Roma Capitale, le elezioni per le Rsu consacrano i sindacati “pop”

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Un commento sulla recente tornata elettorale delle rappresentanze sindacali del Comune di Roma [Gianni Carravetta]

Il raffronto tra le ultime tornate elettorali delle RSU presso Roma Capitale evidenzia un dato su tutti: i dipendenti capitolini sono convinti fautori del sindacalismo confederale! I risultati delle ultime elezioni, infatti, rafforzano la maggioranza di CISL, UIL e CGIL con una percentuale di consensi senza precedenti, superiore all’86%. Tutt’e tre le Organizzazioni guadagnano voti. La UIL ottiene addirittura 1.110 voti in più! Straordinario anche il numero di preferenze attribuite ai due maggiori contendenti in campo, quasi 1.400 al capolista CISL e oltre 1.100 a quello della UIL; si tratta di numeri incredibili per l’elezione dei componenti di una RSU, numeri che testimoniano la polarizzazione del voto per la contesa della leadership all’interno dell’enclave confederale nel Comune di Roma.

Al contrario, è stabile nel tempo la percentuale dei votanti che si attesta intorno al 70%, mentre diminuisce il numero dei dipendenti/elettori che scende sotto la soglia dei 24mila (al netto di circa 500 rapporti di lavoro precari della scuola).

La sequenza di risultati a disposizione rappresenta ormai una serie storica, giacché registra una tendenza decennale: nel Comune di Roma, dal 2015 al 2025, le grandi centrali sindacali marciano senza sosta verso l’alto, passando dal 70% del 2015 all’86% del 2025, invece il sindacalismo autonomo e, per quanto ci riguarda, quello autorganizzato languono appiattiti verso il basso. Ci troviamo di fronte ad una consacrazione elettorale che non conosce paragoni in ambito sindacale e politico, poiché nessuna forza di maggioranza, tra quelle che governano apparati di Stato, di Enti territoriali o di intermediazione sociale, ha visto consolidare le proprie posizioni nel corso dell’ultimo decennio in maniera così costante e crescente. I picchi di consensi, anche a livello individuale, raggiunti nell’ultima tornata elettorale ingigantiscono un fenomeno già di per sé eclatante.

All’esito delle elezioni del 2022 scrivemmo che “…il mondo capitolino sembra essersi cristallizzato nel tempo. Gli individualismi e i particolarismi, che connotano il contesto lavorativo, producono una struttura di senso fondata sugli equilibri di potere esistenti e sul falso universalismo dei canoni predominanti nel regime di relazioni sindacali. Dunque, il fortissimo malcontento che serpeggia tra i dipendenti capitolini non si tramuta ancora in dissenso, si trasforma in disillusione e si incanala nei solidi margini della conservazione”.

Possiamo aggiungere che l’assenza prolungata di conflitto ha ormai generato un’inerzia assoluta; l’arrivo di schiere di neoassunti, chiamati a coprire i vuoti d’organico e irretiti nelle maglie del proselitismo sindacale ancor prima di entrare nei ruoli, può aver giocato un ruolo importante per il trionfo delle sigle confederali. In ogni caso, prevale la sensazione di aver raggiunto un equilibrio definitivo, una pace sociale sorretta dalla convinzione diffusa di poter delegare alle grandi burocrazie sindacali la tutela dei propri interessi particolari, rinunciando alla prospettiva di un miglioramento complessivo del proprio status di dipendenti pubblici. I fortissimi segnali di un disagio profondo provenienti dal personale, rispetto al pessimo clima lavorativo, alle scarse opportunità di carriera o alle basse retribuzioni, si spengono nel momento in cui si decide la sorte collettiva.

Eppure, ai più non sarebbe dovuto sfuggire il fatto che il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro patito negli ultimi decenni è direttamente collegato ai meccanismi di contrattazione collettiva a livello nazionale e decentrato di cui sono propugnatori e severi custodi i vertici delle organizzazioni maggioritarie, che concorrono così al declino di cui sono vittime i loro elettori. Siamo al cospetto della consacrazione definitiva dei sindacati “pop”, plasticamente suggellata nella consueta kermesse del 1° maggio, i quali sono in grado di esercitare un’egemonia culturale di massa, priva di particolari connotazioni e di immediata fruizione.

Tale constatazione è rafforzata dall’evidenza del peso vieppiù irrilevante della contrattazione, che ora agisce all’interno di un regime di regole che affida alle fonti legislative o regolamentari il compito di disciplinare il rapporto di lavoro pubblico in tutti i suoi aspetti, sia economici sia giuridici, lasciando al confronto sindacale un ridottissimo ambito di iniziativa, un’appendice in cui trovano spazio solo pulsioni neocorporative e l’omologazione burocratica delle (sempre più) fievoli istanze di miglioramento. Nel Comune di Roma è stata dunque avallata l’idea di un sindacato che non serve alla difesa e alla conquista di diritti collettivi, ma all’elargizione di promesse, favori e servizi.

Nonostante la perdita di consensi, tuttavia, sopravvive l’idea di una forma di sindacalismo alternativa, fondata sull’adesione volontaria e senza contropartite ad un’organizzazione priva di apparati e direttamente controllabile dalla base. La nostra passione civile e il nostro spirito critico saranno comunque a disposizione di chi vorrà ancora tentare di percorrere l’impervia strada del cambiamento.

Gianni Carravetta è Rsu COBAS PI Roma Capitale

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