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«Un metodo e un processo per uscire dal grande riflusso italiano»

Intervista a Dario Salvetti alla vigilia dell’assemblea nazionale convocata dal collettivo Gkn a Campi Bisenzio

“Insorgere per convergere, convergere per insorgere: i due momenti non sono separabili”. La nuova chiamata della Gkn inizia con una premessa di metodo rivolta ai soggetti sociali, sindacali e politici «siano in fase di avanzamento o ripiegamento». C’è bisogno, lo ha spiegato Dario Salvetti del Collettivo di Fabbrica, parlando alla plenaria della Società della Cura di un «segnale di continuità» con quanto successo il 25 e 26 marzo, il venerdì dei FFF e il sabato dei 30mila a Firenze, una saldatura «irreversibile» tra movimento operaio e movimenti ambientalisti. Ora c’è in programma un’assemblea per il 15 maggio.

«L’abbiamo convocata a Campi Bisenzio – spiega Salvetti dialogando con Popoff – perché è evidente che ancora la vertenza Gkn è un punto di credibilità e autorevolezza che permette questo processo. Non saremo noi a lasciarlo evaporare. Allo stesso tempo l’assemblea vuole segnare un graduale passaggio di testimone a un’altra fase dove la Gkn fa la sua parte all’interno di un processo più ampio ma non può essere il volano decisivo e determinante dell’intero processo».

E’ un processo per molti versi inediti, quello iniziato con l’Insorgiamo della Gkn nel luglio scorso, dopo il licenziamento via mail con elementi inediti, che rifugge a tentativi di cristallizzazione, di definire un perimetro e contendersi uno spazio. Già il documento respinge ogni deriva settaria dicendo con chiarezza che la convergenza «non è un intergruppo».

«Sin dall’inizio siamo stati costretti in questa vertenza a ragionare con quel che c’era, a mettere tutti gli schemi preesistenti a confronto con la realtà, e continuiamo a fare questo. Noi, ancora prima di interrogaci sui nostri desideri soggettivi, chiediamo a noi stessi e a chi verrà in assemblea se, oggi, la fotografia che facciamo dei rapporti di forza e del processo corrisponde alla fotografia migliore e, di conseguenza, alla proposta migliore perché il processo si possa allargare. Ad esempio, non poniamo la questione del coordinamento organizzativo perché oggi produrrebbe un intergruppo. Però chiediamo che cosa bisognerebbe coordinare. Ci sono altre esperienze di insorgenza e di convergenza sui nostri territori? Saremo in grado da qui all’autunno di individuarle e, quindi, di creare effettivamente un allargamento del processo che poi, un domani, potrà anche porsi – e indipendentemente da noi – altre forme. Oggi ci sembra che il punto principale sia riscrivere il linguaggio, condividere un metodo, socializzarlo, estenderlo, approfondirlo».

Avete suggerito di procedere ancora scadenza per scadenza per generalizzare metodo e processo.

Il taccuino con cui andremo all’assemblea è quasi tutto pulito perché non vuole essere preordinato ma qualche scadenza ovviamente già si inizia a intravedere. Innanzitutto noi riteniamo che dobbiamo focalizzarci sul “tenetevi liberi” per l’autunno che, però, dovrà darsi delle forme e dei modi che saranno determinati dalla stessa fase autunnale. Che questo dovrà essere preceduto da un altro “Insorgiamo Tour”, quindi da una capacità di mettere in relazione i soggetti e i territori orizzontalmente. E che questo tour però non per forza dovrà farlo Gkn. Anzi, l’obiettivo è che non lo faccia quantomeno solo e soltanto Gkn. Poi, ognuno di noi, dovrà essere chiamato a generalizzare il metodo: da un lato individuare punti di insorgenza dove siamo già in grado di sfidare i rapporti di forza esistenti – penso a quello che sta accadendo intorno alla base di Coltano, secondo me il territorio ha tutta la possibilità di impedire quella base, quindi ha i rapporti di forza per farlo e, contemporaneamente questo fa nascere elementi di convergenza attorno a questo punto. Dall’altro, il metodo deve tenere presente che le nostre mobilitazioni sfideranno un “prevalente” che potrà variare – ovviamente in questo momento il prevalente che grava su tutti noi è la guerra – ma non possiamo permetterci di essere risucchiati dall’ultimo slogan, dall’ultima emergenza. Altrimenti il rischio è che non accumuleremo mai analisi più profonde, chi sta accumulando il sapere della nuova classe dirigente finisce sempre per dover rincorrere l’ultima questione. Questo non permette di vincere mai.

Già, “fuori dall’emergenza, dentro l’urgenza”. Lo spiegate anche nell’appello: le emergenze sono il risultato delle crisi del sistema. E dentro l’emergenza non solo vengono banalizzate le posizioni radicali ma le classi dominanti impongono lo stato d’eccezione per restringere l’agibilità politica e sindacale. A proposito, dopo dieci mesi di lotta che rapporto c’è con il sindacato?

Credo ci sia ancora, in generale, una tendenza nostra a confondere il sindacalismo con il classismo, cioè l’idea che quando la classe si muove si muova solo nella sua forma sindacale-economica, idea che spesso si è rivelata perdente proprio per l’estrema difficoltà dei rapporti di forza nei luoghi di lavoro, mentre noi crediamo che classismo voglia dire la capacità della classe di esprimersi su tutto ciò che ha intorno e, a sua volta, di ridisegnare l’esistente a proprio favore, dimostrando che così riesce a ridisegnarlo a favore di un blocco sociale e, contemporaneamente, credo che il sindacalismo sottovaluti questa forma di classismo, sottovaluti il fatto che, per cambiare i rapporti di forza dentro i luoghi di lavoro, è necessario che prevalga lì dentro un’altra visione dell’esistente e che difficilmente riuscirai a tenere botta dentro i luoghi di lavoro se ti convinci che il punto sia semplicemente andare a elemosinare l’ultimo euro nell’ultima trattativa, determinando rapporti di forza deboli. Perché evidentemente, in un mondo che va a pezzi, la lotta su una singola vertenza sindacale, non regge. Inutile nascondersi che questa visione, nelle organizzazioni sindacali, ad oggi è ancora largamente minoranza, non minoritaria ma minoranza sì.

E voi come state (scusa il gioco di parole)? Cioè, qual è lo stato della vertenza di fabbrica?

La vertenza è esattamente nel punto di divaricazione che avevamo individuato da tempo, nel senso che abbiamo dimostrato che un fondo finanziario e una multinazionale possono essere sconfitti, che si può entrare dentro il tritacarne delle trattative uscendone con un accordo quadro estremamente avanzato ma, alla fine, in assenza di un cambiamento dei rapporti di forza generali, la vertenza, la singola vertenza, può essere tenuta lì a logorarsi e, a un certo punto può essere anche riassorbita nell’esistente. Perché, di fatto, oggi noi siamo di fronte a due potenziali trappole (che non vuol dire lo siano necessariamente): l’ammortizzatore sociale – che diventa inevitabile quando non hai i volumi produttivi per ripartire – e l’altra è la reindustrializzazione.

L’ammortizzatore sociale è una trappola, ed è per questo che dovrebbe essere strumento usato con molta parsimonia da parte delle organizzazioni sindacali, perché per quanto tu possa integrarlo, arricchirlo (com’è stato fatto da noi), renderlo più simile possibile a un reddito normale, si determina quella situazione per cui le migliori professioni vanno via, chi è monoreddito non regge, alla fine chi rimane in ammortizzatore rischia addirittura di assuefarsi e abbandona la mentalità da “lavoratore che si organizza”, per diventare un lavoratore che fa pressione per la proroga dell’ammortizzatore sociale. Dall’altra parte, la reindustrializzazione: è quel processo che la nostra classe imprenditoriale avanza sempre ogni volta che è in difficoltà rispetto a una vertenza, per cui una fabbrica viene svuotata, ridotta a uno scatolone in attesa di macchinari nuovi in futuro. Noi abbiamo avuto molte garanzie rispetto al fatto che questo processo si darà e che quindi torneremo a lavorare. Ma le garanzie sono sulla carta. La verità è che ci sarà un momento molto pericoloso, di limbo, dove noi non saremo né la vecchia, né la nuova fabbrica. E lì siamo consapevoli che molti ci hanno lasciato le penne da un punto di vista sindacale e anche produttivo.

Raccontaci la relazione tra voi.

Eravamo 420, escluso l’indotto, ora siamo scesi a 330 proprio perché con l’arrivo dell’ammortizzatore si è verificato quel logoramento di cui parlavo e anche lì abbiamo messo nell’accordo quadro che a Campi Bisenzio non ci saranno mai meno di 370 posti di lavoro. Per cui delle assunzioni secche le abbiamo già strappate per compagne e compagni che provengono dagli appalti e dai precedenti contratti di somministrazione. Al momento è una vittoria più simbolica che sostanziale. Ma il presidio continua, l’assemblea permanente continua, quindi sono dieci mesi compiuti pochi giorni fa. C’è un presidio esterno alla fabbrica ma contemporaneamente, per quanto ci riguarda, i cassintegrati hanno totale agibilità sindacale interna alla fabbrica. Continuiamo a tenere il punto ricreativo, continuiamo a presidiare lo stabilimento, abbiamo dovuto scadenzare la presenza al presidio perché c’è anche un tema di benzina, un cassintegrato sette giorni su sette non riesce a venire in stabilimento. Abbiamo riorganizzato le squadre per una presenza alternata, ci sono delle assemblee plenarie, andiamo avanti. Nel tempo si è riorganizzato un nucleo attivo del collettivo composto da lavoratori che sono stati mutati nella testa e nel cuore da questa esperienza. Sì, c’è stato un aumento della consapevolezza che ha fatto crescere il collettivo di fabbrica.

Facendo un confronto tra le due grandi manifestazioni, quella di settembre e quella di marzo, ho avuto l’impressione che la seconda volta ci fosse una minore partecipazione della città.

C’è una società democratica che spesso si accontenta di stare sulla superficie degli avvenimenti, se licenziano mi dispiace quindi protesto, se c’è una mobilitazione che dice che bisogna opporsi alla finanziarizzazione dell’economia magari la colgo come un fatto distante quando, in realtà le due cose sono esattamente l’una il risultato dell’altra. La mobilitazione del 25-26 marzo ha avuto la capacità di andare ancora di più alla radice del problema e questo, inevitabilmente, può anche arrivare meno a un settore della popolazione, almeno all’inizio. Però è un passaggio necessario. Poi c’è da valutare un’altra cosa: il 18 settembre arrivò con una fortissima esposizione mediatica, ricordo la locandina de La Nazione che diceva: “Gkn, oggi il grande corteo”. Oggi siamo arrivati con alcuni articoli sulle pagine locali, qualche riferimento sulle testate nazionali di sinistra, ma poco altro. Siamo consapevoli che non siamo portati dalla corrente, che ce la stiamo creando da soli.

E il rapporto con la sinistra politica?

Un rapporto positivo, non penso che sia un rapporto di totale sovrapposizione, quindi ci sono degli spazi di autonomia ma credo ci sia il senso di essersi messi a disposizione di questo processo, non in un senso di subordinazione ma di contributo. Credo che così rimarrà nella misura in cui tutti siamo chiamati a confrontarci con un processo che deve crescere, che non può essere speculativo, che non può permettersi di essere conteso. Nel momento in cui non viene allargato, muore immediatamente. Per cui le scadenze che proveremo a darci, saranno un rimando continuo e per un po’ avranno bisogno di essere un crescendo. Se questo dovesse interrompersi, probabilmente, non ci sarà possibilità di sopravvivere.

C’è chi è pronto a criticarci se questo processo dovesse farsi soggettività politica, chi farebbe il contrario. C’è ancora una fortissima tensione a contendersi lo spazio esistente. Così come è evidente che qualcuno possa pensare che, a un certo punto, possa spuntare una sottotraccia elettorale. Noi pensiamo a proporre delle cose che più possano allargare questo processo e che un domani permetteranno a chiunque abbia la forza e la voglia di fare tutti i ragionamenti e valutare tutte le traiettorie. Ad oggi, crediamo che la questione vada totalmente ribaltata: tutti noi siamo arrivati qua con queste forme perché tutti gli schemi con cui siamo arrivati qua non hanno funzionato. E oggi dobbiamo essere concentrati sull’uscita dal grande riflusso italiano. E’ questo il punto.

Il problema è che siamo arrivati ora a un passaggio di testimone in cui veramente non dipende più da noi. Non è mai dipeso tutto da noi, è certo che dipenderà sempre meno. Noi più che metterla in termini di responsabilizzazione su una possibilità che si è aperta non possiamo fare. Non possiamo più rifare la manifestazione a Firenze sperando di essere 50mila invece di 30mila. Si pone un problema di articolazione territoriale, di interazione con la questione dello sciopero generale e, purtroppo, le dinamiche sono ancora pesantemente arretrate. Noi il 15 porremo proprio questa problematizzazione. Siamo la domanda ma non siamo la soluzione.

«Per questo, per altro, per tutto» è lo slogan proposto per ogni campagna, lotta o soggettività che si riconosca nel processo. In conclusione credo sia utile rileggere il documento che chiama l’assemblea del 15 e tenere presenti le tappe che ci separano dal nuovo «tenetevi liberi», quello dell’autunno. In sintesi, a Campi Bisenzio verrà proposta una Lanciamo una campagna “Fuori dall’emergenza, dentro l’urgenza”, in grado di essere cornice di tutti i ragionamenti di convergenza. Un altro “Insorgiamo tour” si svolgerà in estate, anche con momenti di piazza, per culminare “tenetevi liberi”. «Suggeriamo – si legge – di dar vita a piazze regionali o macroregionali nell’ultimo fine settimana di giugno e nel primo di luglio».

E, ancora: «Guerra e inflazione sono in questo momento un prevalente nella vita di milioni di persone… e dovranno inevitabilmente caratterizzare i primi passi della campagna. Con lo spirito sopra descritto attraverseremo la data del 20 maggio, lo sciopero generale indetto da grossa parte del sindacalismo di base contro la guerra.

Riteniamo che la lotta contro la base militare a Coltano, nel pisano, possa e debba essere un momento di allargamento dell’insorgenza e della convergenza perché in quella vicenda convergono tutti i temi centrali nel 25-26 marzo. E perché lì c’è un territorio che può e deve imporre i propri rapporti di forza. Per questo diamo centralità alla mobilitazione che è in discussione il 2 giugno su questo tema (…) La convergenza si deve tradurre anche nella creazione di una rete di pagine social, di media solidali e alternativi in grado di allargare consenso e conoscenza delle diverse tappe del processo».

👉 INDICAZIONI LOGISTICHE PER L’ASSEMBLEA DEL 15 MAGGIO
👉Per chi non l’avesse ancora fatto, compilare il form di prenotazione. Ci aiuterà a gestire interventi, sedie, cibo ecc https://docs.google.com/…/1CHc8ujdSPt_M1YfW6FbprSan0hh…
👉 Orario assemblea, dalle 10 alle 17 circa
👉 Il luogo è in una tensostruttura all’aperto a Campi Bisenzio. Particolarmente indicato anche per venire con bambini
👉 Mettete sul navigatore, Villa Montalvo, Campi Bisenzio. O ancora meglio questa posizione esatta: https://goo.gl/maps/yKWiuzmBMv9FtGf28
Entrata alla rotonda dell’Asmana da via Salvador Allende, Campi Bisenzio o da via di Limite imboccata da viale Paolieri, Campi Bisenzio.
👉 Uscita A1 Calenzano o uscita Prato Est A11
👉 Mezzi pubblici. Da Prato stazione linea CF. Da Firenze Santa Maria Novella linea Cf o bus 30
👉 Continuare a convergere e insorgere.GKNBozzaProposta15maggio (1)

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