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Che fa l’Australia per proteggere il suo concittadino Assange?

Giorni decisivi per la sorte di Julian Assange dopo il via libera all’estradizione negli Usa da parte di Londra. Il ruolo dell’Australia

«La contraddizione assoluta nella vicenda di Julian Assange è che i mandanti dei massacri di civili in Afghanistan e Iraq documentati da WikiLeaks sono liberi e omaggiati ex presidenti, mentre chi ha disvelato la verità di quelle guerre marcirà in galera per il resto della vita», fa notare da twitter Lorenzo Guadagnucci. «L’obiettivo di Wikileaks, ricercare la verità per conto dell’umanità, è oggi più importante che mai, un obiettivo che continuiamo a perseguire nonostante l’alto prezzo che paghiamo per farlo», ha scritto cinque anni fa proprio Assange ed è più attuale che mai. Ore decisive per la sua sorte. Il nuovo governo australiano, guidato dal laburista Anthony Albanese, insiste sul fatto che non condurrà una “diplomazia con il megafono” mentre affronta le richieste di fare di più – finora non si direbbe che abbia brillato – per impedire l’estradizione del cofondatore di WikiLeaks, cittadino australiano, negli Stati Uniti.

Venerdì 17 giugno, infatti, la ministra dell’Interno britannica, Priti Patel, ha ordinato l’estrazione negli Stati Uniti di Julian Assange, 51 anni il 3 luglio. Il via libera finale da parte della responsabile dell’Home Office, considerato scontato vista la totale sintonia tra UK e USA, arriva dopo che nel Regno Unito era stata completata la procedura giudiziaria sulla scandalosa vicenda dell’attivista australiano che rischia di scontare in un carcere americano una pesantissima condanna, una sorta di condanna a morte occulta, per aver contribuito a diffondere tramite la piattaforma online Wikileaks documenti riservati contenenti soprattutto informazioni su crimini di guerra commessi dalle forze americane in Iraq e Afghanistan.

Sono ore cruciali visto che, a partire da venerdì scorso, Assange ha 14 giorni di tempo per tentare un ultimo appello, contro l’adeguatezza del provvedimento ministeriale, di fronte alla giustizia britannica; e, nel caso di un rigetto (pressoché scontato), di provare a rivolgersi pure alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, organismo che fa capo al Consiglio d’Europa di cui il Regno Unito fa tuttora parte.

I sostenitori del cittadino australiano, anche tra i laburisti, hanno esortato il nuovo primo ministro, Anthony Albanese, a fare più pressione sugli Stati Uniti per far cadere il caso in corso dal 2010.

Il ministro australiano del Lavoro, Tony Burke, ha dichiarato che il governo ritiene che il caso si sia protratto troppo a lungo e che le conversazioni siano in corso. “Non abbiamo intenzione di condurre la diplomazia con il megafono. Questo caso si è protratto per troppo tempo. Lo abbiamo detto all’opposizione e lo abbiamo ripetuto al governo”, ha dichiarato Burke a Sky News domenica.

“La questione deve essere chiusa. L’Australia non è parte in causa nel procedimento giudiziario che si sta svolgendo qui [e] ogni Paese ha il proprio sistema legale”.

“Non sono più i giorni in cui le conversazioni con il governo venivano condotte con il megafono, i messaggi di testo venivano resi pubblici – questo era il modo in cui si comportava il governo precedente. Abbiamo ripreso a costruire relazioni costruttive con i nostri alleati e sono conversazioni che avvengono da governo a governo”.

Il deputato laburista Julian Hill, che ha sostenuto a gran voce Assange, ha definito “spaventosa” la decisione di Patel di approvare l’estradizione e ha paragonato la sua situazione a quella dell’analista dell’esercito Chelsea Manning, fonte della fuga di notizie.

“Manning, che ha fatto trapelare materiale classificato che denunciava i crimini di guerra degli Stati Uniti, è stata graziata, mentre Assange, che lo ha pubblicato (un’attività giornalistica), sta affrontando un’effettiva condanna a morte”, ha dichiarato sabato su Twitter.

“Non ci potrà mai essere una soluzione legale a questo caso. È intrinsecamente politico. I casi politici non dovrebbero mai essere oggetto di estradizione. Dovremmo parlare a favore del nostro collega australiano e chiedere che queste accuse vengano ritirate e che non venga estradato”.

Manning è stata rilasciata nel 2017 dopo che Barack Obama ha commutato la sua condanna a 35 anni di carcere militare in uno dei suoi ultimi atti da presidente.

Il deputato indipendente Andrew Wilkie ha invitato Albanese a fare un appello immediato e diretto al presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e al primo ministro del Regno Unito, Boris Johnson, a nome di Assange.

“Non ho dubbi che Anthony Albanese abbia un’influenza sufficiente sul primo ministro britannico per porre fine a questa situazione, se alzasse il telefono e dicesse: ‘metti fine a questa follia’”, ha dichiarato sabato Wilkie. “Non ho dubbi che Anthony Albanese abbia un rapporto abbastanza buono con Joe Biden da poter alzare il telefono con il presidente degli Stati Uniti e dire: ‘metti fine a questa follia’”.

Karen Percy, presidente federale della divisione media della Media, Entertainment and Arts Alliance, ha dichiarato che la potenziale estradizione di Assange negli Stati Uniti è “un pericoloso attacco al giornalismo internazionale”. “Esortiamo il nuovo governo australiano ad agire per conto di Julian Assange e a fare pressione per il suo rilascio”, ha dichiarato Percy.

L’ex vice primo ministro Barnaby Joyce, che è stato anche un forte sostenitore di Assange, ha detto che il nuovo governo deve fare pressione sugli Stati Uniti per far cadere il caso, affermando di non credere che un approccio diplomatico morbido sarebbe sufficiente per ottenere il suo rilascio.

“Il nuovo governo deve fare una dichiarazione chiara, perché se parla per enigmi non dice nulla”, ha dichiarato Joyce al Guardian Australia. Joyce ha dichiarato che, pur avendo tentato di raccogliere il sostegno per Assange, “ho avuto una posizione diversa da quella del governo precedente”.

In una dichiarazione congiunta di venerdì, il ministro degli Esteri, Penny Wong, e il procuratore generale, Mark Dreyfus, hanno risposto alla sentenza di estradizione. “Continueremo a ribadire le nostre aspettative sul fatto che Assange abbia diritto a un giusto processo, a un trattamento umano ed equo, all’accesso a cure mediche adeguate e al suo team legale”, si legge nella dichiarazione.

“Il governo australiano è stato chiaro nel ritenere che il caso di Assange si sia trascinato troppo a lungo e che debba essere chiuso. “Continueremo a esprimere questa opinione ai governi del Regno Unito e degli Stati Uniti”.

La versione ufficiale di Londra

«In base alla legge sull’estradizione (Extradition Act) del 2003, il ministro è tenuto a firmare l’ordine di estradizione se non ha basi per proibire che esso venga eseguito», si legge in una nota esplicativa diffusa a nome di Patel dall’Home Office, il dicastero dell’Interno britannico. «Il 17 giugno – recita ancora il comunicato – in seguito al giudizio dato sia dalla Corte di primo grado sia dall’Alta Corte, l’estradizione negli Usa del signor Julian Assange à stata quindi ordinata. Il signor Assange conserva tuttavia il diritto di fare appello entro il termine normale di 14 giorni». Il ministero nota in ogni modo come «in questo caso le Corti del Regno Unito non abbiano riscontrato il rischio di abusi, di un trattamento ingiusto od oppressivo contro Assange nell’ambito del processo di estradizione. E neppure hanno riscontrato che negli Stati Uniti egli possa andare incontro a una procedura incompatibile con i suoi diritti umani, incluso il diritto a un processo giusto o alla sua libera espressione», sancendo che «sarà trattato in modo appropriato anche in relazione alla sua salute».

La famiglia di Assange

Le motivazioni formali della ministra non cancellano peraltro le polemiche contro l’intera vicenda della caccia giudiziaria all’attivista australiano, inseguito da Washington da oltre 10 anni. Vicenda denunciata come iniqua e persecutoria da molti sostenitori, da organizzazioni umanitarie come Amnesty International, da agenzie dell’Onu, da alcuni periti medici e da diversi media internazionali.

«Un giorno nero» non solo per la libertà d’informazione, ma anche per la «democrazia britannica», denuncia Stella Morris, avvocata sudafricana specialista in diritti umani che ha dato due figli a Julian Assange durante gli anni del suo asilo nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e lo ha poi sposato nei mesi scorsi nel carcere londinese di Belmarsh, «Chiunque in questo Paese abbia a cuore la libertà di espressione, dovrebbe vergognarsi profondamente» dell’approvazione sancita da Patel dell’estradizione agli Usa, «un Paese che ha complottato per assassinarlo», ha detto Morris. «Julian non ha fatto nulla di sbagliato, è un giornalista ed editore punito per aver fatto il suo dovere» rivelando documenti riservati e informazioni imbarazzanti su atti compiuti da vari Stati, Usa compresi. «Priti Patel aveva il potere di fare la cosa giusta, invece sarà ricordata come complice degli Stati Uniti, del loro progetto di trasformare il giornalismo investigativo in un’impresa criminale», ha aggiunto. Secondo Morris, comunque, anche se «la strada verso la libertà di Julian si fa lunga e tortuosa», la battaglia «non finisce qua»: a partire «dall’appello che riproporremo all’Alta Corte» di Londra e dall’organizzazione di proteste di piazza. «Non vi sbagliate – conclude l’avvocato sudafricana -, questo è sempre stato un caso politico, non legale. (Una vendetta per il fatto che) Julian ha pubblicato prove sui crimini di guerra, le torture, la corruzione di funzionari stranieri commessi dal Paese che sta cercando di farselo consegnare».

Amnesty e Mélenchon

«Consentire che Julian Assange venga estradato negli Stati Uniti significherebbe esporre lui a un grande rischio e mandare un messaggio agghiacciante ai giornalisti di tutto il mondo», avverte Agnes Callamard, segretaria generale di Amnesty International. Callamard bolla come insufficienti e non credibili le rassicurazioni diplomatiche degli Usa di risparmiare ad Assange «l’isolamento prolungato in carcere, cosa che violerebbe il divieto di tortura e di maltrattamento» dei detenuti, dati «i precedenti della storia giudiziaria» americana: anche recente. Per questo Amnesty, a nome di varie organizzazioni umanitarie, rilancia l’appello al Regno Unito di rinunciare a procedere all’estradizione di Julian Assange agli Usa stessi di ritirare le accuse contro di lui e, in generale, di garantire che Assange sia rimesso in libertà.

«La decisione del governo di Londra di consentire l’estradizione di Julian Assange negli Usa è un attacco alla libertà di informare. Assange, che negli Stati Uniti rischia fino a 175 anni di carcere, ha semplicemente divulgato documenti relativi a questioni di grande interesse pubblico. E’ grave che la ministra dell’Interno britannica Priti Patel non ne abbia tenuto conto. La sua decisione rappresenta un precedente pericoloso e poco edificante per qualsiasi Paese che si professi democratico», ha detto anche in una nota, Raffaele Lorusso, segretario generale della Federazione nazionale della Stampa italiana. Martedì 21 giugno, alle 15.30, si terrà nella sede Fnsi a Roma una iniziativa a sostegno della campagna FreeAssange.

La vicenda irrompe nella campagna elettorale in Francia dove Jean-Luc Mélenchon dice che se dovesse diventare primo ministro darà la «naturalizzazione francese» a Julian Assange.

Chiudiamo con un’altra citazione del fondatore di Wikileaks: «La liberazione del popolo dipende dalla liberazione delle sue menti. Per questo, abbiamo bisogno che sforzi rivoluzionari pacifici come Wikileaks fioriscano in tutto il mondo. Per questo motivo dobbiamo fermare la persecuzione di WikiLeaks e dei suoi collaboratori».

Clicca qui per restare aggiornati sulla campagna per la liberazione di Assange

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