – probabilmente da metadone, dopo i nove di ieri – tra i detenuti che hanno partecipato alla sommossa che da sabato sera – con un crescendo che fa pensare, alla stampa mainstream, una regia comune – ha incendiato 27 penitenziari. I giornalisti “per bene” si soffermano sugli interi reparti devastati, reclusi sui tetti, forze dell’ordine in stato d’assedio, ostaggi nelle mani dei rivoltosi. Diciannove evasi da Foggia, tra i quali un omicida, sono ancora in fuga. Ricorre l’ipotesi consolatoria di un tempismo coordinato della rivolta, che fa puntare gli occhi sulla criminalità organizzata, e che ha raggiunto un primo obiettivo. Quello di rimettere in agenda la polveriera un sovraffollamento che nemmeno le veline possono permettersi di occultare – oltre 61.200 il popolo dei reclusi – con istituti che ospitano almeno diecimila detenuti oltre la capienza regolamentare. Parte proprio da Milano, la città che sta combattendo in prima linea contro l’incubo del contagio e che sa di non potersi permettere un altro fronte caldo, la decisione del Tribunale di Sorveglianza di attivarsi subito per «liberare» le carceri «il più possibile». Per l’avanzata del Coronavirus e visto il sovraffollamento, sono state avviate «intese con il Sert per potenziare gli affidamenti terapeutici e per potenziare le misure alternative anche con un tavolo che si è costituito con le direzioni delle carceri, il Provveditorato regionale e Regione Lombardia», ha spiegato Giovanna Di Rosa, presidente del Tribunale di Sorveglianza del capoluogo lombardo. Con il responsabile dell’antiterrorismo Alberto Nobili, che ieri ha parlato sul tetto con i detenuti in rivolta insieme al pm Gaetano Ruta, la Di Rosa è andata a San Vittore e hanno incontrato una delegazione di detenuti promettendo passi concreti. «Faremo una segnalazione, noi come Procura di Milano e il Tribunale di Sorveglianza di Milano, al Ministero e al Dap perché si prendano sulle spalle la responsabilità del sovraffollamento e prevedano modifiche normative in modo da alleviare la permanenza in carcere», hanno spiegato. Si lavora per far dormire fuori dal carcere i detenuti che già hanno il lavoro esterno, e per abbonare gli ultimi mesi di detenzione a chi è vicino al fine pena, oltre che per aumentare gli affidi in prova. Per placare gli animi – anche se si pensa che la sospensione dei colloqui con i familiari per paura del contagio sia stata solo un pretesto per lo scoppio di un bubbone che covava – sono state promesse le mascherine, autorizzate più telefonate via skype, e non si è adottato il pugno duro. Tanto che a Napoli, nella malebolge di Poggioreale, per sfiammare la tensione è stato consentito l’ingresso dei pacchi mandati dai parenti – oggi era giorno di consegne – nonostante l’inferno di ieri. Domani sarà una giornata impegnativa per il ministro della giustizia Alfonso Bonafede che deve informare la Camera e il Senato di quanto è accaduto. Da Modena, dove la rivolta è stata particolarmente cruenta – è qui che ieri sono morti nove detenuti – si è appurato che in carcere c’era da venerdì un detenuto positivo al contagio, in isolamento. Potrebbe essere stato la scintilla ma non basta a spiegare tutto l’incendio.

Acad chiede «chiarezza» sui fatti che hanno portato alla morte di dodici persone, «chiediamo tutti i nomi di chi ha perso la vita, chiediamo le immediate dimissioni del ministro Bonafede, evanescente impreparato ed assente. Ci uniamo alla voce dei detenuti in lotta, e chiediamo che venga avviato un percorso legislativo serio per arrivare all’ amnistia e all’indulto. Nell’immediato chiediamo provvedimenti tempestivi e seri che permettano misure alternative al carcere, chiediamo la disposizione di misure domiciliari e/o di sospensione pena per i detenuti in semi-libertà, per gli anziani, i malati, chiediamo misure domiciliari per tutti i detenuti con pena inferiore ai 5 anni. Esprimendo solidarietà e vicinanza ai detenuti e alle famiglie colpite, facciamo appello ai familiari delle vittime e ai loro avvocati affinché si possa intraprendere una lotta unitaria contro gli insabbiamenti che sistematicamente vengono messi in scena per coprire gli atroci abusi commessi, una lotta comune per la verità sulle morti di Modena e Rieti e mettiamo a disposizione i nostri aiuti medico-legali. E’ urgente, umano, necessario».
Acad-Onlus Contatti: Numero verde SOLO per emergenze in corso 800 588 605 Mail: infoacad@inventati.org

«12 morti tra le carceri di Modena e Rieti – dice Patrizio Gonnella, presidente di Antigone commentando – il tragico bollettino delle proteste verificatesi in molti penitenziari italiani. Una violenza verso cose e persone che abbiamo chiesto in più occasioni, attraverso appelli diretti ai detenuti, di cessare e che ha anche danneggiato la maggior parte dei reclusi che hanno protestato pacificamente. Proprio la fine delle violenze è elemento fondamentale per portare avanti alcuni dei provvedimenti che già nei giorni scorsi auspicavamo per rispondere alle limitazioni che l’emergenza coronavirus ha portato anche nelle carceri. L’emergenza legata al diffondersi del Covid-19 richiede nelle carceri provvedimenti diretti ad affrontare quanto sta accadendo, salvaguardando i più vulnerabili e i rapporti con le famiglie. Per questo, come Antigone, abbiamo avanzato 5 proposte all’Amministrazione Penitenziaria e alla Magistratura di Sorveglianza che potrebbero essere implementate nell’arco di pochi giorni, rispondendo all’urgenza e alla serietà che la situazione richiede” conclude il presidente di Antigone».

Ecco le 5 proposte di Antigone:

1. La direzione di ciascun istituto penitenziario provvederà all’acquisto di uno smartphone ogni cento detenuti presenti – con attivazione di scheda di dati mobili a carico dell’amministrazione – così da consentire, sotto il controllo visivo di un agente di polizia penitenziaria, una telefonata o video-telefonata quotidiana della durata di massimo 20 minuti a ciascun detenuto ai numeri di telefono cellulare oppure ai numeri fissi già autorizzati.
2. L’affidamento in prova in casi particolari di cui all’art. 47-bis della legge 354/75 è esteso anche a persone che abbiano problemi sanitari tali da rischiare aggravamenti a causa del virus Covid-19.
3. La detenzione domiciliare di cui all’articolo 47-ter, primo comma, della legge 354/75 è estesa, senza limiti di pena, anche a persone che abbiano problemi sanitari tali da rischiare aggravamenti a causa del virus Covid-19.
4. Tutti i detenuti che usufruiscono della misura della semilibertà possono trascorrere la notte in detenzione domiciliare.
5. La magistratura, nei limiti in cui lo riterrà possibile, trasformerà provvedimenti di esecuzione delle sentenze emesse nei confronti di persone che si trovano a piede libero, in provvedimenti di detenzione domiciliare.

Il carcere, insomma, «sta presentando il conto», scrive anche l’associazione Yairaiha Onlus: «L’urlo di disperazione dei detenuti è partito sabato pomeriggio da Salerno e l’effetto domino non ha tardato ad innescarsi. Da Milano a Palermo le carceri sono in rivolta con un bilancio pesantissimo (…) Oscure cause e dinamiche, ma è evidentemente anomala la ricostruzione ufficiale che i 7 detenuti si sarebbero impossessati di ingenti quantitativi di metadone nell’infermeria e siano morti di overdose. Ancor più strano è il fatto che un soggetto in overdose venga trasferito in un altro carcere anziché essere soccorso e portato in ospedale. Carrarmati a Palermo; e in tutta Italia le carceri presidiate dai reparti celeri e dall’esercito. Italia 2020 o Cile 1973? L’intero arco istituzionale sta accampando alibi invocando il pugno di ferro e il ripristino della legalità. La “società civile” condanna fermamente le violenze facendo emergere l’incapacità di leggere quanto sta avvenendo nelle galere. I professionisti della dietrologia hanno già pronto il refrain dei centri sociali e degli anarcoinsurrezionalisti dietro le rivolte dei detenuti. Resteranno delusi perché i detenuti stanno facendo tutto da soli: al loro fianco e sotto le carceri in questi giorni ci sono i familiari a sbattere in faccia ai tutori della legalità i certificati di incompatibilità carceraria e a chiedere di poter curare a casa, al sicuro, il proprio familiare. Chiedono amnistia, indulto, sicurezza e dignità. È una umanità stanca quella delle galere (familiari e detenuti) che fino ad ora ha sopportato la violazione sistematica e quotidiana dei propri diritti. La prevalenza dei giornalisti, come un tripudio di tromboni, a perenne caccia dello scoop, tratta della polveriera carceraria ora che è esplosa senza far trasparire nemmeno un piccolo dubbio sulla ricostruzione sommaria della morte di 10 uomini. Prove tecniche di regime egregiamente superate. Solo in pochi hanno cercato di ricostruire i fatti facendo informazione.
61.230 persone ammassate in 47 mila posti rappresentano il fallimento di uno Stato che non è più tale e che forse non lo è mai stato. Uno stato che per questa umanità non ha mai attuato la Costituzione né prima, da liberi, né dopo, da detenuti. E neanche ora in piena emergenza pandemica. Le uniche misure che questo governo è riuscito ad immaginare per i detenuti vanno ancora nella direzione del castigo: sospensione dei colloqui, delle attività e delle semilibertà. Seguendo la logica di questo governo, per rendere il carcere un ambiente impermeabile al virus, avrebbero dovuto blindare anche agenti e personale all’interno, invece no, hanno sospeso solo l’ingresso dei familiari. Senza valutarne efficacia ed effetti. Un provvedimento che accanto alla paura di contagio diventa la classica goccia che fa traboccare il vaso.
Mentre l’Iran concede ‘permessi’ a circa 70.000 detenuti per contenere la diffusione del coronavirus, la civilissima Italia pensa di arginare il problema chiudendo i rapporti con l’esterno, probabilmente con l’obiettivo di tenere nascosti gli inevitabili contagi e i decessi connessi, e lasciare mano libera ai reparti speciali di reprimere il disagio usando il pugno di ferro. Quello che da più parti si sta chiedendo a questo governo è un atto dovuto per il ripristino della “legalità” a partire dall’applicazione dell’art. 47 della Costituzione (la sospensione della pena per i detenuti gravemente ammalati, non solo per i notabili), la sostituzione della misura per i condannati a pene lievi e a quanti sono vicini al fine pena.
Ma le risposte non vanno in questa direzione. E il peso di 12 morti accertati, una ventina di detenuti gravemente feriti, tra cui due in coma, i trasferimenti scriteriati da un carcere all’altro in piena emergenza coronavirus con il rischio concreto di contagio, diverse carceri devastate, sono responsabilità diretta dell’incapacità del governo di attuare la Costituzione ed usare il buonsenso.
12 morti sono una strage. E non si può ammantare con il ripristino della legalità! Non si può ignorare quanto sta succedendo né, tanto meno, liquidare le rivolte come atti criminali. Al vostro immobilismo e chiacchiericcio da bar i detenuti hanno risposto mettendosi in gioco, rischiando, ancora una volta, sulla propria pelle. Chiunque in una tale situazione reagirebbe. Chiunque di fronte alla paura di una lenta e dolorosa agonia in un luogo angusto e senza alcun tipo di assistenza medica tenterebbe di fuggire. Chiunque in preda all’angoscia di andare incontro a morte certa e senza la possibilità di poter salutare i propri cari per un ultima volta, penserebbe alla rivolta. Di cosa vi stupite? Sono forse da condannare? E no è troppo semplice, caro ministro Bonafede, caro governo, cari benpensanti! Come scriveva Voltaire “Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle proprie carceri”. E queste rappresentano la barbarie. Se la politica fosse realmente fedele al dettato costituzionale mai come ora dovrebbe adoperarsi per una amnistia immediata e generalizzata».

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