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Radio, il buono della diretta

Piccola apologia della radio. L’esperienza di Cura Radio

Il 14 aprile 2020, in pieno lockdown, andava in onda su Facebook la prima trasmissione live di Cura Radio, emittente che per diverse settimane ha proposto uno, a volte due appuntamenti settimanali in diretta di oltre un’ora con numeros* invitat* che si sono alternat* per parlare di temi legati alla solidarietà in un momento nel quale i contatti diretti tra persone erano di fatto impediti dalle misure di confinamento. Come è nata questa esperienza che – dopo la pausa estiva del “liberi tutti” – ha ricominciato la sua strada?

Per raccontarlo parto da un piccolo aneddoto personale. E non c’è da stupirsi: il rapporto con la radio è spesso legato a ricordi d’infanzia e ad abitudini familiari.

Mio padre è stato un giornalista radiofonico. I miei si sono separati quando ero molto piccolo e io vivevo con mia madre, mentre mio padre lo vedevo poco. Ma lo sentivo. In radio, appunto. A mezzogiorno, durante il radiogiornale, la sua voce arrivava fino a me.

Vicinanza

Per me la radio, per il tramite della sua voce, è stata dunque uno strumento di vicinanza.
Ed è così che nasce l’idea di Cura Radio: in pieno lockdown, con l’angoscia per quello che stava succedendo, avevo voglia di sentire la vicinanza di amici/che e magari di offrire a mia volta un po’ di vicinanza ad altri.

Con Francesca, la mia compagna in questa piccola avventura sonora, abbiamo buttato giù qualche idea ed ho subito cominciato a pensare all’apparato tecnico; insieme abbiamo superato le difficoltà spinti dalla voglia di fare qualcosa di minimamente utile, per noi stessi e – chissà – anche per altri.

Il desiderio che ci ha messo in moto è stato quello di rompere l’isolamento e il silenzio al quale noi e le nostre reti di attivismo siamo stati costretti dal lockdown, offrendo uno strumento di comunicazione alla nostra comunità di intenti, solidale, antifascista, antisessista e antirazzista, per curare relazioni diventate ormai necessariamente a distanza.

Curare attraverso la relazione, insomma. Proprio per questo le nostre trasmissioni in diretta iniziavano sempre con una domanda: come state?

Nel corso delle settimane abbiamo avuto numerosi ospiti, come potrete verificare ascoltando le nostre dirette riunite su questo sito. Abbiamo parlato di donne, di ambiente, di economia, di carcere, di campi nomadi, di rifugiati, accogliendo e dando spazio a realtà del territorio che provavano a mantenere vive le reti di solidarietà costruite negli anni e messe duramente alla prova dalla pandemia.

Comunità

Vicinanza, dunque: la radio, proprio perché è voce, suono, è anche l’esperienza di una voce che risuona dentro di noi. E’ un’esperienza intima, che nessun altro media può dare.

La seconda parola chiave che definisce il nostro progetto è comunità. La nostra è una radio di comunità perché vuole dare voce a una parte della società trentina, quella solidale e attiva, e favorire la cura attraverso la comunità e il suo rafforzamento, sfruttando il senso di vicinanza così caratteristico del mezzo radiofonico.

Uno studioso molto influente, Benedict Anderson, ha coniato l’espressione “comunità immaginate” in un libro molto famoso. Con questo concetto spiegava tra l’altro la costruzione delle comunità nazionali e metteva al centro di questo processo strumenti come i media di massa e in particolare i quotidiani.

Noi abbiamo cercato e cerchiamo, attraverso la radio e il suo linguaggio, di essere parte della costruzione di una “comunità immaginata” di persone solidali anche di fronte alla pandemia.

Perché radio

Ma perché scegliere di dare vita a una radio per dare corpo a questo progetto?

Credo che il mezzo radiofonico sia il più adatto a suggerire vicinanza e a costruire comunità e per spiegarne il motivo introduco un’altra parola chiave, che si aggiunge alle precedenti: intimità.

La radio è un’esperienza intima perché è fatta di voci e, a differenza delle immagini che sono fuori da noi, noi siamo dentro il suono. Quelle voci arrivano in profondità.

Se togliete il suono ad un film avrete davanti a voi immagini in due dimensioni, senza profondità. Il suono è la terza dimensione nel cinema.

La radio elimina il superfluo, quello che distrae, e ci costringe al lavoro dell’immaginazione, ci trascina dentro di noi; favorisce l’introspezione.

La radio ci rende attenti e ci pone nella postura dell’immaginazione, della partecipazione e dell’ascolto. La radio è un media che ci rende attivi.

Spazio di condivisione in diretta

Un altro aspetto da considerare quando si riflette alla radio come media è che essa facilita l’apertura delle persone e la possibilità di trattare temi intimi, delicati.

E’ questa una grossa differenza con i media che utilizzano l’immagine, perché le persone hanno maggiori preoccupazioni per la rappresentazione della loro immagine pubblica.

In radio si può essere anonimi e questo favorisce la presa di parola. Si può dunque creare uno spazio di condivisione aperto, attivo e intimo.

Anche la scelta di trasmettere in diretta è stata fin dall’inizio evidente a me e Francesca. In questi ultimi 15 anni stiamo assistendo a una rinascita della radio in forme nuove, con la fruizione non lineare di programmi sul web o via dispositivi mobili. Ma nonostante il grande successo – soprattutto nel mondo anglosassone – dei podcast, la diretta radio ha le caratteristiche per costruire quello spazio e quella comunità di cui parlavo prima.

Le comunità immaginate – come spiega Benedict Anderson – si creano nella sincronia, che dà la sensazione di fare parte di qualche cosa che sta accadendo “qui e ora” insieme ad altri che come me sono impegnati nell’ascolto.

Per riuscire a creare questo spazio e questa comunità era quindi necessario essere in diretta.

Personalmente sono un grande consumatore di podcast, il quale si differenza però della radio in diretta per un aspetto importante: il contenuto viene fruito in modo individuale, non sincronico, mentre la diretta è un ascolto potenzialmente collettivo e interattivo.

Su Facebook

Internet non è stata creata per il suono. Anche se le cose stanno cambiando negli ultimi anni con piattaforme come Soundcloud, il web propone un’esperienza essenzialmente visiva e testuale.

Non sono dunque molte le risorse “gratuite” che permettono la trasmissione radiofonica sulla rete. E nemmeno Facebook propone risorse particolari per l’audio: è difficile anche solo condividere un suono sulla propria bacheca e gli stessi strumenti – molto evoluti – per il live sono tutti focalizzati sul video.

Siamo dunque ricorsi a un piccolo stratagemma: mentre durante il lockdown esplodevano le dirette con video in bassa qualità che non avevano niente da aggiungere ai contenuti veicolati dalle voci, noi abbiamo scelto di andare in onda dalla nostra pagina Facebook in diretta sostituendo al video un’immagine fissa e puntando tutto su un racconto sonoro.

Questo dal punto di vista tecnico ci ha permesso anche di avere molta più flessibilità: nel corso delle nostre trasmissioni si sono alternati numerosi ospiti via Skype, ma ci sono stati anche musica e contributi audio registrati.

Dalla prima puntata della nuova stagione di Cura Radio, iniziata il 25 novembre, trasmettiamo anche in streaming grazie ai buoni auspici della piattaforma di movimento Streampunk e ne siamo molto felici. Facebook resta però inaggirabile per gli strumenti che offre per la condivisione delle notizie e per la costruzione di una comunità attorno alla radio.

Una nuova/vecchia radio

Non siamo stati gli unici ad avere l’idea di dare vita a una radio durante il lockdown: sono tante le esperienze nate nei mesi di confinamento per mantenere il contatto e la vicinanza e costruire e curare le comunità. Basta guardare la lista di emittenti presenti sul sito di Steampunk o fare un giro sul sito di Radio Virus, un’esperienza nata a Milano grazie a “Non una di meno”.

La radio si rinnova anche grazie al web, ma mantiene inalterata una caratteristica che le ha permesso di sopravvivere e prosperare in 100 anni di storia e nonostante numerosi annunci di morte.

Un solo dato: l’ascolto radiofonico in Gran Bretagna durante il lockdown è aumentato dell’11%, con una crescita in particolare dell’ascolto di programmi informativi e in generale della radio di parola, a discapito dei servizi di streaming musicali. Alla radio si chiedeva di “fare compagnia” durante quei mesi difficili.

L’emergenza ha – ancora una volta –  permesso di mettere in luce una delle doti principali della radio: la resilienza.

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