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Raimo: «Ecco perché mi sono dimesso»

Lo scrittore spiega perché lascia l’incarico di assessore alla Cultura nel Municipio III di Roma [Christian Raimo]

Ho preso una piccola decisione. C’ho pensato molto, e alla fine ho pensato che fosse giusto dimettermi dal mio ruolo di assessore alla cultura del terzo municipio. Non è una decisione affrettata, ne ho discusso a lungo con il presidente del municipio Paolo Marchionne e con tantissimǝ altrǝ, che ringrazio. La ragione è semplice: non riesco più a prendermi cura di questo compito come vorrei e come ho cercato davvero di fare per moltissimo tempo, ossia con una presenza e una dedizione piena, che è quella che serve quando si fa politica, per rispetto delle persone che lavorano con te ma soprattutto delle persone per cui a un certo punto diventi un riferimento, al di là dei voti e delle nomine.
Non vuol dire che smetto di fare politica attiva, anzi. Ma ho pensato che voglio dedicarmi di più e meglio – una presenza e dedizione piena – all’impegno per chi ha meno possibilità, e vorrei farlo attraverso l’impegno nella scuola: insegnando tutti i giorni, scrivendo, organizzando, occupandomi come posso e quanto posso della politica e della riflessione educativa. Ce n’è bisogno ora, molto, mi sembra; ce ne è ancora più bisogno dopo il 25 settembre.
Sono stati quattro anni bellissimi? Sì, sfiancanti e molto belli. Ho immaginato che si potesse fare politica in un municipio, da assessore alla cultura, non semplicemente organizzando iniziative e preparando bandi, ma con un ideale di pedagogia pubblica permanente, dentro e fuori le istituzioni. Lə compagnə di Grande come una città sono statə e sono una delle cose più belle che mi sia mai capitato di incontrare, le due giunte sono state comunità di pensiero prima ancora che di lavoro da cui ho imparato molto. Ogni volta che ho conosciuto persone nuove in terzo municipio – dai librai alle bibliotecarie, dai commercianti alimentari alle dirigenti scolastici, dagli organizzatori di serate alle studentesse in occupazione – ho pensato la stessa cosa: come possiamo formarci insieme? Come possiamo diventare insieme cittadinə migliori e come questa relazione può riflettersi per migliorare anche la vita degli altri?
Non è stato mai facile. Quello che soprattutto non funziona a Roma non è in carico alle persone di buona volontà, ma a una macchina amministrativa spesso incredibilmente sbalestrata, alle rendite di posizione di chi pensa che la politica sia un posto di lavoro che al tempo della disoccupazione al 15 per cento buttalo via, a chi non studia, agli arresi. Le idee migliori che mi sembra di aver avuto in questi anni mi sono venute leggendo, e quindi sono contento che quattro anni fa non c’erano il bibliopoint di Fidene, l’aula studio Giulio Regeni, e la biblioteca Troiano, e ora ci sono, sono luoghi vissuti e cresceranno.
Non c’è una sola cosa che abbia fatto come assessore – è scontato dirlo – che abbia fatto da solo. Molto spesso non si è trattato nemmeno di collaborazioni, alleanze, confronti, ma anche soltanto di avere come modello il lavoro o la dedizione di altri.
Più si vive in un tempo di meschinità, più c’è da amare la generosità, e da riconoscere quanto sia fondamentale avere degli esempi. Ero un ragazzino quando incontravo in ogni manifestazione o presidio instancabile Dino Frisullo; ho pensato all’instacabilità di Alessandro Leogrande nel partecipare a iniziative in giro per l’Italia e nel riflettere sulla dimensione sempre politica delle cose che accadono; ho ammirato negli ultimi anni, compresa la pandemia, l’impegno per i migranti e i poveri di Matteo Noè.
Ho deciso di fare politica più attivamente dopo lo sgombero del 2017 a piazza Indipendenza. Oggi quel palazzo a via Curtatone è occupato non più da famiglie di profughi, ma da una palestra della Virgin.
Questo è il principale problema di Roma: non il traffico, i rifiuti, i cinghiali, o i topi, ma la ferocia contro i più deboli, per i quali il disastro amministrativo diventa non un tema di indignazione, ma letteralmente una questione di vita o di morte. Non esiste in questa città un allarme sicurezza, come invece tutti i giorni urlano le cronache dei quotidiani, ma esiste una spesso brutale arroganza da parte dei privati nei confronti del pubblico: in questi anni ho dovuto assistere inerme allo sgombero di spazi sociali, come il Nuovo Cinema Palazzo San lorenzo per le vilissime ragioni di un mobiliere, e ho visto lasciare quello spazio deserto, cosa che ha contribuito a rendere San Lorenzo un posto più triste, e le persone che lo abitano più sole. La stessa cosa accadrà il 31 ottobre a Scup Sportculturapopolare; in questo l’interlocutore che non parla è Rfi. E la principale ragione per cui la politica è svilita in questa città è che nella maggior parte dei casi contano più i cda delle aziende (spesso partecipate pubbliche) che le comunità politiche o gli organi politici eletti dai cittadini.
Sono contento di aver pensato il mio lavoro come parte piccola di un’altra parte meno piccola di un tutto. Il tessuto democratico è fatto di molti fili e di un continuo laborio di cucitura. “Nessuno libera nessuno, nessuno si libera da solo: ci si libera insieme”, dice Paulo Freire, “Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo”. Questo vuol dire per me fare politica in municipio, o in una città come Roma: avere a che fare con la mediazione del mondo.
Roma è una città multiculturale, internazionale, conflittuale, imprevedibile, viva, e non c’è stata una battaglia nel terzo municipio che non abbia condiviso con altrǝ, con le intelligenze di quelle compagne e di quei compagni che sono l’espressione di una comunità larga di questi quartieri: antifascista, democratica, generosa.
Mi piacerebbe restituire l’esperienza di questi anni, anche pubblicamente, e ci saranno occasioni anche prossime, non solo per ringraziare, per immaginare insieme le cose nuove che si possono costruire.
(Poi, certo ci sono le persone che mi hanno voluto bene e molto bene, non poche, che credono in quella cosa semplice che è cambiare il mondo, a quellə va un ringraziamento sperticato; è veramente difficile stare vicino a chi fa politica in modo professionale e/o militante).

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