Omicidio Scieri, condanne confermate in Cassazione

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Due ex caporali della Folgore condannati a 22 anni e a 9 anni e 9 mesi per l’omicidio volontario del commilitone Emanuele Scieri

La Corte di Cassazione ha confermato in via definitiva le condanne per omicidio volontario degli ex caporali della Brigata Paracadutisti “Folgore” accusati dell’omicidio del commilitone Emanuele Scieri. 22 anni per Alessandro Panella e 9 anni, 9 mesi e 10 giorni per Luigi Zabara.

Il cadavere di Scieri, un soldato di leva, era stato trovato nella caserma Gamerra di Pisa il 16 agosto del 1999. Secondo la ricostruzione della procura di Pisa, Scieri fu vittima di gravi atti di nonnismo: dopo averlo fatto spogliare e picchiato, Panella e Zabara costrinsero il commilitone a salire sulla cosiddetta “torre di asciugatura” dei paracadute. Nel tentativo di scappare, mentre gli venivano schiacciate le nocche con gli scarponi, Scieri era caduto dalla torre. Il procuratore Alessandro Crini che guidò le indagini spiegò che ci sarebbe stato «il tempo per soccorrere Emanuele e per questo contestiamo l’omicidio volontario. Il giovane è stato lasciato agonizzante a terra».

Una storia di ventisei anni fa. E ventisei anni aveva allora il parà di leva ucciso. Scattò immediatamente il depistaggio, dal comandante della Folgore al cappellano si sbracciarono tutti a giurare che la caserma era un’«isola felice». Solo gli amici di Scieri, i suoi familiari, e i rarissimi militari ed ex militari legati alla stagione delle lotte per la democratizzazione per le forze armate avrebbero provato a cercare verità e giustizia. Che la morte di Scieri fosse stata avvenuta in un ambiente dominato dal nonnismo dove le responsabilità sono state coperte per anni dalla catena di comando fu anche la conclusione cui era giunta la Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso nel 2018 grazie alla quale venne riaperto il caso.

«Gli elementi da noi riscontrati dopo aver acquisito quasi seimila pagine di documenti e svolto 45 audizioni – le parole della presidente della Commissione, Sofia Amoddio (Pd) – consentono di escludere categoricamente la tesi del suicidio o di una prova di forza alla quale si voleva sottoporre Emanuele scalando la torretta, tesi che nel ’99 la catena di comando della Folgore suggerì alla magistratura. La consulenza cinematica di tecnici specializzati ha accertato che la presenza di una delle sue scarpe ritrovata troppo distante dal cadavere, la ferita sul dorso del piede sinistro e sul polpaccio sinistro sono del tutto incompatibili con una caduta dalla scala e mostrano chiaramente che Scieri è stato aggredito prima di salire sulla scaletta». La commissione ha fatto dunque emergere «le falle e le distorsioni di un sistema disciplinare fuori controllo ed ha rintracciato elementi di responsabilità».

A quelle audizioni, nell’autunno del 2016, prese parte anche Mario Ciancarella, ufficiale democratico radiato dall’aeronautica militare per il suo attivismo nella controinchiesta su Ustica. Una telefonata anonima gli aveva descritto fedelmente la scena e la dinamica del delitto. Cercò di farmi interrogare ma gli sarebbe riuscito solo nel febbraio del 2000 e a luglio dello stesso anno fu perfino arrestato. Otto giorni nel carcere di Pisa con l’accusa infamante di sciacallaggio nei confronti della famiglia Scieri. Sarebbe stato prosciolto solo dopo cinque processi e finalmente ascoltato dalla commissione parlamentare.

«Forse sono stati indagati i responsabili materiali – disse – ma qualcun altro potrebbe aver ordinato quel trattamento a Scieri. Vorrei ricordare che nello Zibaldone c’erano precise minacce ai “cani morti” che si opponevano agli istruttori».

Lo Zibaldone era un inquietante libello del generale Celentano, diffuso il 18 dicembre del ’98. Antesignano del Mondo alla Rovescia (il best seller di Vannacci) l’allora capo della Folgore lo aveva fatto stampare su carta intestata del “Comando Brigata” protocollato e spedito a tutti i comandi paracadutisti della Toscana. Non si tratta dunque di un centinaio di fogli clandestini, ma di un documento ufficiale dell’Esercito italiano dove a fianco della spiegazione delle torture nonniste (per esempio: “bicicletta: alcol spruzzato sui piedi e incendiato”; “sbrandamento: il militare che dorme viene scaraventato a terra”) Celentano forniva numerosi spunti di riflessione (sempre per fare qualche esempio: l’Italia finisce in “Padania”, il resto è “continente nero”, i terroni devono morire; i ministri sono incapaci, i neocomunisti distruggono la gerarchia con l’obiezione di coscienza; e così via).

Si legge su “Costruire guerrieri”, prezioso saggio di due sociologi, Saitta e Barnao, sulla costruzione di “personalità autoritarie e fascistoidi” nei corpi speciali: «Chi non si affida agli istruttori è considerato un “nulla”, un “mostro”, un “cane morto”, e rischia di rimanere solo. È in questa fase, in questa terra di nessuno in cui unico riferimento sembra essere l’istruttore, che possono emergere rituali nuovi, talvolta molto violenti. La misteriosa uccisione dell’allievo paracadutista Emanuele Scieri si è verificata in questa fase dell’addestramento. Si è trattato di un evento che si può ipotizzare sia avvenuto durante un rituale violento e pericoloso imposto da qualche figura autoritaria emergente del gruppo primario. La fase di transizione è una fase che possiamo chiamare di vero e proprio darwinismo militare: solo coloro che più si affidano al controllo e alla protezione degli istruttori riescono ad attraversare incolumi questa fase».

Il caso Scieri era solo il più grave di una lunga, infinita, serie. Due episodi erano costati il posto al comandante Nardi nell’aprile dell’anno precedente e avevano riproposto l’emergenza Folgore. Nel ’97 il diario di un maresciallo dei granatieri aveva denunciato il coinvolgimento di uomini della Folgore nelle torture di civili somali nel corso della missione “umanitaria” Restore Hope. Le fotografie dei somali incaprettati furono pubblicate dal settimanale “Epoca”. Una lunga manifestazione aveva percorso le strade di Pisa chiedendo lo scioglimento del reparto da sempre al top nell’immaginario della fascisteria nostrana.

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Checchino Antonini
Checchino Antonini quasi sociologo, giornalista e scrittore, classe 1962. Dagli anni Ottanta segue e racconta i movimenti sociali e la “malapolizia”. Ha scritto e trasmesso su Radio Città Futura, TeleAmbiente, Avvenimenti, Ultime Notizie, Liberazione, Micromega, Erre e Megafono quotidiano, InsideArt, Globalist, PostIt Roma, Retisolidali, Left, il manifesto, Diogene. Ha pubblicato, con Alessio Spataro, “Zona del silenzio”, graphic novel sul caso Aldrovandi. Con le edizioni Alegre ha scritto “Scuola Diaz vergogna di Stato” assieme a Dario Rossi e “Baro” Barilli. Il suo primo libro è Zona Gialla, le prospettive dei social forum (Fratelli Frilli, 2002). L'ultimo, per ora, è un'antologia di racconti di Gabriele Brundo che lui ha ideato e curato assieme a Rimaflow e Archivi della Resistenza: Cocktail Partigiani (ETS, Pisa)

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