I lavoratori del Belgio dichiarano guerra all’Arizona

0
530

L’austerità elettrizza il mondo del lavoro: oltre 100mila in piazza a Bruxelles contro l’accelerazione nella trasformazione neoliberale

Martedì 14 ottobre, a metà mattina, ondate di giubbotti verdi e rossi hanno invaso le scale della Gare du Nord di Bruxelles. Li indossavano i membri dei sindacati cristiani e socialisti, uniti in un fronte comune per protestare nella capitale federale contro le misure di austerità, già adottate o annunciate, dai diversi livelli di governo del Belgio.

Impressionante per ampiezza e varietà, il corteo ha superato le barriere linguistiche e generazionali, riunendo lavoratori e lavoratrici di tutti i settori. «Eravamo 140.000 oggi nelle strade di Bruxelles, per manifestare contro l’Arizona. Una mobilitazione storica, che lancia un segnale chiaro: la rabbia contro il massacro sociale in corso non si indebolisce, ma cresce», si legge sui social di Gauche Anticapitaliste, la sezione belga della Quarta Internazionale che propone al movimento di dotarsi subito di un vero piano d’azione che colleghi le mobilitazioni locali e nazionali «con l’obiettivo chiaro di far cadere questo governo di fanatici».

Spiega l’organizzazione belga che «sostenuto dall’UE, il governo De Wever strumentalizza il debito pubblico e il deficit di bilancio per smantellare le conquiste sociali. Dopo gli attacchi alle indennità di disoccupazione, ora colpisce le pensioni e le indennità di malattia (…) Questo governo vuole un grande balzo all’indietro nelle nostre condizioni di lavoro. Con la generalizzazione del lavoro notturno, gli orari di 12 ore al giorno e 50 ore alla settimana, e la soppressione dei bonus notturni (nel commercio e nella logistica), il governo vuole riportarci indietro di un secolo! La flessibilità estrema del lavoro, così come la repressione razzista contro migranti e richiedenti asilo, non faranno che aggravare le divisioni».

Tutto ciò non senza dosi da cavallo di repressione: «il disegno di legge Quintin, che autorizza la dissoluzione amministrativa di organizzazioni che non hanno commesso alcun reato, rappresenta una deriva autoritaria che oggi prende di mira il movimento ecologista, l’antifascismo e la solidarietà con la Palestina — e che domani minaccia tutto il movimento sociale! – avverte il comunicato di Gauche Anticapitaliste – l’offensiva dell’Arizona è solo l’inizio: il deficit continua a crescere come previsto e sarà il pretesto del governo per intensificare il bagno di sangue sociale nei prossimi anni».

L’Arizona è la coalizione di governo, indicata così per via che i colori della bandiera dello Stato americano — rosso, blu, giallo e arancione — corrispondono a quelli dei partiti attualmente al potere: i socialisti fiamminghi di Vooruit, i liberali del MR e dell’Open VLD, i nazionalisti fiamminghi della N-VA e la componente democristiana dei Les Engagés.

Citata dal media indipendente francese, Mediapart, Zoé Évrard, ricercatrice post-doc all’Università cattolica di Lovanio, definisce l’attuale momento come un’“accelerazione” della traiettoria neoliberale del Paese.

Dal lato del governo, si invocano gli impegni europei e il livello del debito pubblico (vicino a quello della Francia, al 107% del PIL). In quattro anni, l’esecutivo punta a risparmiare oltre venti miliardi di euro. Ma, come in Francia, questa retorica è indebolita da due elementi.

Da una parte, il capitale è risparmiato da qualsiasi sforzo significativo, e le imprese private continuano a ricevere massicci aiuti pubblici dai risultati discutibili, come ha recentemente documentato un gruppo di economisti critici. Dall’altra, sembrano esserci margini di manovra per aumentare le spese militari: una coincidenza vuole che i primi, costosissimi, aerei da combattimento F-35 acquistati dagli Stati Uniti siano arrivati lunedì sul suolo belga.

Durante la manifestazione, tre nomi ricorrevano con insistenza su cartelli e slogan. Quello di De Wever, ovviamente, ritratto come un macellaio armato di motosega o accusato di “furto delle pensioni”. Storicamente vicino al padronato fiammingo, è il principale responsabile di una politica economica i cui effetti restrittivi peseranno soprattutto sulle collettività e i gruppi sociali francofoni. Alla vigilia della mobilitazione di martedì, il primo ministro ha pubblicato un tweet per il centenario di Margaret Thatcher, affermando che “risuonano ancora” le sue parole sull’assenza di alternative alla sua politica ostile ai lavoratori e alle lavoratrici comuni.

Poi quello del socialista fiammingo Conner Rousseau, unica garanzia “di sinistra” della coalizione. Il suo spostamento verso destra è evidente: ha difeso personalmente la violenta riforma dell’assicurazione contro la disoccupazione. Ma nel corteo, dove i francofoni erano numerosi, era il liberale Georges-Louis Bouchez, leader del Mouvement Réformateur (MR), a suscitare i fischi più intensi.

Anche se le decisioni ufficiali sono attese solo per la prossima settimana, i motivi per scendere in piazza non mancavano. Tra le misure già votate, c’è una riforma che limita a due anni il diritto all’assicurazione contro la disoccupazione: entrerà in vigore il 1° gennaio e spingerà migliaia di persone verso strutture di assistenza già sovraccariche.

Ci sono poi le misure note del programma di coalizione, come la restrizione dei canali che consentono di accedere a una pensione anticipata e dignitosa prima dei 67 anni. E infine ci sono i “ballons d’essai”, proposte ancora incerte ma foriere di preoccupazioni, come quella di De Wever di una sospensione temporanea dell’indicizzazione dei salari all’inflazione – sorta di scala mobile ancora esistente in Belgio, imperfetto ma tuttavia protettivo di fronte all’aumento dei prezzi.

Qualcuno si domanda se Bouchez non stia correndo un rischio elettorale, poiché il suo partito esiste solo nello spazio elettorale francofono, dove si trovano proprio le principali vittime delle prossime manovre di bilancio ma, nel sistema belga, il suo obiettivo non è tanto massimizzare i voti, quanto consolidare il 30% in Vallonia per poi associarsi ad altri partiti in una coalizione federale.

Non è la prima volta che il Belgio si confronta con misure di austerità e programmi neoliberali. Ciò che oggi è più raro è la quasi totale assenza di contropoteri capaci di temperare o almeno negoziare la messa in discussione dello Stato sociale.

Infatti, a parte i socialisti fiamminghi di Vooruit, che in realtà è un partito centrista, la sinistra è assente tanto dal governo federale quanto da quelli regionali. Il PS francofono attraversa una dura fase d’opposizione. Non solo è storicamente debole, ma subisce anche una concorrenza elettorale inedita alla sua sinistra. La sinistra radicale del Parti du travail de Belgique (PTB), molto presente nelle mobilitazioni sociali, gli rimprovera volentieri le sue passate compromissioni.

«Ciò che è davvero nuovo nella configurazione attuale – spiega il politologo Arthur Borriello dell’Università di Namur, interpellato anche lui da Mediapart – è anche la debolezza del movimento sociale e dei “pilastri” [reti di organizzazioni che condividevano una stessa base ideologica]. Gli attori politici, soprattutto quelli al governo, sono ormai sempre più scollegati dalle organizzazioni sindacali o mutualistiche con cui un tempo erano intrecciati».

È il caso di Les Engagés, eredi della democrazia cristiana e membri dell’Arizona. Alcuni li considerano un anello debole, potenzialmente critico verso le scelte di austerità in contrasto con gli slogan della campagna elettorale, ma il partito si è ormai allontanato dal sindacalismo cristiano. Sul fronte dell’opposizione, anche il PS marca la propria indipendenza rispetto alla centrale sindacale socialista FGTB, secondo Borriello «la sua forza di mobilitazione si è erosa a causa della burocratizzazione, e non ha più alcun canale politico al potere».

Soprattutto, il principale partito della coalizione al governo, la N-VA di Bart De Wever, non appartiene a nessuno dei pilastri storici del Paese. «I nazionalisti fiamminghi sono neoliberali puri, senza legami con la società civile organizzata», conferma Zoé Évrard.

Come in altri paesi occidentali, la prima svolta duratura verso la rimercificazione della produzione e delle relazioni sociali risale all’inizio degli anni Ottanta quando la formazione del cosiddetto governo Martens-Gol, nel dicembre 1981, segna un cambio di alleanza dei socialcristiani al potere, che fanno allora del ripristino dei profitti delle imprese un obiettivo centrale utilizzando poteri speciali, in una sorta di eccezionalismo di crisi.»

Gli anni Novanta sono caratterizzati da una consolidazione delle politiche economiche neoliberali, questa volta con il coinvolgimento del campo socialista in un contesto segnato dall’esigenza di rispettare i criteri di Maastricht per partecipare all’unione economica e monetaria. È in questo periodo che avviene la maggior parte delle privatizzazioni. Questa fase di consolidamento ottiene un ampio sostegno tra le élite economiche belghe, ma si osserva anche una forte ambiguità nel mondo sindacale (vi ricorda qualcosa?), che ottiene alcune concessioni in cambio di una canalizzazione delle proteste.

Con l’offensiva attuale, il neoliberismo governativo si fa più brutale, meno negoziato, e provoca peraltro la ricostituzione di un fronte sindacale unito.
«Si stanno superando nuove soglie», conferma Damien Piron, collega della ricercatrice, che mette in guardia sul rischio che le decisioni federali scarichino costi insostenibili sulle entità federate. Ciò potrebbe, in un secondo momento, generare una richiesta di rifinanziamento da parte delle regioni più fragili — richiesta che i nazionalisti fiamminghi accetterebbero solo in cambio di un ulteriore smantellamento delle competenze dello Stato belga.

In gioco, dunque, c’è ben più delle scelte di bilancio del governo per l’anno prossimo: è la specificità del modello politico ed economico belga che rischia di essere profondamente alterata dallo scontro previsto per questo autunno.

 

Previous articleOmicidio Scieri, condanne confermate in Cassazione
Next articleIl mito del compromesso storico cancella gli anni ’70
Checchino Antonini
Checchino Antonini quasi sociologo, giornalista e scrittore, classe 1962. Dagli anni Ottanta segue e racconta i movimenti sociali e la “malapolizia”. Ha scritto e trasmesso su Radio Città Futura, TeleAmbiente, Avvenimenti, Ultime Notizie, Liberazione, Micromega, Erre e Megafono quotidiano, InsideArt, Globalist, PostIt Roma, Retisolidali, Left, il manifesto, Diogene. Ha pubblicato, con Alessio Spataro, “Zona del silenzio”, graphic novel sul caso Aldrovandi. Con le edizioni Alegre ha scritto “Scuola Diaz vergogna di Stato” assieme a Dario Rossi e “Baro” Barilli. Il suo primo libro è Zona Gialla, le prospettive dei social forum (Fratelli Frilli, 2002). L'ultimo, per ora, è un'antologia di racconti di Gabriele Brundo che lui ha ideato e curato assieme a Rimaflow e Archivi della Resistenza: Cocktail Partigiani (ETS, Pisa)

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.