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Brian Eno su Gaza: «Come potete giustificare immagini come questa»?

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Quando il musicista Brian Eno ha visto una foto di un uomo palestinese che trasportava i resti di suo figlio morto in un sacchetto di plastica, si è deciso a scrivere una lettera aperta ai suoi amici americani, chiedendo loro di spiegare il sostegno incondizionato del loro paese ad Israele.

Riportiamo la lettera aperta del musicista inglese ai suoi amici americani, pubblicata sul quotidiano britannico The Indipendent. (Traduzione di Giuseppe Villella)

di Brian Eno

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Cari tutti,
Mi rendo conto che sto rompendo una regola con questa lettera, ma non posso più stare zitto.
Oggi ho visto una foto di un palestinese in lacrime che reggeva una busta di plastica con carne dentro. Era suo figlio. Era stato fatto a brandelli (parola dell’ospedale) da un attacco missilistico israeliano – che a quanto pare utilizzava la sua nuova favolosa arma, bombe freccette. Probabilmente saprete che queste sono centinaia di piccoli dardi d’acciaio riempite d’esplosivo che strappano via la pelle umana. Il ragazzo si chiamava Mohammed Khalaf al-Nawasra. Aveva 4 anni.

Improvvisamente mi sono ritrovato a pensare che ci poteva essere uno dei miei figli in quella busta, e quel pensiero mi ha sconvolto più di ogni altra cosa da tanto tempo.

Quindi ho letto che le Nazioni Unite hanno detto che Israele potrebbe essere colpevole di crimini di guerra a Gaza, e che vogliono attivare una commissione per questo. L’America non firmerà a favore.

Cosa sta succedendo in America? Io so da mia diretta esperienza quanto possono essere tendenziose le vostre notizie, e quanto poco si riesce a sentire dell’altra campana. Ma – Per l’amor di Dio! – non è così difficile da scoprire. Perché l’America continua a supportare ciecamente questo esercizio unilaterale di pulizia etnica? PERCHE’? Io davvero non lo capisco. Io odio pensare che è solo per il potere dell’Aipac (Il Comitato per gli Affari Pubblici Israelo Americano)… poiché se è questo il motivo, allora il vostro governo è fondamentalmente corrotto. No, io non penso che sia questo il motivo… ma non ho idea di quale possa essere. L’America che io conosco e che amo è compassionevole, aperta mentalmente, creativa, eclettica, tollerante e generosa. Voi, miei intimi amici americani, simboleggiate tutte queste cose per me. Ma quale America sta affiancando questa terribile guerra coloniale unilaterale? Non riesco a capirlo: io so che ci sono altre persone come voi, allora perché queste voci non vengono ascoltate o registrate? Come mai non è al vostro spirito che la maggior parte del mondo pensa quando sente la parola “America”? Quanto sembra brutto quando la nazione che più di ogni altra fonda la sua identità sui concetti di Libertà e Democrazia invece va a mettere i suoi soldi esattamente dove non ci sono e sostiene una violenta teocrazia razzista?

Ero in Israele lo scorso anno con Mary (un’amica comune). Sua sorella lavora per la Unrwa (l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi) a Gerusalemme. A farci da guida erano un Palestinese – Shadi, che è il marito di sua sorella e guida professionista – e Oren Jacobovitch, Ebreo isreliano, ex maggiore dell’Idf (Forze di difesa israeliane) che ha lasciato il servizio per essersi rifiutato di picchiare un Palestinese. Insieme ai due abbiamo potuto vedere scene strazianti – case palestinesi cinte da reti di filo spinato e confini per impedire ai coloni di lanciare merda, piscio e assorbenti usati verso gli abitanti; bambini palestinesi che sulla strada per andare a scuola venivano picchiati da bambini israeliani con mazze da baseball tra gli applausi e le risate dei genitori; un intero villaggio sfrattato che viveva in caverne mentre tre famiglie di coloni si stabilivano nelle loro terre. Uno stanziamento israeliano in cima a una collina che scaricava i suoi liquami verso le fattorie palestinesi in basso; Il Muro; i checkpoint… e tutte le infinite umiliazioni giornaliere. Ho continuato a pensare “Gli americani davvero giustificano tutto questo? Davvero pensano che sia giusto? O forse non sanno niente?”

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Per quanto riguarda il Processo di Pace: Israele vuole il Processo ma non la Pace. Mentre il “processo” va avanti, i coloni continuano ad arraffare terra e a costruire i loro stanziamenti… e quando i Palestinesi alla fine fanno scoppiare i loro patetici fuochi artificiali, vengono martellati e fatti a brandelli con missili all’avanguardia e con bombe all’uranio impoverito perché Israele “ha il diritto di difendersi” (mentre la Palestina ovviamente non ce l’ha). E le milizie dei coloni sono sempre felici di poter porgere un pugno o di strappare via l’uliveto di qualcuno mentre l’esercito guarda da un’altra parte. Comunque molti di loro non sono israeliani – sono Ebrei “di ritorno” dalla Russia, dall’Ucraina e dalla Moravia, dal Sudafrica e da Brooklyn che sono venuti in Israele recentemente con la nozione che essi hanno un diritto inviolabile (dato da Dio!) alla terra, e che “Arabo” equivale a “carogna” – un evidente razzismo di vecchia scuola. Questa è la cultura che le nostre tasse stanno difendendo. È come dare soldi al Ku Klux Klan.

Ma oltre a tutto ciò, quello che davvero mi preoccupa è l’immagine più grande. Che vi piaccia o no, negli occhi di molte persone in tutto il mondo, l’America rappresenta “l’Occidente”. Quindi è il mondo occidentale che viene visto in appoggio a questa guerra, nonostante tutti i nostri nobili discorsi sulla moralità e la democrazia. Ho paura che tutti i traguardi civili raggiunti dall’Illuminismo e dalla Cultura Occidentale stiano screditandosi – con somma gioia dei Mullah pazzi – da questa ipocrisia evidente. La guerra non ha una giustificazione morale che io riesca a vedere – ma non ha nemmeno alcun valore pragmatico. Non ha senso neanche secondo la “Realpolitik” di Kissinger; ci fa solo sembrare cattivi.

Mi dispiace di caricarvi di tutto questo. So che siete indaffarati e a vario modo allergici alla politica, ma ciò va oltre la politica. Siamo noi che dilapidiamo il capitale di civiltà che abbiamo costruito per generazioni. Nessuna delle domande in questa lettera è retorica: io davvero non capisco e vorrei riuscirci.

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